La gioia della missione
La nuova frontiera dell'Amazzonia
Il Convegno Missionario Diocesano della Quaresima 2019 aveva come titolo “La gioia della missione. La nuova frontiera dell’Amazzonia” e si è tenuto domenica 31 marzo, a partire dalle ore 15.30, presso la Sala Teatro della parrocchia del Sacro Cuore.
Hanno discusso insieme il Vescovo Massimo Camisasca e il Vescovo Adolfo Zon Pereira, della Diocesi di Alto Solimões, che accoglierà i tre missionari Diocesani che partiranno nei prossimi mesi.
Abbiamo conosciuto quindi i luoghi, la Chiesa dell’Amazzonia e il suo stile missionario.
Al termine dell’incontro è stato dato spazio anche a don Paolo Cugini e don Gabriele Carlotti, due dei tre prossimi fidei donum in Amazzonia. Ci hanno raccontato la loro esperienza durante i due mesi di permanenza in Amazzonia.
Compito dei missionari reggiani sarà la formazione dei leaders spirituali e l’animazione delle comunità esistenti nel territorio a loro affidato. Tutti e tre, don Gabriele Burani, don Paolo Cugini e don Gabriele Carlotti, hanno una lunga esperienza di vita in America Latina, hanno vissuto in Brasile per molti anni.
Si apre nel segno dell’acqua il convegno missionario diocesano di domenica 31 marzo, al Sacro Cuore. Traendo spunto dai Salmi e dai Profeti (Ezechiele 47,1-6), ne parla infatti la preghiera preparata da sorella Paola Torelli e da frate Antonello Ferretti, per indicare il fiume della parola di Dio che esce dal santuario per irrigare il mondo. All’oro blu è poi un visibile richiamo il Rio delle Amazzoni, che con il nome di Solimões attraversa tutto il territorio della Chiesa sorella in cui a ottobre la nostra Diocesi avvierà la nuova missione. Tanta acqua, anche se manca quella potabile, annota il vescovo ospite Adolfo Zon Pereira. E buona parte del pomeriggio, in fondo, è un’alluvione di dati, di nomi e di località con cui stiamo appena iniziando a familiarizzare e con i quali, a Dio piacendo, avremo a che fare per i prossimi decenni.
Molto dipenderà da noi, se questo nuovo inizio sarà fecondo o si arenerà, dice il vescovo Massimo Camisasca in apertura, dopo il saluto di don Pietro Adani, direttore del Centro Missionario Diocesano e moderatore dell’appuntamento. L’ultracinquantennale presenza in Bahia rimarrà attraverso il ministero di don Luigi Ferrari e la Casa della Carità di Ruy Barbosa, ma la scelta di aprire un altro scenario in Brasile è maturata negli ultimi anni, a partire da una riflessione dello stesso don Carlotti, all’epoca in cui passò a don Zanni la direzione del Centro Missionario. In quel frangente don Gabriele aveva messo per iscritto l’impressione, condivisa da altri presbiteri, che l’esperienza di Ruy Barbosa avesse compiuto il suo itinerario. La bussola cominciò a puntare verso Nord Ovest, ricorda monsignor Camisasca, quando nel settembre 2017 ebbe modo di parlarne con Papa Francesco durante gli esercizi spirituali predicati a un gruppo di vescovi, alcuni provenienti proprio dalla regione amazzonica. Il resto è storia nota, almeno per i nostri lettori: la successiva indizione, da parte del Pontefice, di un’assemblea speciale del Sinodo dedicata al polmone verde del pianeta per l’ottobre di quest’anno, la valutazione di quattro diocesi in stato di necessità nelle quali l’anno scorso la delegazione diocesana ha effettuato una visita esplorativa, e infine l’individuazione dell’Alto Solimões, dove don Gabriele Carlotti e don Paolo Cugini hanno già trascorso due mesi di formazione tra Tabatinga – città di frontiera, confinante con Perù e Colombia, sede della Diocesi – e i sette municipi, comprendenti otto maxi-parrocchie: Atalaia do Norte, Benjamin Constant, Tabatinga e Belém in una prima zona; Tonantins, Santo Antônio do Içá, Amaturà e São Paulo de Olivença in un secondo “vicariato”, che a sua volta è in collaborazione con Santa Rita, zona pastorale di São Paulo, dove operano tre suore del Pime, di cui due italiane.
Si tratta di un territorio esteso per 131.600 kmq, pari a circa il 43% dell’Italia per intenderci, dove vivono oltre 200.000 abitanti: i numeri sono aggiornati al censimento del 2010, ma la tendenza è al boom demografico, se è vero che negli ultimi 15 anni la popolazione, il 38% della quale è indigena, ha registrato un aumento del 20%.
Nella sua introduzione il vescovo Massimo richiama le coordinate essenziali: lo scopo della missione in Amazzonia, come di ogni missione cristiana, è l’evangelizzazione; l’ecologia del creato, aggiunge, non può mai andare disgiunta da quella umana. Poi, nel concreto, spiega di aver preferito costituire una comunità di tre fidei donum, sicché a don Carlotti e don Cugini si aggiungerà don Gabriele Burani, che desiderava protrarre la sua permanenza in Brasile.
Ma l’équipe, o meglio la comunità missionaria, sarebbe ancora più completa se assieme ai sacerdoti partissero anche diaconi e laici, ricostituendo quella sinfonia di vocazioni che già il vescovo Baroni aveva saggiamente immaginato agli albori delle storiche missioni diocesane. In questo senso Camisasca rinnova l’appello che aveva già lanciato all’annuncio della scelta per l’Amazzonia.
Dopodiché la parola passa a monsignor Zon Pereira, saveriano di origine spagnola, che con l’ausilio di un videoproiettore trasporta l’uditorio nell’universo dell’Alto Solimões, fra gli insediamenti lungo i corsi d’acqua dei ribeirinhos e le schede dei principali gruppi indigeni che popolano l’entroterra: Tikunas, Marubu, Matsés, Matis, Kulina Pano, Kurubu, Maguta, Kokama, Kambeba, Kaixana, Kanamari, Witoto…
L’ambiente è spettacolare, tra foreste, coltivazioni di mandioca e pesci grandi come squali che la gente cattura per la sua economia; e non manca il campionario dei mezzi di trasporto, che va dal peque peque alla lancha-jato, fermo restando che occorrono giorni di viaggio per navigare le migliaia di chilometri del tratto diocesano del Solimões. “La natura crea le condizioni per ricevere come un dono l’esperienza di Dio”, afferma il vescovo Adolfo, che paragona l’Enciclica Laudato si’ di Francesco a una Rerum Novarum del 21° secolo.
Accento ispanico ed eloquio spumeggiante, monsignor Zon Pereira ringrazia vivamente la nostra Chiesa e dimostra di sentirsi già in comunione con noi: come quando sottolinea che l’Assunta, patrona della Cattedrale reggiana, è anche la protettrice della Diocesi di Alto Solimões, per decisione di Benedetto XV datata 1919, esattamente cent’anni fa: un’altra fausta ricorrenza in quest’anno, a braccetto con il Sinodo per la Regione Panamazzonica convocato da Bergoglio.
Anche lui, l’abbiamo detto, è un fiume in piena: dai trascorsi coloniali di un’area ritenuta strategica nel Cinquecento tanto dall’Impero spagnolo quanto da quello portoghese passa in scioltezza alla storia ecclesiale, che tra Sei e Settecento ha il suo precursore nel gesuita tedesco Samuel Fritz, fondatore delle prime missioni. Altre vennero costituite nei secoli da Carmelitani e Francescani, e nell’ultimo secolo un grande bene in Amazzonia è stato fatto dai Cappuccini. La Prefettura Apostolica di Alto Solimões fu eretta il 23 maggio 1910, con propria bolla, da Pio X (tre i prefetti da ricordare: Evangelista Galea da Cefalonia, 1910-1938; Tommaso da Marcellano, 1938-1945; Venceslao Nazzareno Ponti, 1946-1950). L’11 agosto 1950 venne elevata da Pio XII al rango di prelatura territoriale, con sede a São Paulo de Olivença. I vescovi prelati sono stati Cesario Alessandro Minali (1955-1958) e Adalberto Domenico Marzi (1961-1990), dopodiché Giovanni Paolo II, con bolla del 14 agosto 1991, ha trasformato la prelatura in diocesi suffraganea dell’arcidiocesi di Manaus con trasferimento della sede vescovile a Tabatinga.
La storia della Diocesi di Alto Solimões è dunque molto recente e l’unico predecessore del vescovo Adolfo è monsignor Evangelista Alcimar Caldas Magalhães, ritiratosi nel 2015.
Presto detta la carta d’identità della Chiesa: le 8 parrocchie sono suddivise in 253 comunità, mandate avanti da 16 sacerdoti (8 secolari, 5 cappuccini, 3 saveriani), 23 religiose, 6 religiosi e 2 laici (ma con centinaia di altri animatori). Nel 2010 i cattolici erano il 56% della popolazione; sono presenti protestanti, neo pentecostali, l’Assemblea di Dio e altre sette, con un 5% abbondante di persone che si dichiara senza religione.
Dopo le domande di Andrea Bonati e Pierdomenico Rossi, al convegno intervengono anche i prossimi inviati.
Don Gabriele Carlotti rimarca il dono che ci fanno gli indigeni e quanti, vivendo in simbiosi con la natura, ci aiutano a tornare al creato e a superare un certo nostro intellettualismo della fede. “Non dobbiamo essere la loro voce – precisa il missionario – ma dare loro voce, rispettando la dignità della differenza”.
Don Paolo Cugini riflette su come i doni della missione spesso non ci siano chiari, anche a distanza di mezzo secolo dalla spinta impressa da Mons. Baroni. Eppure l’Amazzonia, afferma, ha dei doni per tutta la Chiesa, a cominciare dalla sfida ecologica e dalla cosiddetta ministerialità diffusa.
Nelle conclusioni il vescovo Massimo si rivolge direttamente a monsignor Zon Pereira per affidargli i nostri tre sacerdoti, come figli prediletti e come “indios”, affinché il pastore di Alto Solimões li aiuti a comprendere con l’ascolto necessario la nuova realtà e a vivere insieme, prendendosi a cuore il loro tempo di preghiera. Con la missione in Amazzonia, nasce una nuova “creatività di vicinanza” tra due mondi molto diversi, ma fratelli nell’unico Vangelo.