Giulia a Manakara: storia, auguri, sorprese
Ciao!
È quasi finito il mio anno e vorrei “tirare un po’ le somme” di quello che è stato.
Pochi giorni fa ho riaperto e riletto le prime lettere che ho mandato: traboccavano di entusiasmo ed euforia, tutto bello, tutto meraviglioso.
Nella prima lettera del 20 Marzo ricordo di aver nominato dei profumi. In quel momento ero ad Ambostra a studiare malgascio…posso dirvi con sincerità e con meno euforia che le parole profumo e Ambostra non possono stare insieme: il pesce secco, la carne del mercato, lo smog e la sporcizia lungo le strade emanano ogni tipo d’odore ma non di certo profumo! Nonostante questo ho dei bellissimi ricordi di quel posto, fondamentalmente è stato il primo assaggio della mia vita malgascia: vivere con i don e la Giorgia, “studiare” malgascio, andare al mercato, giocare a tombola in casa di carità, ritrovarsi alla sera tutti e 4 a guardare un film, è stato un bel mese.
Il 23 Marzo sono arrivata a Manakara (finalmente) e la lettera successiva parlava un po’ delle case dei malgasci e di quanto noi fossimo fortunati ad avere cose che per loro erano inimmaginabili, sono convinta di aver avuto la fortuna di nascere con queste possibilità ma sono ancora più convinta di essere al 100% più fortunata per aver avuto la possibilità di conoscere questo lato del mondo e aver imparato a sorridere per ogni piccola cosa grazie a queste persone.
La terza lettera, se non sbaglio, parlava di Ricot e di quanto fosse pigro; posso aggiornarvi su di lui e dirvi, con orgoglio, che adesso lavora alla Ferme di Analabe e dopo tanta fatica iniziale, adesso sta benissimo, si impegna! È stata una vera evoluzione la sua e io sono sempre felice di andare ad Analabe e vederlo stanco ma felice!
La lettera dopo era su Cela, il ragazzino del mercato, anche per lui le cose sono cambiate, è tornato a casa e ha iniziato ad andare a scuola, con alti e bassi ovviamente. In questi mesi abbiamo imparato a conoscerlo ed è davvero un ragazzino fragile che ha bisogno di sostegno ma, sono sincera, per la maggior parte del tempo resta il ragazzino ribelle del mercato.
Le ultime lettere invece parlavano di Michel, chi se lo dimentica, nonostante le cose non siano andate proprio come avrei voluto, un po’ del mio cuore è andato via con lui! Una parte di me, ogni giorno, spera di incontrarlo per strada con quel cappellino rosso che aveva sempre, lo cerco con lo sguardo, ogni mattina controllo la macelleria dove lavorava sperando di rivederlo sorridente e felice, ma da quando è partito nessuno ha più avuto sue notizie, io voglio credere che stia bene chissà dove qui in Madagascar! Ma quel sorriso e quella risata contagiosa non me le scorderò mai e poi mai.

Ci sono molte altre persone che ho conosciuto qui: Iabelen, bimbo del mercato, che hanno conosciuto anche i miei genitori, casinista e coccolone, anche nelle giornate più tristi un sorriso lui riesce a strappartelo.
François: prima il corso d’italiano, poi un monopoli, poi un mofo, poi una torta cucinata insieme fino ad arrivare ad un’amicizia, parliamo tanto, ci confrontiamo e confidiamo mescolando le nostre “capacità linguistica”: il mio scarso malgascio, il suo scarso italiano con in mezzo un po’ di francese, fra una risata e l’altra riusciamo anche a fare discorsi intelligenti!
E poi ancora Santatra: braccio destro di François, Lalatiana che a 20 anni dedica anima e corpo alla parrocchia, a partire dalla corale fino ad arrivare ai chierici e poi gli indimenticabili pazienti di Ambokala: Cela che parlava con le formiche nella sabbia, Hery gigante buono, insieme ad Ardilece, Justin e la sua fobia per i serpenti, Jibre che potrei definirlo “Michel II” , Jean Paul e i suoi cento figli immaginari e tantissimi altri, insieme hanno contribuito a rendere unico questo “quasi” anno.

Tutto questo per dirvi che dopo 10 mesi di cose viste con entusiasmo e curiosità sono pronta a guardare e vedere questo posto con occhi nuovi, non più offuscati dall’euforia dell’inizio. La curiosità farà sempre parte di me, ma voglio legarla alla criticità e alla semplicità che in questo poco tempo tutte le persone che ho incontrato mi hanno insegnato.
Insomma, inutile tirarla per le lunghe, non sono pronta a lasciare tutto questo, ho ancora voglia di scoprire e di lasciarmi scoprire.
Qualcuno di voi lo sa, qualcuno se lo immagina, per altri sarà una sorpresa però ho deciso di rinnovare e restare almeno un altro anno, lo dico solo ora perché il visto ormai è arrivato quindi non c’è modo di farmi cambiare idea.
Prometto però di scrivervi, più spesso degli ultimi mesi, per raccontarvi e condividere con voi gioie e dolori di questa vita.
Buon 2019 a tutti!
A prestissimo, Giulia









La nostra chiesa diocesana qua ha un nuovo sacerdote, Valmir, è stato ordinato il 16 di dicembre, bella la celebrazione con un popolo di Dio ben animato. In questi ultimi dieci anni il vescovo dom Andrè ha ordinato 8 sacerdoti, ancora ci sono missionari stranieri, ma altri brasiliani che da altre diocesi vicine collaborano per aiutare la chiesa sorella. Al posto nostro infatti sono arrivati due sacerdoti missionari di diocesi della Bahia: padre José Wilson che si fermerà ad Utinga e dando presenza anche in Wagner, e padre Edson che starà in Bonito.

Il 24 dicembre ho trascorso la giornata in una delle comunità di base ad una mezzoretta dal paese. È stata una giornata all’insegna della spensieratezza, di frutta mangiata direttamente dagli alberi, una partita a pallavolo con una palla fatta da una busta di plastica riempita di foglie e di partite a tris mangiando un ghiacciolo.

La visita del Vescovo Massimo comincia il 30 dicembre nella cattedrale a Kibungo dove si celebra la festa della famiglia. Alla presenza di circa 2000 persone il Vescovo di Kibungo Mons. Antoine Kambanda e il Vescovo Massimo concelebrano. Mons. Kambanda presenta all’assemblea tutta la delegazione italiana e Mons. Camisasca ringraziando il coro per i bellissimi canti e il giovani che hanno danzato porta i saluti della diocesi di Reggio Emilia.
Il Vescovo Massimo racconta il suo stupore nel vedere una casa così ben organizzata dove tutti, ospiti e volontari, si prendono cura gli uni degli altri. Tutti applaudono quando il Vescovo Massimo comunica di voler continuare a sostenere le case sia inviando volontari sia economicamente in base alle possibilità che avrà la Diocesi di Reggio Emilia.
La giornata prosegue guidati da Mons. Oreste Incimatata, vicario del Vescovo di Kibungo, alla visita sulla tomba di Padre Tiziano Guglielmi a Rwamaganà, al Centre de Santè Padre Tiziano e al plesso scolastico Aurora Giovannini che si trovano sulla collina di Munyaga. Il Vescovo rimane colpito dalle opere che Claudio Fantini, responsabile del Gruppo Rwanda, ci mostra.
Ripensiamo alle domande che il Vescovo Massimo ci ha fatto quando lo abbiamo incontrato in vescovado a Reggio Emilia lo scorso 9 dicembre; le iniziative che facciamo riescono a generare uno “Spirito Missionario” nelle nostre vite, nelle nostre parrocchie e nella nostra diocesi?
Oggi nella terra del Rwanda durante la celebrazione eucaristica e in particolare sulla tomba di padre Tiziano Guglielmi ho pregato per tutti voi.
“Entrato in seminario nel 2011, ricordo il giorno che lo accompagnai per iniziare il percorso propedeutico – ricorda don Marco Ferrari – era il 19 febbraio 2011. Poi ha proseguito con la Filosofia e Teologia presso il seminario di Ruy Barbosa in Feira de Santana. Ordinato Diacono in luglio di quest’anno e sacerdote sabato 16 dicembre.”
La Padaria continua ancora, grossomodo producendo sempre 1500 pani almeno al giorno. L’obiettivo è quello di mantenere un pane buono per i bambini tutte le mattine. Un migliaio di pani vanno negli asili e gli altri vengono venduti alle famiglie vicine. Questo è un luogo dove anche periodicamente possiamo fare qualche corso di panificazione, insegnare a fare il pane, la pasta, che poi è basica anche per la pizza. Per il momento abbiamo un risultato non economicamente positivo però non siamo in perdita perché se dovessimo comprare il pane per i bambini più o meno facciamo pari. C’è il vantaggio che abbiamo il nostro pane, e non il pane congelato che proviene dalle grandi industrie di panificazione. Non a caso la Padaria si chiama “Pane Nostro”. La Padaria per noi è anche una scuola, per trasmettere questo sapere ai ragazzi e alle persone lì intorno che sono interessate.