Tag: Case della Carità

Una bella foto del gruppo parrocchiale

Pe Luis e la quaresima del Brasile

“Chi uccide un GIUSTO perché è contrario alle sue opere, feconda il BENE che non può sopportare” .
Questo è un pensiero di d. Mazzolari che mi è venuto in mente in questo tempo di quaresima, perché come Chiesa brasiliana abbiamo fatto una Campagna di Fraternità in cui si è pregato e riflettuto del superamento della violenza. La Fraternità “siamo tutti fratelli”, fermentare nell’umanità l’amore fraterno: si è detto e cantato che vince sulla violenza.

Qui in Brasile questo mese ha fatto notizia, e si è diffusa per il mondo intero, l’assassinio di Marielle Franco, una consigliera comunale di Rio de Janeiro, uccisa assieme all’autista. Una giovane donna negra che ha lottato per diritti umani della sua gente, di una favela di Rio Maré; dove è riuscita a formarsi e laurearsi in amministrazione pubblica. Proprio in questo inizio d’anno, il presidente del Brasile ha deciso di dare un mandato speciale all’esercito per garantire la sicurezza in Rio de Janeiro. Molte manifestazioni di protesta, che hanno chiesto giustizia; certamente l’uccisione di Mariella ha scatenato un sussulto di indignazione tra la gente, speriamo che possa portare frutti buoni, risvegliare questa democrazia così fragile.

Nella quaresima abbiamo avuto la visita di don Filippo, è venuto con Maria Pia e ha portato anche una sorella nuova per la Casa di Carità di Ruy Barbosa, Ir. Josiane. La sua visita è stata importante per riguardare il cammino della Casa di Carità nella diocesi di Ruy Barbosa. La nostra diocesi di Reggio, dopo 52 anni di cooperazione come “Chiesa sorella”, ha deciso di iniziare una nuova missione, sempre qui in Brasile ma andando verso le Chiese dell’Amazzonia. Così la Casa deve sempre più essere non tanto un’opera nostra delle suore, come spesso è ancora vista, ma essere più assunta dalla Chiesa di Ruy Barbosa. Abbiamo fatto diversi incontri, col vescovo, coi sacerdoti giovani e anche con la gente comune; si è concordato alcune prospettive che speriamo possano crescere.

Per il resto bello per noi confrontarci con don Filippo anche sul cammino della famiglia in Italia. Nelle parrocchie si è ripreso il cammino pastorale, con assemblee e consigli delle comunità. La priorità di quest’anno è sempre la
catechesi con ispirazione catecumenale; bello un ritiro, una buona partecipazione una quarantina di catechisti, sulla “Samaritana” che ha fatto vedere i passi dell’iniziazione cristiana: come l’incontro con Gesù apre al dialogo, alla conoscenza e alla rivelazione, e porta all’annuncio e testimonianza.

In questo tempo sono riuscito a visitare alcuni anziani e ammalati; è sempre bello farlo anche con gli animatori delle comunità, sperimentare come la visita sia sempre più un ricevere che dare.
Scoprire la dignità di tanti che portano la croce come il cireneo con molta dignità e serenità. Ma anche scoprire le fatiche e il contesto di vita di famiglie, alle volte disastrate e alcune con germi di violenza che vanno pacificati.
Così ci avviciniamo alla Pasqua, ci saranno alcuni giovani, qui in Utinga, che ricevono il battesimo e l’eucaristia; tra loro ci sono Bernardo e Paulo, che hanno iniziato a venire alla messa perché sono animatori dei canti con chitarra e batteria; questo li ha portati a conoscere Gesù e fare un cammino di catecumenato.

La stagione estiva che sta terminando, è stata caratterizzata da caldo forte e temporali che per fortuna hanno consentito agli agricoltori di piantare e sperare il raccolto. Il 22 marzo si è ricordata la giornata mondiale dell’acqua; il Brasile detiene il 13% delle riserve di acqua dolce del pianeta. Ma non per questo siamo messi bene. Noi ad esempio stiamo bevendo solo acqua minerale naturale comprata, non ci si fida dell’acqua pubblica, quasi sempre di bassa qualità. Lo stesso fiume, che passa nella nostra regione, il Rio Utinga, é contaminato dai prodotti che vengono usati, veleni e fertilizzanti per proteggere in particolare le coltivazioni di banana, papaia, e varie frutta e verdura.

Siamo nella settimana santa, ci prepariamo al triduo pasquale, che culmina nella Vigilia Pasquale: il cantico dell’Exultet ci parla della notte felice che sola conosce l’ora in cui il Cristo è Risorto, notte che dissipa l’odio, lava tutti i crimini e libera dalle catene della colpa, riempie di luce e pace i cuori.
Questo è anche L’augurio di questa Pasqua

um Abraço
Pe. Luis – 28/3/2018

insieme a studiare malgascio

Giulia sa di essere al posto giusto

Eccomi!
È passato esattamente un mese dal mio arrivo, ora siamo ad Ambositra, città a circa 260 km a Sud della capitale.
Ad Antananarivo, la sera dell’atterraggio, ci hanno accolte in aeroporto Enrica, Cecilia e Luciano.
I primi giorni in capitale sono stati strani, un po’ per lo stordimento dovuto al volo infinito che io e Giorgia abbiamo affrontato e un po’ per tutte le cose nuove che incontravamo e vedevamo per strada.
Dopo un paio di giorni siamo partite per Ambositra, anche quel viaggio è stata una bella e lunga avventura, però ne vale davvero la pena, si vedono dei paesaggi veramente spettacolari che variano a pochi km di distanza, sapere che ne vedrò altri mi emoziona, qui è tutto meraviglioso ai miei occhi!
Siamo partite al mattino da Tanà e la sera siamo arrivate alla casa volontari dove ci hanno accolto a braccia aperte Diana, don Luca e don Simone. Dopo pochi giorni abbiamo iniziato le lezioni di malgascio.
È una lingua impegnativa, completamente diversa dall’italiano e a parte pochissime parole, è molto diversa anche dal francese e dall’inglese che noi siamo abituati a studiare. Abbiamo due professori uno con cui facciamo la grammatica (Solohery) e uno con cui facciamo conversazione (Marcel).
Alla seconda lezione Marcel ci ha portate al mercato, io e la Giorgia ci siamo subito guardate e abbiamo detto: “Evviva! Iniziamo da subito a fare delle figuracce!!” invece ce la siamo cavata abbastanza bene, o almeno spero.
Mi è servito molto, soprattutto per spezzare un po’ l’imbarazzo iniziale e la paura di dire cose sbagliate, è stato un po’ come un trampolino di lancio. Da quel momento abbiamo iniziato ad andare al mercato al mattino a fare spesa o a fare due chiacchiere, un paio di volte sono andata da sola e in qualche modo me la sono cavata, poi
diciamocelo le domande sono poi sempre le stesse, però una piccolissima soddisfazione è arrivata.

La giornata inizia con le campane dei protestanti, che alle 6:00 ci fanno da sveglia, alle 6:10 diciamo le lodi tutti insieme e alle 6:30 ci aspettano per la messa nella Casa di Carità qui a fianco. In qualche modo cerco di comunicare un pò con gli ospiti che ti danno una grossa mano, non hanno problemi a farsi capire e ad aiutarti ad imparare, alcuni sanno anche qualche parola di italiano, mi limito ancora ai saluti e alle domande di rito (Salama – Inona ny vaovao? – Natury tsara ve ianao?) anche le suore sono di grande aiuto e soprattutto i don, ogni tanto cerco di imparare qualche parola nuova da loro, in fondo sono qui da un po’ più tempo e mi è stato detto che è giusto sfruttarli.

Qui i momenti conviviali e di divertimento non mancano ma ci ritagliamo anche del tempo per la preghiera e le nostre riflessioni, ho iniziato a scrivere e ho ripreso a disegnare cosa che non facevo da molto tempo; da un paio di giorni ho iniziato una lettura spirituale, consigliata da don Luca, per potermi ritagliare un momento di silenzio e di riflessione personale da fare durante il giorno; serve tantissimo, per sentirti al sicuro e per non dimenticare che anche nei momenti di solitudine, che non sono mancati, in realtà sola non lo sei mai!
Sono gli ultimi giorni per noi qui ad Ambositra, sabato partiamo per andare ognuno nelle proprie comunità, non nego che un po’ di ansia c’è, sarà un po’ come ricominciare tutto da capo, qui iniziavo già a sentirmi un po’ a casa, ma sono sicurissima che le persone che mi aspettano mi faranno sentire in poco tempo a casa anche a Manakara,
non vedo l’ora di essere con loro!
Per me è ancora facile parlare, la vera sfida e la vera avventura inizierà presto, a Manakara; sarò in mezzo alla gente dovrò ascoltarli e sono certa che i limiti della lingua si sentiranno molto di più, però prima o poi andrà fatto e (credo) di essere pronta a fare molte figuracce!
Non potrei essere più felice, “faly be aho“ in malgascio, il sogno è diventato realtà!
Un saluto e un bacio a tutti!
Giulia

P.S. La sera del nostro mandato ho detto che non sapevo il perché avessi fatto questa scelta, ora forse questo fatidico perché sta diventando un po’ più chiaro nella mia testa: i colori, i luoghi, i profumi, le risate, le persone ed i loro sorrisi sono il mio perché.
Dopo appena un mese so di essere nel posto giusto!!

Oops...
Slider with alias Giulia Farri not found.
la porta di entrata della Casa della Carità

Non credo nella casualità: tutto è stato un regalo

Eccomi qui, poco pronta a scrivere e parlare di me, ma se non altro motivata dalla bellezza dei giorni che ho trascorso alla Casa della Carità di Ruy Barbosa, una cittadina dell’entroterra dello stato della Bahia, in Brasile.

Attraverso amiche suore mi è arrivata inaspettata, ma tanto desiderata da tempo, l’offerta di andare a stare un po’ alla Casa della Carità per sopperire almeno in parte all’assenza di una loro consorella malgascia, che doveva tornare in Madagascar per tre mesi di riposo. Pur non essendo più così giovane, ho deciso di concedermi un periodo prolungato di “vacanza alternativa”e grazie all’aiuto del CMD di Reggio -e al sostegno di quello di Modena!- ho potuto rispondere sì all’invito e sono partita.

Il clima non si prospettava a mio favore, in quanto sono un’amante del freddo e della neve, ma si è rivelato lo stesso molto accogliente: caldo intervallato da benedetti giorni di pioggia rinfrescante e tutte le sere soffiava una brezza che permetteva di dormire.

Appena arrivata sono stata messa al corrente di alcune abitudini di vita un po’ differenti, ma soprattutto mi è stato consigliato di cercare di cogliere ogni sguardo, di riempirmi dei sorrisi…niente di più giusto: ho cercato di vivere in pieno ogni giorno e sono stati gli sguardi, eloquenti o misteriosi, e i sorrisi -oltre alla farofa e al pão doce..- che hanno reso questi giorni così indimenticabili.

Ero partita consapevole che sarebbe stato un periodo in cui davo la mia disponibilità a stare in casa, quindi non mi aspettavo gran riposo o escursioni. Sul fatto del riposo un po’ ci ho preso, ma suore, ospiti, fratelli e volontarie si sono prodigati per non farmi mancare nulla: grazie a don Riccardo e a don Gigio ho potuto vedere la Chapada diamantina, Salvador e l’oceano, i cieli infiniti della Bahia, ogni mattina non sono mai mancati il saluto di Valter e una risata di Elza e di Luana, ir. Lory cercava di capire e carpire tutti i miei punti deboli in golosità, e ir Manu, ir Alle e Gleide volevano che non mi mancassero momenti di riposo, di svago, e si sono prese cura anche del mio abbigliamento. Le stesse attenzioni le ho ricevute anche da tante persone che sono passate dalla casa o che partecipano alla vita di famiglia più o meno assiduamente. Mi hanno aiutata ad avvicinarmi soprattutto agli ospiti, facendomi conoscere tanti loro aspetti e dandomi qualche spunto per iniziare a comunicare anche senza poter usare le parole: un cammino quotidiano che in tre mesi era cominciato appena, ma mettersi all’ascolto dei gesti e degli sguardi è così importante anche nella vita di ogni giorno.

Devo dire che la mia conoscenza della lingua era molto limitata: la casa, nel bene e nel male, è molto italiana quindi non mi sono mai trovata in grande difficoltà a capire, ma sono tornata senza essere ancora in grado di esprimermi e sostenere una conversazione. Inoltre non sono mancate a volte le incomprensioni, qualche reazione da contenere -quanti pizzicotti sulle braccia che dà Gea, la nonnina che crede di avere cinque anni!-, momenti di stanchezza -non capirò mai perché nelle Case ci si sveglia così presto!-, ma tre mesi sono passati in un soffio e ho avuto pochissimo tempo anche solo per sentire nostalgia di casa.

Purtroppo il numero dei volontari è piuttosto esiguo e si fatica a distribuire un po’ le mansioni, anche per avere più tempo per altro: i più assidui erano tre/quattro bambini dai 6 agli 11 anni, un bell’esempio per tanti giovani pigri italiani! Per compensare questa carenza di aiuto, per la pulizia dei locali da anni è stato messo in piedi il progetto Arcoiris in cui, settimanalmente, alcune donne si alternano nel venire a lavorare e in cambio vengono loro dati dei buoni spesa: da una parte è un aiuto per la Casa, dall’altra il progetto viene a sostenere almeno un poco tante situazioni di famiglie monoparentali, con giovani mamme che da sole, o con l’aiuto di una nonna, e in una situazione di generale carenza di lavoro, devono spesso crescere diversi figli.

Posso assicurarvi che è stato tutto davvero un grande regalo. Ho sperimentato tanta pazienza nell’aspettarmi coi miei tempi e ho imparato a mettere un po’ da parte la paura di essere sempre troppo imbranata e lenta: con Francisco, il “piccolo” tredicenne di casa, quanto timore-terrore avevo le prime due settimane anche solo di toccarlo e prenderlo in braccio nella sua fragilità, e invece gli ultimi tre giorni passati praticamente sempre con lui perché il resto della banda si era beccato l’influenza e noi due eravamo stati messi “in quarantena”, avrei voluto non passassero più, a dispetto delle prese in giro spassosissime di don Luigi. Ognuno in casa viene accettato con le proprie caratteristiche.

E poi la fortuna di essere andata nello stesso periodo in cui erano là Luca e Bendetta, due fratelli di Scandiano,coi quali potevo avere qualche momento di confronto, e che proprio negli stessi giorni fosse arrivata per stare un po’in casa anche Gleide, una volontaria brasiliana che parla benissimo italiano e che spesso mi aiutava a guardare a quello che succedeva sotto punti di vista differenti.

Sono tornata a Modena con la “saudade” per tutti questi volti e suoni -le occhiate di MariaInes, le fossettine sulle guance di Gueu, gli occhioni di Roger, le strette di Lia, i monologhi di Agdo, gli “aaaaqui” di Thais, le risatine maliziose di Nailton quando combina guai- ma li sento anche nel cuore che mi sostengono nel quotidiano: sguardi profondi, sorridenti o anche seri, come quelli di Cedinha e di Maurina, ma che -mi hanno insegnato- possono parlare più delle parole che non sempre possono essere espresse a voce, perché la bellezza del creato a volte è un po’ nascosta, ma più la scopri, più ti sorprende e la ami. E per i momenti di scoraggiamento, conservo nel cuore un messaggio scritto da un amico: “Mi sa che il Signore si diverte a regalarti occasioni per fidarti di più di lui” e anche questo è stato un regalo…

Auguro a tutti di incontrare sui nostri cammini -poco importa dove- se già non sta succedendo, persone che ci ricordino che da soli non possiamo nulla, che vivendo solo di sé non ci si può arricchire e che per vivere bene abbiamo bisogno degli altri.

Muito obrigada.

Alessandra Gibertini – Modena

Oops...
Slider with alias le foto di Alessandra Gibertini not found.
Grande tavolata per cena ad Ambositra

Giulia, ad Ampasimanjeva da 4 mesi

Ciao a tutti!!
Sono passati ormai quattro mesi da quando sono arrivata in Madagascar e mi rendo conto che ancora è difficile metabolizzare e descrivere quello che sto vivendo.
Sono arrivata con la delegazione reggiana per celebrare i 50 anni di missione qui in Madagascar. Ho potuto conoscere tante realtà diverse di volontariato, i progetti del Centro Missionario e di RTM, le Case di Carità e le suore (è incredibile come in qualunque parte del mondo siano sempre super accoglienti, allegre e disponibili!),e gli altri volontari, ormai preziosi compagni di viaggio.

Una fila di prodotti del Madagascar in vendita

Il mercato malgascio e i suoi mille colori

In questo primo mese ho osservato tanto, con curiosità, cercando di cogliere tutte le sfumature di questo paese per me completamente nuovo. I volti delle persone, i mercati affollati, con i loro profumi (non sempre piacevoli) e i loro mille colori, la frutta mai vista prima, i vari paesaggi incontrati, i chilometri e chilometri di risaie che si attraversano andando verso sud, seguiti da chilometri e chilometri di distese di ravinale, di palme, di banani… Strade infinite dove poche sono le macchine, tanti i taxi brousse (tipo i nostri pullmini che qui sono il mezzo di trasporto pubblico più utilizzato) ma ancora di più sono le persone ai lati di queste strade che portano qualunque cosa (cibo, vestiti, oggetti vari) rigorosamente in equilibrio sulla testa. E poi tanti sono anche i progetti che abbiamo visitato da vicino. Vedere quante persone si spendono per dare una casa, del cibo, un’educazione scolastica, o anche “solo” una speranza ai più piccoli e ai più poveri ti permette di aprire gli occhi e vedere quanto bello c’è intorno a noi. E allo stesso tempo è contagioso, ti fa pensare a quante altre cose si potrebbero fare, sia qui che in Italia, e allora ti chiedi dove sia il tuo posto, con chi e soprattutto a fare cosa. Insomma, dopo questo primo mese avevo tante domande per la testa. Poi sono andata ad Ambositra a studiare un po’ la lingua.

una tavolata in amicizia

Cena con compagni di studi e professori!

E così i punti interrogativi sono aumentati. Il malgascio è una lingua difficile, non c’è una parola che sia vagamente intuibile, la struttura della frase è diversa dalla nostra, insomma….un casino! Per fortuna la casa dei volontari è di fianco alla Casa di Carità! In Casa di Carità gli ospiti non si aspettano che tu faccia chissà che discorsi, e non ti fanno domande troppo complicate. A loro basta che tu sia presente, che preghi con loro, che gli fai compagnia anche solo con un sorriso (anche se di solito ne approfittavo per ripassare quello che avevo studiato al mattino…una scena piuttosto ridicola insomma!)
E poi per Natale sono arrivata ad Ampasimanjeva (Ampa per gli amici). La prima cosa che impari è il saluto tipico di qui: “akory aby!” “tsara be, akory!” “tsara be!” (durante il giorno si ripete almeno venti volte, e così intanto sei certo di non fare mai scena muta!), il problema nasce quando poi la gente inizia a farti domande, parlando super veloce e utilizzando spesso anche il dialetto. Il fatto che non riuscissi a capirli però non ha minimamente ostacolato la loro calorosa accoglienza.

i bambini di Ampasimanjeva, Madagascar

Bambini ad Ampa

Mi avevano detto che mi sarei sentita sola, e in realtà mi sono ritrovata sempre circondata da persone: le suore (che mi stanno aiutando tanto, sanno l’italiano e sono il punto di riferimento per qualunque tipo di bisogno), i bambini della scuola dove aiuto la Madame, bambini che in realtà vedo poi ovunque perché sono sempre qua in giro (non è che abbiano proprio tanto da fare), i dipendenti dell’ospedale che ogni tanto passano dal nostro bureau, e i malati che vengono qui per curarsi. In modo particolare i malati di tubercolosi, che devono vivere qui per i primi due mesi della terapia, e da cui andiamo tutte le mattine per provargli la febbre e distribuire loro le medicine. Non hanno davvero nulla da fare qui, ed è bello, nel tempo libero, poter andare da loro, giocare a calcio (anche se a dire il vero di solito io guardo), giocare a UNO (mettere in premio dei biscotti attira sempre molti giocatori!) e fare due risate (per fortuna la risata è contagiosa e non c’è bisogno di capire cosa stanno dicendo!). Anche a loro poco importa che uno parli perfettamente malgascio, a loro interessa solo stare in compagnia, dimenticare per un po’ che sono malati e che sono obbligati a stare qui, e per questo non c’è bisogno di parole.
Come avrete potuto intuire l’ostacolo della lingua per me è stato molto forte. Il primo mese qui ad Ampasimanjeva non vi nascondo che non è stato proprio una passeggiata. Essere accolta così serenamente, con semplicità, con gratitudine e con tanta gioia per il mio arrivo e sentirsi incapaci di ricambiare è faticoso. È faticoso imparare ad ascoltare, anche senza capire; è faticoso cambiare completamente i ritmi della giornata; è faticoso imparare ad aspettare, ad avere pazienza, a vivere la giornata senza fare troppi programmi; è faticoso ammettere le proprie difficoltà e soprattutto è faticoso chiedere aiuto. Ecco, all’inizio Ampa è stata tutto questo. Poi piano piano ho imparato a sfruttare i momenti di preghiera per affidare al Signore le mie fatiche, ho imparato a stare in mezzo agli altri, ho imparato a ricambiare la loro accoglienza con piccoli gesti, tanti sorrisi e ogni tanto anche qualche figuraccia. Condividere i miei pensieri con la Cristina (l’altra volontaria che è qui da più di un anno) mi sta aiutando a prendere coraggio, a sentirmi più sicura. E piano piano (mora mora come direbbero qui) sto scoprendo la bellezza di Ampa, la bellezza dell’essenzialità e della semplicità con cui si affrontano tutti i giorni, senza tante distrazioni inutili, la bellezza di avere tempo per scoprirsi, tempo per pregare, tempo per fermarsi, e tempo per divertirsi. Sono contenta. Questi primi mesi sono stati più un cammino di crescita personale che forse avevo bisogno di fare prima di iniziare a sentirmi un po’ a casa anche qui, nel posto giusto al momento giusto.
Detto questo concludo con il saluto malgascio:
Misaotra betsaka! Veloma! Mandrampioana!
(Per quelli che ancora non sanno il malgascio: Grazie mille! Arrivederci! A presto!)
Tanti saluti da Ampa!
Giulia

madagascar, le tipiche risaie in campagna

Tra lemuri, orchidee, solidarietà e 50 anni di missione

Ho avuto la fortuna, l’onore e la gioia di far parte della Delegazione diocesana in visita al Madagascar per il 50° della Missione della Diocesi di Reggio Emilia.
Donata Frigerio ha già abbondantemente relazionato sulla Libertà circa le solenni e partecipate celebrazioni nelle varie città dove siamo presenti dal 1967 quando la prima equipe con don Mario Prandi, don Pietro Ganapini, Suor Bernadette, Suor Margherita, e qualche laico sbarcò nell’Isola Rossa.

Raccontare il Madagascar è come leggere un libro di storie, ogni luogo ha i suoi colori caratteristici, le sue tribù con storie e tradizioni millenarie che ancora sopravvivono, la sua natura peculiare e i suoi animali unici ed indimenticabili. Volevo in questa occasione fare un raffronto tra il viaggio che feci quasi 30 anni fa e quello dei giorni scorsi Ma già scendendo all’aeroporto di Ivato con il super traffico di Tananarive, inizio subito a capire che nulla è cambiato nelle condizioni di vita dei malgasci: tutti ancora per strada, bancarelle improvvisate, gente ammassata che aspetta taxi-be, signore che lavano panni nel fiume. Incontro, esattamente come la volta scorsa, tanta gente a piedi, tutti camminano, spesso senza scarpe, tanti bimbi che giocano, le donne, nei loro abiti colorati, in testa portano di tutto, taxi-brousse stracarichi di gente e merce.

Nel 50 anniversario gli zebu tirano ancora i carrettiPoi “strade” (se si possono definire così) dove incrociamo taxi-brousse (pulmini stipati di persone e merci e animali fino all’inverosimile), carretti trainati da zebù, bambini, bambini, bambini… Un proverbio malgascio (ce ne sono tantissimi colmi di sapienza popolare) dice che “la vita è miele (quindi dolcissima) e aloe (quindi amarissima)” e rende veramente l’idea dei contrasti e delle contraddizioni di questa terra malgascia: da una parte le bellezze dell’Isola, forse la più bella del mondo: i primi navigatori che approdarono sulla costa del Nord a Nosy-be pensavano di essersi trovati in Paradiso, dall’esplosione della natura, uno scrigno rimasto intatto per 160 milioni di anni daquando si staccò dal Gondwana, con una flora e una fauna uniche al mondo, poi la bellezza degli abitanti nella pratica dell’ospitalità, dell’accoglienza, della dolcezza, gli sguardi, le strette di mano, i gesti di benevolenza, i volti, i sorrisi di tutti, in particolare dei bambini (credo che fra le decine di viaggi che ho fatto per il mondo, questi siano i sorrisi più radiosi, splendenti, contagiosi che abbia mai visto).

D’altro canto credo che sia anche un Paese tra i più poveri del mondo, con il reddito pro-capite più basso in assoluto, e quindi si avverte subito la durezza, la fatica, la pesantezza del vivere quotidiano che non ha avuto nessun progresso significativo in questi ultimi 30 anni. Tutti i “nostri” progetti reggiani di RTM, del Centro Diocesano Missionario, della Ravinala, delle Case della Carità, dei Servi della Chiesa, sono invece altrettante eccellenze nel Paese, da Bevalala, alle Scuole di don Ganapini e di RTM, a Ambatolampy con la lavorazione dell’alluminio, a MarosoKatra nell’Azienda Agricola con l’inossidabile Giorgio Predieri, ormai malgascio da oltre 40 anni, le scuole di Zanantsika, poi a Manakara la confiturerie, e tutti i progetti seguiti da Luciano Lanzoni pure lui ormai figura storica da oltre 30 anni in Madagascar, l’Ospedale di Ampasimanjeva con il Dott. Martin. Le nostre sono veramente delle “oasi” fortunate, delle opportunità straordinarie, potremmo dire con il Salmista “Venite e vedete le Opere di Dio, Egli ha fatto prodigi sulla terra” rispetto invece al resto del Paese che non decolla, per le vicende politiche, sociali ed economiche che si trascinano fin dall’indipendenza dai francesi nel 1960, per la corruzione, per l’incapacità dei Governi di formulare piani di investimenti per il lavoro, per l’educazione, igiene, scolarizzazione, di trovare soluzioni ai problemi che attanagliano il popolo, per cui il Paese resta un’Isola alla deriva, addirittura dimenticata oltre che dallo Stato, dagli Organismi internazionali, dalla Comunità Europea ecc.

50 anni di madagascar vediamo lavori faticosiE noi occidentali troppo abituati alle comodità, ai comfort, al benessere, restiamo destabilizzati davanti ai mille inconvenienti del viaggio, e percorrendo la strada RN7, l’unica asfaltata (si fa per dire!) del paese, naturalmente non possiamo evitare alluvioni in questa stagione delle piogge che distruggono ponti, creano voragini e costringono a deviazioni, così se in un posto manca l’acqua si è costretti a fare la doccia con il secchio, oppure viene meno la luce o si resta a piedi con il pulmino, tutte cose che ci sono successe.

 

Ci sarebbe proprio da imparare la grande lezione di questo popolo: la pazienza!! Per rivedere i nostri pregiudizi… per rispondere a domande, o magari, farsene altre, interrogativi inquietanti sul nostro stile di vita, sull’individualismo, menefreghismo e indifferenza così diffusi nei nostri paesi Europei e per restituire nome e valore alle cose essenziali e a quanto di superfluo e di inutile ci siamo dati in questa nostra società edonistica e consumistica. Devo dire che i 24 componenti la Delegazione Diocesana, tutti coinvolti in qualche modo nell’ambito Missionario (preti e suore comprese), hanno capito esattamente il senso e l’obiettivo di questo viaggio responsabile e si sono adattati alle condizioni di disagio senza le litanie di lamentele come avviene di solito a casa o nei viaggi ordinari. Visita al Parco Nazionale di Ranomafana. Bellissima ed intricata foresta pluviale a 800 metri di altitudine che ci permette di incontrare i lemuri dorati, i sifaka neri ed una minuscola specie di camaleonti di pochi centimetri. Istituito nel 1991 grazie alla scoperta, qualche anno prima, del lemure dorato del bambù (Hapalemur aureus, una specie a forte rischio di estinzione), il Parco Nazionale di Ranomafana si estende su una superficie di circa 40.000 ettari distribuiti tra colline di media altitudine (800-1200 m) ricoperte da foreste e attraversate da piccoli corsi d’acqua che si gettano nel fiume Namorona. Oltre al lemure del bambù, il parco di Ranomafana è habitat di altre 11 specie di lemuri, tra cui alcuni molto rari e con gravi minacce di estinzione, come il lemure dal naso grigio (Prolemur simus), il maki lanoso (Avahi laniger), il sifaka di Milne-Edwards (Propithecus edwardsi), il lemure dal ventre rosso (Eulemur rubriventer) e l’aye-aye. C’è infine una cosa che mi ha fatto riflettere e lo farà ancor più nei giorni seguenti, in questo panorama di luce e ombre, di ricchezza e di povertà, di miseria e di dignità: quel piccolo seme gettato il 23 Novembre dl 1967 in quella terra benedetta ha germogliato e fruttificato: 15 Case della Carità , 63 Suore, 7 Novizie, 7 novizi fratelli, un centinaio di Servi della Chiesa, e tutti i progetti RTM-CDM-Ravinala che hanno impegnato centinaia di volontari laici: sembra proprio che Dio voglia provocare la nostra Chiesa Reggiana, dove avviene il fenomeno inverso, calo di vocazioni, chiusura di Case della Carità, Messe e Sacramenti disertati .. e c’è da ringraziare il Vescovo Massimo per aver deciso di inviare due Sacerdoti giovani – Don Simone e Don Luca – nonostante le difficoltà che si creano in Diocesi per la cronica mancanza di preti: ma la ricchezza straordinaria che viene dallo scambio con Chiese sorelle chiede che si continui in questa avventura sicuri che Dio non mancherà di benedire, di colmare di grazie e di abbondantissimi frutti, gli sforzi di chi spende qualche anno o tutta la vita al servizio della Missione. Ricordiamo perciò, pieni di gratitudine, chi ci ha preceduto ed ha tracciato la strada di questo cammino meraviglioso che vede ancora oggi comunione e unità di azione tra sacerdoti, religiosi e laici. Si tratta di una formula e un modello esemplare che sarebbe prezioso da applicare anche alle nostre Unità Pastorali, che spesso non cercano di unire risorse, energie, opportunità ma continuano nella resistenza della propria individualità parrocchiale campanilistica invece di avere uno sguardo più lontano e lungimirante.
Grazie Roberto Soncini del CDM per averci guidato con tanta pazienza (davvero malgascia!!) sapienza e competenza nel nostro Pellegrinaggio.

Correggio, 3 Dicembre 2017 1° Domenica di Avvento

Enos Rota

i bambini fanno i compiti ad Ampasimanjeva

Ti auguro tempo

Ampasimanjeva, 21 ottobre 2017

“Ti auguro tempo.
Ti auguro tempo per divertirti e ridere.
Ti auguro tempo non per affrettarti e correre.
Ti auguro tempo per meravigliarti,per stupirti,per avere fiducia.
Ti auguro tempo per sperare ed amare.
Ti auguro tempo per sentirti fortunato ogni giorno”.

E’ ormai passato quasi un anno da quando mi hanno regalato queste parole su un bigliettino, poco prima della mia partenza.
Un anno, tanto o poco tempo, dipende un po’ dai punti di vista (chiedetelo a mia mamma!). Ma tempo in cui davvero mi sono divertita, meravigliata, sentita viva. In cui ho riso, pianto, a volte corso un po’ troppo (non solo sul campo da calcio!), camminato scalza, cantato, accolto mani tra le mie. Tempo in cui ho amato, con le mie fragilità, le mie fatiche, aprendo il mio cuore sempre troppo piccolo.
E mi sento tanto fortunata, non lo dico perchè voglio farvi credere che sia tutto rosa, lo sento davvero. Anche nei giorni in cui qualcosa non va, fuori o dentro di me, in cui sono più stanca o triste, c’è SEMPRE un momento, una situazione, un gesto in cui il mio cuore trova pace ed è grato di essere amato, nella semplicità di quello che è. Ogni giorno.

i bambini fanno i compiti ad Ampasimanjeva

A volte è qualcosa di inaspettato, che stupisce.
Richard, un ragazzino ricoverato per due mesi all’ospedale a causa della
tubercolosi, che tornando per il controllo mensile mi porta un bellissimo braccialetto con sopra ricamato il mio nome, fatto da lui.
La Claire che smette di piangere e si calma guardando il vento che accarezza le foglie.
Bertrand che ti sorride a 32 gengive.
Piccole mani che si infilano tra le mie durante i bans.
Un uomo in taxi-brousse (una specie di pulmino per lunghe tratte) che mi mostra il suo villaggio sorridendo, felice di di poter rientrare a casa.
Un viaggio in moto, attraversando tanti villaggi, immersa tra il verde abbondante e vivo della natura, il rosso della terra, l’azzurro del cielo. Ogni cosa illuminata dalla calda e morbida luce del sole che ne risaltava i contorni.

Altre volte, invece, sono momenti che hanno richiesto tempo per essere preparati.

La nuova aula dei bambini dell'ospedale di Ampasimanjeva Ad inizio settembre abbiamo trasferito la piccola classe dell’ospedale in uno spazio più grande, un’ex struttura in legno utilizzata per progetti di RTM, ed è stata una grande gioia. E’ proprio bello che i bimbi finalmente abbiano ognuno il proprio posto a sedere, che nessuno sia rimandato a casa per mancanza di spazio, che aprendo le finestre tutto sia illuminato dai raggi del sole, che ci sia un ampio cortile dove poter correre e giocare liberamente.  Mi sento fortunata ogni volta che entro in classe ed i bimbi salutano urlando: “Akory Cristinà!”, mi sento fortunata ancora prima di sapere cosa imparerò in quelle ore.
E mi sento fortunata per l’incontro con i ragazzi del Campo estivo ad Agosto, per aver camminato assieme a loro, scoprendo passo dopo passo nuove sfumature del Madagascar e dei loro cuori.
E per il dono dell’Anna, che in quest’anno è stata una compagna di viaggio speciale e indispensabile.

le suore della Carità ad AmpasimanjevaAnche il tempo con le suore è molto prezioso. Mi insegnano come ogni giorno sia buono per donarsi agli altri, che siano i malati, i bimbi abbandonati, noi italiani, qualcuno che chiede un po’ di riso, un po’ di legna. E lo fanno davvero in totale umiltà, senza lamentarsi. Sono fortunata ad averle accanto.
Ed è bello vedere come questa famiglia della Casa della Carità si allarga sempre di più: il 14 ottobre a Tanà quattro ragazze giovanissime hanno preso i primi voti. E’ stata una grande emozione vederle indossare l’abito e il velo, felicissime, circondate dalla gioia contagiosa delle altre suore, degli ospiti, dei propri parenti venuti da villaggi lontani. Mi auguro davvero che questa gioia contagiosa le accompagni ogni giorno.

E auguro anche a voi di avere tempo per sentirvi fortunati. Nella semplicità delle piccole cose.
Vi auguro di fermarvi di fronte ad un arcobaleno, durante una passeggiata di lunedì pomeriggio, e sentire qualcuno che sussurra “Dio crea veramente cose belle”.

Un abbraccio forte,
Cris

La festa con Virginia e Federica e Don Stefano

Impressioni di settembre (dall’Albania)

Bentornati!
E ben torniamo a raccontarvi di questo mese che è passato. La vita di Gomsiqe non batte piano: al contrario della Premiata Forneria Marconi (da cui prendiamo il titolo di questo resoconto), la vita di questo settembre è stata forte ed intensa.

Anche perché abbiamo dovuto salutare metà dell’arca di Noè: il 7 è tornata a casa la Franci e il 14 l’ha seguita Don Stefano. A tutti e due un grazie di cuore per questa vita percorsa insieme; rrugë të mbarë, jetë të mirë dhe vazhdoni
mirë në Itali (= Buona strada, buona vita e continuate bene in Italia)!Anche se proprio vuota l’Arca non è rimasta, anzi: in questi 30 giorni una fauna variopinta ha sostenuto le missionarie rimaste. Prima Dodi ed Ermanno, poi una delegazione di reggiani (e di cremaschi) ed infine Don Pietro Adani e Tommaso Guatteri.

E ognuno di loro ci ha arricchito, alcuni con le risate, altri con la cucina e altri ancora aiutandoci a riordinare tutta casa (garage compreso!). Ogni ospite ha portato gioia, ma la vera bellezza è stata poter vivere insieme i momenti forti: il saluto alla Franci e a Don Stefano nelle varie parrocchie e l’accoglienza del nuovo Vescovo di Sapa, Simon Kulli (il 14). Ma siamo riusciti anche a fare un giretto a Krujë, in occasione del compleanno della Virgi.

 

 

Passati questi eventi, l’arca di Noè ha continuato a navigare cercando una quotidianità tutta nuova e che ancora si sta stabilizzando (ma quando mai a Gomsiqe ci sono cose stabili?!). Con l’aiuto di Vilma, nostra collaboratrice da ormai 3 anni, stiamo riprendendo le attività: abbiamo iniziato il lavoro con le donne (martedì e venerdì), il catechismo, gli incontri con gli adolescenti e sosteniamo 5 nostri ragazzi che vivono nel convitto dei salesiani di Scutari.

In tutto questo, la comunità di Gomsiqe si è traslocata a Vau-Dejes, sopra la casa di Carità: Suor Grazia e Suor Rita stanno scoprendo le doti culinarie delle Gomsiqiane mentre le ragazze dell’arca vivono con i piccoli! Meglio di così?

Un saluto a tutti!

Virgi e Fede, Fede e Virgi.

P.S: Se andate in Montenegro, prendetevi dei telefoni che funzionino. E una cartina.

 

 

P.P.S: Il pranzo del vicino è sempre più buono.

P.P.P.S: Siamo belle.

P.P.P.P.S: Bel tempo e mal tempo non dura tutto il tempo.

P.P.P.P.P.S: Cià.

 

Voi stessi date loro da mangiare

Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.  (Mt 14, 15-21)

Ho deciso di iniziare questa riflessione con un brano del Vangelo per ricordare a me stessa e a voi tutti che spesso quello che serve è solamente la nostra fiducia. La certezza di potercela fare, nonostante tutto, a sfamare “la folla” con il poco che ci sembra di avere e di poter dare.  La storia di RTM ci insegna questo, a fare le cose con fede, a credere che nella condivisione il pane si moltiplica!

Quando mi chiedono quale è il legame tra RTM e la Missione diocesana in Madagascar non posso non pensare a questo brano del Vangelo.

Ricordo ancora uno dei miei colloqui con Don Paolo Ronzoni, i miei dubbi, la paura di non poter dare nulla, la consapevolezza che non sapevo fare cose che potessero servire al Madagascar e al suo popolo… e lui sorridente mi disse soltanto: “pensa se quel ragazzino non avesse offerto i suoi pani a Gesù… lui non avrebbe avuto nulla da moltiplicare. Tu non preoccuparti mettiti solo a disposizione …”

RTM è nato così, dalla volontà di Don Mario Prandi, dalla partenza di quella Chiesa partita per incontrare una Chiesa sorella, dall’idea di inviare una comunità. Non solo dei “missionari” ma una rappresentanza di Chiesa fatta di preti, di suore e di laici, ognuno con le sue specificità e i suoi compiti, ognuno partecipe di un progetto di comunità che si incontrano e che insieme camminano.

Sono passati 50 anni da quella prima partenza, 50 anni di impegno, di condivisione, di fatica e di gioia.
50 anni di incontri. 50 anni di comunità, forse non sempre perfetta, perché le persone non sono perfette, ma comunque 50 anni di comunità. Credo che questo più di tutto abbia segnato la nostra missione, ciascuno di noi e anche tutti i missionari delle altre diocesi e/o congregazioni che hanno incrociato il nostro cammino. La Comunità, il fare famiglia, segni tangibili di un amore che travalica e va oltre.

Sono circa 400 i laici che sono partiti con RTM, nel tempo i progetti sono cresciuti, si è passati da piccole attività strettamente legata alla missione ad attività di più largo respiro che vanno ad affrontare i problemi intervenendo sugli operatori perché i progetti continuino anche dopo la fine dei finanziamenti.  Questo altro non è che il nostro modo per mettere a disposizione quei cinque pani e due pescidi cui si parla nella parabola.

Dalla comunità missionaria è poi nata Ravinala. 30 anni nel dicembre 2017. Nata dal lavoro di Don Giovanni Voltolini e da un idea di Don Piergiorgio Gualdi. Don Giovanni in Madagascar voleva dare dignità alle persone, voleva dar loro un lavoro e non solo carità. Don PierGiorgio voleva che si costruisse un ponte non solo da Reggio al  Madagascar ma bidirezionale, anche dal Madagascar all’Italia; così a dicembre 1987 nasce Ravinala. Legata a doppio filo alla Missione reggiana in Madagascar, legata soprattutto a un popolo che aveva ed ha tanto da condividere ma ancora oggi non ha di che vivere.

RTM crede nell’idea e da subito vita al primo progetto di sviluppo dell’artigianato. Ora sono 30 anni di commercio equo in Madagascar, circa 2000 artigiani che grazie al commercio equo hanno un lavoro e vivono dignitosamente. I figli che studiano, che si costruiscono un futuro, donne e uomini che affrontano finalmente la vita con il sorriso… anche questo è missione, anche questo è il frutto della nostra missione reggiana.

RTM, Ravinala, le Case della Carità, l’intera Equipe Missionaria hanno saputo incarnare pienamente il messaggio evangelico. Ogni volta che rifletto sul nostro andare, sul nostro fare, che forse a volte sembra troppo concreto e a tratti lontano dall’andare e predicare ripenso alla parabola del giudizio universale e, anche se mi sento profondamente indegna,  non posso non credere che, in qualche modo, stiamo facendo la sua volontà.

“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (MT 34-40)

Teresa Pecchini