Una pennellata di Albania

 

I miei dieci giorni in Albania sono stati particolari, un po’ perché è stata la mia prima volta in questa realtà, un po’ perché era il periodo di Natale. Accompagnato da Don Alessandro siamo andati a Vau-Dejes dal 22 al 30 dicembre.

Essendo quindi i giorni di Natale, il 24 e 25 dicembre, con il Don, Alessandro, Paolo e Anton siamo andati in vari villaggi per celebrare la messa. È stata un’esperienza molto particolare, sia perché era facile capire quanto la chiesa albanese ci tenesse a portare la celebrazione anche nelle montagne, sia perchè, dall’altra parte, si vedeva quanto gli stessi albanesi abitanti dei villaggi ci tenessero a che qualcuno andasse nella loro chiesa a dire messa. Ed erano grati per questo.

Una cosa che mi ha colpito molto, forse per la differenza con l’Italia, è stato il paesaggio. Le case un po’ sparse, alcune finite altre no, le case sfarzose affianco a case quasi di fortuna. Per questo Don Alessandro definiva l’Albania come “il paese delle contraddizioni”.

Con Paolo e Alessandro abbiamo portato i ragazzi della parrocchia dai frati. In questa giornata mi è stato molto d’aiuto quello che Paolo ha scritto qualche tempo fa, riguardo al non sapere la lingua e riguardo agli atteggiamenti che si assumono. È stato molto impegnativo, non sapendo la lingua ho quindi cercato di stare comunque attento a ciò che accadeva e di farmi aiutare da Paolo e Alessandro ogni tanto. È stato difficile, perchè trovandomi per la prima volta in quella situazione ho notato come in questi casi si deve stare attenti a qualsiasi cosa succeda e in qualsiasi posizione della stanza avvenga, bisognava tenere sempre l’attenzione a 360°.

Nei nostri “momenti liberi”, eravamo in casa di carità. Anche questi momenti per me sono stati molto importanti. Suor Rita e Suor Maria mi hanno fatto sentire a casa in tutti i sensi, senza troppi filtri intermedi. Gli ospiti sono stati fantastici, dal primo momento in cui sono arrivato, cercando di salutarmi in italiano, mi hanno fatto capire di essere felici di avermi li, pur non conoscendomi. Hanno capito da subito che non ero molto sul pezzo con la lingua, e quando parlavano con me cercavano sempre di parlare in italiano, quasi come se fossero loro a doversi occupare di me. E questo mi ha fatto sentire a disagio da una parte, ma dall’altra mi sono sentito ancora più in dovere di impegnarmi in quello che facevo e nell’aiuto che potevo dare.

Queste sono le cose che mi hanno colpito maggiormente. Ovviamente ce ne sarebbero tante altre, l’Albania è un paese completamente diverso dall’Italia. Ma ciò che mi porto a casa è l’attenzione verso i particolari che spesso quando siamo nel nostro ambiente tralasciamo, e la capacità di aiutare il prossimo che, non riuscendo ad interagire, si fa capire con sguardi, gesti, ma soprattutto tanti sorrisi.

Gabriele