Category: veglia martiri

Virginia Beltrami, rientrata dall'Albania, testimonia alla veglia missionari martiri 2018

La testimonianza di Virginia

Un anno di missione mi ha dato tanto.
Sono tornata a casa e mi sono resa conto che in Albania ho imparato a sapere.
Non tanto perchè conosco parole difficili o ASTRUSE tipo “ODEPORICO”, “PRECONIZZARE”, “ALGIDO” o “PROCRASTINARE”. Non serve conoscere paroloni per essere missionari.
Dicevo, in Albania ho imparato a sapere, ovvero ad avere sapore. È la prima cosa che noti in un altro Paese: ci sono sapori e odori a cui non eri abituato. Cambia persino l’odore dell’aria!
La prima volta in una casa albanese, per esempio, ero nauseata dall’odore della stufa, un aroma che poi mi ha accompagnato costantemente fino alla fine e a cui mi sono abituata.
Ma agli inizi è faticoso sopportare il cambiamento: la missione è un mondo così diverso dal tuo che il primo impatto è veramente difficile da digerire.
Ma dalle difficoltà iniziali puoi o rifiutare tutto oppure avvicinarti ogni giorno un po’ di più, assaggiandone la cultura, gli usi, facendo famiglia coi più poveri e lasciandoti guidare dalle persone.

Ed è stato mettendo da parte il mio orgoglio da supereroe occidentale che ho potuto gustare e rimanere estasiata dai tanti e contrastanti sapori dell’Albania.
La dolcezza delle donne, così premurose e accoglienti combinata con l’asprezza della vita famigliare che conducono; la pienezza della vita comunitaria; l’amarezza di una società così corrotta combinata con il gusto semplice dei bambini e dei ragazzi; e soprattutto la delicatezza della Provvidenza.
Ogni giorno bisognava radicarsi sempre di più in questi gusti, in questi sapori, in questi odori per poter avvicinarsi di più alle persone. È stato uno sforzo continuo che non sarei mai riuscita a fare senza il sostegno della comunità.

Assaporare e prendere il gusto del popolo albanese è quello che don Gigi Guglielmi definiva: “incarnarsi”, un verbo che come lui augurava nel ’95 ai partenti per l’Albania, si è nuovamente realizzato quest’anno.
“Non è su di loro che dovete intervenire per cambiare la loro vita, ma su voi stessi per cambiare la vostra”, diceva don Gigi: questa è stata la base di tante relazioni vere che ho instaurato in Albania, senza l’obiettivo di modificare l’altro, ma rimodellando me stessa per accoglierlo.

Questo spogliarsi e prendere il gusto della cultura albanese mi ha reso veramente una DONNA LIBERA, tanto che adesso nella fase del ritorno non resto con l’amaro in bocca, ma anzi sono profondamente grata di aver gustato e visto la bellezza del donarsi all’altro.

lbania e testimonia alla veglia missionari martiri 2018

La testimonianza di Federica

La prima cosa che ho imparato in Albania è stato condividere. Questo perché non sono andata lì a titolo personale, ma sono stata inviata dalla Chiesa. E non da sola: come Gesù inviava i suoi discepoli a due a due, così anche io ho avuto due compagne con cui condividere il cammino. Insieme al don, ecco allora una piccola comunità che fin da subito ha condiviso la Parola, l’Eucarestia e, ovviamente, la quotidianità.

Dividere la mia giornata con altri, all’inizio, non è stato facile, ma quando ho visto che ciò che condividevo acquistava più senso e valore, allora ho capito che condividere, cioè dividere con, non è un diminuire, ma un moltiplicare. Quando si presentava un problema, tra di noi ne discutevamo, ma soprattutto avevamo imparato a condividerlo con coloro che camminavano con noi. Ed ecco ancora il ripetersi del miracolo: forse noi non potevamo risolvere direttamente quel problema, ma qualcun altro si o perlomeno ci poteva aiutare.
La magia della condivisione, o meglio, la sua potenza.
Adesso ho compreso meglio cosa significhi spezzare il pane e distribuirlo.

Dare tempo e concedersi tempo è un’altra cosa che la missione mi ha insegnato. Nella mia quotidianità il tempo non era mai abbastanza e ne mancava sempre per me e per le persone a me care, ma non era il tempo ad essere poco, ero io a non sapergli dare il giusto peso, soprattutto nelle relazioni. E allora grazie a quegli imprevisti che hanno fatto rallentare la mia corsa occidentale verso il raggiungimento di alti livelli di produzione. Grazie a tutte le persone che mi hanno insegnato a stare seduta su un divano a bere caffè turco e a chiacciherare di cuore senza farmi avere la sensazione di star perdendo tempo, ma anzi regalandomi l’emozione di aver vissuto il meraviglioso incontro con il Signore, perché non dimentichiamoci che Gesù ha evangelizzato non solo camminando, ma anche stando a tavola.

E infine la Provvidenza.
Il Signore interviene lì dove c’è bisogno, quando c’è bisogno. L’unica cosa che ho dovuto imparare a fare è stato fidarmi del suo intervento. Quante cose e quante persone sono state provvidenziali!
La Provvidenza ho potuto vederla solo perché ho deciso che da sola la missione non potevo farla, non potevo viverla, ma avevo bisogno di essere presa per mano e guidata. Il mio orgoglio, a fatica, non lo nego, è stato messo da parte, perché avevo bisogno di affidarmi a qualcuno che poteva accompagnarmi e quel qualcuno si è incarnato nelle tante persone, davvero tante, che ho incontrato sul mio cammino o che semplicemente ho riscoperto e che per me sono state luce.

In questo ritorno, mi auguro di continuare ad essere illuminata dalle tante luci, vecchie e nuove, della mia strada. Mi auguro di incontrarne di altre e soprattutto di poter continuare a far risplendere la luce forte e calda che la missione ha acceso in me.