Festa… è festa!

 

Una domanda che mi sento fare spesso è: “Ma come vive la gente in Amazzonia?” e in particolare: “Come è la vita di chi vive lungo il fiume?”.

È difficile trovare la parola giusta, posso affermare che le persone vivono di “essenzialità”. Tutto è ridotto ad alcune azioni indispensabili per la sopravvivenza. Dove non c’è luce elettrica, ma anche dove è arrivata da poco, si dorme presto, alle otto di sera tutto tace. Ma la notte è movimentata, a tutte le ore qualcuno si alza, accende la sua lampada portatile, prepara la canoa e parte per la pesca. Dormendo sulla barca, quindi sulla riva del fiume, mi sono reso conto di come gli uomini siano un tutt’uno con la pesca. Non c’è orario per partire. Chi va per mettera la rete in punti strategici, chi preferisce pescare con l’arpione per prendere pesci più grandi… e quando ritorni con la canoa piena, tutti accorrono, i bambini e le donne per pulire il pesce e metterlo sotto sale o nel ghiaccio contenuto in grosse casse di polistirolo. Il pesce grande e bello non viene mangiato, ma venduto al mercato, così si parte per affrontare cinque o sei ore di viaggio, a volte due giorni, e raggiungere il porto della città per vendere il pesce e comperare altri generi alimentari o vestiti… una birra con i compagni di pesca, poi si riparte. Il pesce che serve per colazione e per pranzo lo si pesca sul momento, è um pesce piccolo e che non serve per il commercio.

Solo la domenica non si esce per la pesca, è giorno di riposo e di divertimento, spesso si mette la musica a tutto volume e si improvvisa una festa. Le donne sono le vere “padrone di casa”, sono loro a fare tutto, dal cibo alla pulizia e al prendersi cura dei numerosi figli nati da un gesto di affetto tra una pesca e l’altra, o in una notte di pioggia grossa, quando anche la luce elettrica non funziona e non si può distrarsi con il calcio alla televisione. Sono tanti i bambini, tanti i papà forse troppo giovani, tante le ragazze ancora adolescenti e già mamme!

Divertimento tipicamente maschile, oltre al calcio praticato anche dalle giovani ragazze, è la caccia. Si parte in gruppo, armati di fucile e macete e si rimane in foresta anche alcuni giorni, tra i pericoli dei serpenti e degli animali feroci, per portare a casa la carne di cinghiali, scimmie, coccodrilli, cerbiatti e altra selvaggina che verrà messa sotto sale per conservarla. Le piantagioni di mandioca, granoturco, banane… sono di tutto il nucleo famigliare, anche i bambini collaborano, ma sono le donne che si prendono cura del raccolto. Così la vita scorre, come il fiume, lenta e repetitiva, ogni giorno per giungere il giorno sucessivo. Si costruiscono case in legno e canoe con una tecnica tramandata di padre in figlio.

Mi diceva un vecchio Cassique che i bambini devono andare a scuola per imparare a leggere e scrivere, ma non per conoscere le cose che servono per vivere, queste le imparano fin da piccoli. Ogni bimbo conosce tutti i tipi di pesci che il papà pesca –pirarucu, tambaqui, jaraqui, piranha, … – ma non sa scrivere il suo nome e se vede un nome scritto non sa identificare a quale pesce si riferisce. Quindi la scuola deve insegnare a dare un nome alle cose che la vita ha già insegnato e che gli adulti hanno trasmesso ai più giovani. La vita è dura per chi ogni giorno vive senza sicurezze, ma dipendendo dalla generosità della natura e dal frutto del proprio lavoro. In questa logica non esiste il concetto di “risparmio” e ancora meno di “accumulo”. Non si possiede niente se non ciò che si consuma per vivere.

Nella comunità Uniao da Boa Fé, dopo la messa ci invitano sempre a pranzo, ma l’ultima volta c’era un certo disagio: “padre, abbiamo un pesce che ci hanno lasciato i nostri figli, scesi in città, ma il riso è finito e fino al loro ritorno è solo pesce e farina di mandioca…”; “grazie questo pesce è buonissimo e la farina aiuta ad apprezzarne il sapore”. Anche i bimbi si sono precipitati a spolpare il pesce, agilissimi nel togliere le lische, senza nessun imbarazzo, quasi per gioco, rubandosi con le mani i pezzi più grandi. Sul tavolo un contenitore con l’acqua e un unico bicchiere per chi volesse bere.

Passando nelle comunità di Nova Canaã e Novo Pendão non troviamo nessuno, le case chiuse. Ma dove sono andati? Sapevano che sarei passato oggi, abbiamo lasciato la data segnata già dal mese passato… e ci vuole un giorno e mezzo di navigazione per arrivare fin qua! Porto la comunione eucaristica a due anziani peruviani che vivono sull’altra sponda del fiume, i loro figli e nipoti sono tutti della chiesa evangelica Assembleia de Deus, ma loro non lasciano la chiesa cattolica dove sono nati e sono stati battezzati. Così ogni volta che passo porto loro la comunione e anche i numerosi nipoti che scorrazzano intorno a casa, entrano e pregano con noi: leggiamo il Vangelo, preghiamo per le persone, invochiamo lo Spirito Santo su tutti e chiediamo la protezione di Maria per piccoli e grandi. Poi condividiamo il Pane della Vita e, con i piccoli, qualche biscotto e caramelle sempre attese e gradite.

Mi dicono: “padre, non c’è nessuno, sono andati tutti alla festa della comunità di Santa Terezinha, una comunità non cattolica, ma della cruzada che oggi recorda il giorno del suo inizio, quando il pastore ha piantato la croce, dando inizio al cammino della chiesa”. Festa, è festa. Non importa il motivo o la chiesa di appartenenza, è festa! Una opportunità di incontro, di relazioni, di rivedere persone che da anni non si erano incontrate. È opportunità per divertirsi e mangiare qualcosa di diverso, per una avventura amorosa, anche se solo per una notte. La vita è così dura, ogni giorno, scorre così lenta e piena di cose indispensabili da fare, senza tempo per se stessi, è una opportunità da non perdere, è l’assaporare la vita nella sua umanità. Festa… è festa!
Bene, lascio l’invito per il prossimo mese, passerò in gennaio.

Riprendiamo il nostro viaggio, abbiamo ancora tre comunità nei prossimi due giorni, prima di rientrare. E durante il viaggio di ritorno, scrutando il fiume che scorre lento e le nuvole che giocano sull’acqua, tra le fronde della foresta, ripenso a questa gente, alla mia gente che vive una vita essenziale nella sua semplicità e durezza, ma che non perde ogni opportunità di incontro, di condivisione, di gioia. Penso alla parola del profeta: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le mie vie”. E sorrido delle nostre programmazioni pastorali, scardinate dalla vita reale. Festa, è festa! È vita per il popolo di Dio! È gioia per i suoi figli! Poi la vita riprende il suo corso, come il grande fiume, verso il mare.

Passerò la notte di Natale nella comunità di Ipiranga, sul confine colombiano, avamposto militare e ‘città fantasma’ di circa duecento abitanti. È l’ultima comunità anche geograficamente, forse quella con meno identità, fatta da persone provenienti da molti posti diversi, mescolando portoghese e spagnolo per una convivenza non sempre scelta, ma imposta dalle circostanze della vita. Betlemme perduta in mezzo alla foresta pluviale più grande del mondo, da cui nascerà il Salvatore, l’Emmanuele – Dio con noi. Betlemme casa del pane e della speranza.
Feliz Natal! Feliz Navidad! Buon Natale a tutti!

Gabriele Carlotti – missionário diocesano in Amazzonia

Inizio della novena di Natale, 17 dicembre 2020