Vanessa e la capacità di mettersi nei panni dell’altro
Sono passati sei anni dalla mia laurea, ma il tema della mia tesi è sempre così attuale e torna ciclicamente nella mia vita e nei miei pensieri: La legge sulla cittadinanza italiana.
Per vivere qui in Brasile a gennaio 2018 ho richiesto un visto di permanenza temporaneo con un anno di validità; e a dicembre dell’anno scorso ho iniziato le pratiche per il rinnovo di un altro anno. Se tutto va bene riuscirò ad avere il documento provvisorio il 27 di marzo, 3 mesi dopo l’inizio della mia richiesta. Per chi non ha mai avuto a che fare con questo tipo di pratiche potrebbe sembrare tutto normale e potrebbe non capirci molto, anche io sinceramente prima di questi mesi ero estranea a parecchie situazioni in cui mi sarei potuta trovare.
Non starò a raccontarvi tutto quello che è successo in queste settimane, ma mi piacerebbe raccontarvi come ho vissuto.
Nei giorni precedenti alla scadenza del visto e senza aver ricevuto ancora una risposta positiva sul rinnovo, tutte le persone a me vicine continuavano a dirmi di stare tranquilla, per quale motivo non mi avrebbero voluto qui in Brasile e una serie di altre frasi di circostanza.
Bene, io so solo che un’amica avvocata qui in paese mi ha aiutata e sta continuando a farlo per cercare di risolvere i miei problemi. Burocraticamente è tutto così “semplice”, ci sono delle leggi, bisogna saperle e rispettarle; emotivamente è uno schifo.
Il calendario delle attività dell’anno era già pronto, gli impegni già scritti in agenda e io non sapevo cosa avrei fatto il giorno dopo. L’ansia di non avere i documenti in regola, non sapere se c’era da comprare un biglietto aereo per tornare in Italia nel giro di 2 settimane; c’erano mattine in cui mi alzavo ben predisposta, in cui sapevo che tutto sarebbe andato bene e che era inutile non fare nulla e perder tempo; altre mattine invece in cui qualsiasi cosa avessi fatto sarebbe stata inutile, tanto sarei andata via a breve.
Responsabilità prese o che dovevo prendere in parrocchia, senza sapere se le avrei potute mantenere; attività da fare a cui mi sarebbe piaciuto partecipare e a cui avrei dovuto rinunciare.
Oggi tutte queste preoccupazioni sono passate, ma nei giorni di confusione più assoluta sulla mia situazione da straniera, la mia tesi di laurea, le persone che ho conosciuto e con cui ho parlato durante i mesi che l’ho scritta, tutti i miei amici di Reggio Emilia mi sono passati davanti: ma quanto è difficile essere stranieri, soprattutto in un paese che ci mostra tutti i giorni che non ci vuole?
Io ero preccupata di lasciare il Brasile, di dover rinunciare a tutte le cose programmate per quest’anno, sapendo che in Italia ci sarebbero stati la mia famiglia e i miei amici ad aspettarmi, con un futuro tutto da scrivere.
In Italia invece ci sono tanti giovani nati e cresciuti là, che tutti i giorni vivono nell’angoscia di pensare ad un futuro che non dipende assolutamente da loro, ma da leggi ingiuste; senza sapere cosa possono sognare, per esempio diventare avvocati, perchè tutto dipende da una cittadinanza che non sanno quando riusciranno a “guadagnare”, con la paura di diventare CLANDESTINI nella loro PATRIA, correndo il rischio di essere espatriati in un paese di ORIGINE che molte volte non hanno mai visto.
In questi giorni di preoccupazioni ho pensato tanto a tutti quegli ITALIANI non riconsciuti da uno Stato che continua a rinnegarli; sono triste perchè le persone sono egoiste e la capacità di mettersi nei panni dell’altro è sempre più difficile da incontrare; ma anche se lontana spero che un giorno l’Italia si svegli e capisca quanto stia sbagliando.
Ci tenevo a scrivere queste parole, come ci tengo a mostrarvi una foto:
Qui in paese il sabato è il giorno del mercato, per questo vengono molte persone delle campagne e la piazza è sempre piena. La mattina la chiesa rimane aperta e io trascorro il mio tempo lì: ci sono persone che passano a prendere il materiale per le varie comunità delle campagne, c’è chi passa per pregare, c’è chi passa per chiedere informazioni; sabato scorso è passata una vedova, da circa un mese, per un abbraccio e un pò di conforto.
Mi piace trascorrere il sabato mattina in chiesa, rafforza la mia fede e la convinzione di quanto sia bello credere in Dio.
Ci sono persone che pensano sia sufficiente credere in Qualcuno o Qualcosa senza la necessità di entrare in una chiesa, e forse per un periodo l’ho creduto anche io.
Una mattina l’uomo nella foto è entrato e ho sentito la necessità di fotografarlo, forse perchè mostrando questa foto sarei riuscita a spiegare più facilmente quello in cui credo.
Quest’uomo ha problemi psichiatrici, spesso entra in chiesa per prendere dei fiammiferi per accendersi le sigarette, per un bicchiere di caffè o di acqua; ma una mattina è arrivato e si è sdraiato per terra; non stava dormendo , semplicemente stava bene lì.
È vero, Dio è ovunque, ma la chiesa è un luogo dove possiamo entrare e rimanerci, nessuno ci manderà via (o almento dovrebbere essere sempre così), è un posto dove possiamo sentirci a casa, stare in pace e sperare in un mondo migliore; per un minuto, per un’ora o una mattinata.
Le porte sono aperte, chiunque può entrare e sentirsi libero: libero di amare, libero di soffrire, libero di essere qualsiasi persona si voglia essere.
Vanessa
Ah ho mostrato questa foto a due persone che conoscono la persona lì sdraiata, non l’hanno ricosciuta, per questo ho deciso di mostrarla anche a voi.