Tag: Case della Carità

Diario di un Natale in Albania

Don Paolo Tondelli ha condiviso con la comunità cristiana nella Parrocchia del Sacro Cuore (Baragalla) in città la sua esperienza natalizia in Albania. Ha anche scritto un diario, che potete scaricare su questa pagina.       

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Don Ganapini festeggiato in una scuola

Il Buon Natale di don Ganapini

MAISON DE LA CHARITE, Tongarivo (Madagasikara), 21 novembre 2018

Carissimi amici tutti, familiari, CMD, AMGA, La Libertà, RTM, Servi della Chiesa, Rotary Club Parma Est, benefattori, ect…

Siamo già vicini al Natale, vicini pure alla fine dell’anno in corso e all’inizio del prossimo 2019.
Non dimentico la solita lettera di ringraziamento; riconoscenza doverosa a chi mi ha sostenuto, in vari modi: sostegno morale dell’amicizia e della simpatia, soprattutto se rafforzata dalla preghiera e anche dall’aiuto pure finanziario (mi perdonerete!… ne sapete i motivi…). Senza questo insieme di solidarietà fattiva, generosa verso i più poveri e spesso dimenticati, specialmente i bimbi della campagna, cosa avrei potuto fare da solo?
Niente! O… molto poco.

Sono migliaia ormai i nostri cari bimbi che, in coro, vorrebbero farvi giungere un GRAZIE così forte che sorpassasse l’oceano ed arrivasse al vostro orecchio! Sì, certo! Ma c’è pure un’altra persona, vicinissima a noi e a loro, che un giorno, 2000 anni fa circa, disse parole di altissimo significato e che nessuno potrà mai cancellare, perché parole di DIO FATTO UOMO, GESU’! Erano accorsi numerosi quei bimbi, sentendo che passava Gesù – forse lo Spirito glielo aveva ispirato – , mentre i grandi vicino a Gesù non li volevano tra i piedi, e Lui invece, indignato (Mc 10,14) ne prese le difese e disse: “LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME… e prendendoli tra le braccia li benediceva…” (Mc 10, 14-16). Poi ancora: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli l’avete a me” (Mt 25, 40). E infine: “Venite benedetti dal padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo…” (Mt 25,34).

Sono specialmente per voi dunque, carissimi, quelle parole: “venite benedetti dal Padre mio…”, perché avete loro dato il pane dell’istruzione, ect… Sì, credo che il giorno del Giudizio finale (e quel Vangelo indicato sopra che ce lo dice) saranno proprio loro, a migliaia, i nostri difensori migliori.

Dato che questa è la lettera di fine anno, vorrei aggiungere solo poche parole, perché è sempre un po’ imbarazzante parlare di sé. Ma sarò breve.

In alcune lettere ho già manifestato il mio desiderio, pienamente condiviso dai Superiori (Vescovi Socche, Gilberto, Paolo, Adriano, Massimo), riguardante il luogo in cui seppellirmi, quando sarà ora. Soprattutto per i Malgasci è molto sentito il desiderio di aver vicino anche nella tomba chi è stato loro vicino nella vita.
E’ notissimo il detto: VELONA, IRAY TRANO: MATY, IRAY FASANA (chi è stato vicino nella stessa casa, lo sarà pure nella stessa tomba). Dopo 57 anni da che ho condiviso con amore la vita dei miei poveri e cari Malgasci, come potrei separarmi da loro nella tomba? Tanto più che oltre il cimitero del clero malgascio (Ambohipò) c’è pure un angolino nel cimitero delle Suore delle Case della Carità (Ambohipànja), presso cui sono ricoverato da 12 anni, cioè da quando, dopo l’operazione alla colonna vertebrale a Parma, dovetti, per ubbidienza al Vescovo della diocesi di Tananarive, Mons. Odon, lasciare l’ultima parrocchia, di cui mi occupavo da 32 anni. Dovetti piangere. Ma era la volontà del Signore, che sempre infinitamente misericordioso con questo suo povero prete, poco tempo dopo da che ero stato accolto con tanta bontà in questa Casa della Carità, mi mandò un’ispirazione: “mi occuperò dei numerosi bimbi poveri della campagna che non sanno altro che condurre al pascolo le mucche, procurando loro un po’ di istruzione e di educazione cristiana… perché sono ancora missionario, e lo sarò, per la misericordia di Dio, sino alla fine”.

Così, oltre le adozioni dei bimbi poveri già accettati nella scuola, ma che non arrivavano a coprire la tassa scolastica necessaria per avere poi di che pagare i maestri, decisi pure di cominciare a costruire piccole scuole nelle zone in cui mancavano. Le buone persone, dal cuore generoso – CHE SIETE VOI – non mi lasciarono solo, e gli euro cominciarono ad arrivare… “Amici di don Ganapini” AMGA”…

Ed ecco le 94 piccole scuole (sono ora 96), le cui facciate potete vedere su un piccolo opuscolo che abbiamo preparato proprio per voi e che potete richiedere al Centro Missionario.

Vorrei inviare come saluto un ringraziamento e un augurio di un
BUONO, BUONISSIMO NATALE E ANNO NUOVO 2019

una melodia semplice, ispiratami dal testo di una breve poesia di quella Santa, per me grandissima, che è Teresa del Bambino Gesù. Ve lo racconto: si era a pochi mesi dalla mia ordinazione sacerdotale (13 agosto 1950). Stavo facendo due passi col rosario in mano, credo nel cortile vicino alla cappella dell’ex seminario di Albinea. Passò di lì, per caso, il Vescovo Mons. Beniamino Socche, che si fermò e mi disse: “Prendi, don Pietro. È una piccola poesia di S.ta Teresa del Bambino Gesù. Se ti interessa…”, e mi allungò il foglio. Lo ringraziai e me la lessi subito. Ne fui arcicontento e, gustando immensamente quel testo, con la stessa immediatezza ne buttai giù le note della melodia che si svolgeva nella mia testa, semplice e spontanea. Vi trascrivo le due strofe, che rivelano la profonda spiritualità della Santa di Lisieux: l’abbandono totale del bimbo che si sa seguito e custodito dalla Mamma e che trova in ciò la via per accedere alle insondabili ricchezze del Cuore di Gesù: sentimento di un cuore innamorato, ma non vano e superficiale sentimentalismo:

Rit.      DOLCE REGINA DI GIOVINEZZA,

CI SVEGLI ALL’ALBA TUA CAREZZA!

DURANTE IL GIORNO VEGLIA SU NOI

POI CI ADDORMENTA CO’ BACI TUOI!

  1. COM’E’ DOLCE APRIR LE LUCI

AL SORRISO TUO, MARIA!

COM’E’ DOLCE, O MADRE MIA

SUL TUO CUORE RIPOSAR!

  1. COM’E’ DOLCE OGNI TRAVAGLIO

A TE OFFRIRE COME UN FIORE

COM’E’ DOLCE NEL DOLORE

TRA LE BRACCIA TUE CADER!

Santa Teresa del Bambin Gesù, proclamata “Patrona delle Missioni” e Dottore della Chiesa

BUON NATALE e ANNO NUOVO 2019 dal vostro aff.mo e vecchio don Pietro Ganapini

la foto di tutti i missionari e le missionarie di Ruy Barbosa

Da Ruy Barbosa – novembre 2018

Carissimi tutti,

siamo qui, dopo alcuni mesi di silenzio, che sono stati mesi un po’ di corsa…

Nella seconda metà di luglio e in agosto abbiamo avuto vari incontri in Casa (i giovani del cammino vocazionale diocesano, la Messa con i religiosi della Diocesi, un gruppo di una parrocchia, venuto a passare una domenica con noi…) e fuori Casa (la formazione dei religiosi, l’”incontrone” delle Comunità di Base, a livello diocesano).

Settembre è stato un mese di ospedali: il nostro Francisco ricoverato prima qui a Ruy Barbosa e poi trasferito a Salvador, e sr Josiane che è stata operata a fine mese. Risultato: negli ultimi giorni di settembre quattro suore su cinque a Salvador…. e in Casa? Sono stati fatti alcuni appelli in parrocchia e in Diocesi, e con sr Laurence e Gleide si sono alternate varie persone, dando disponibilità per stare in Casa alcuni giorni o, chi è di Ruy Barbosa, iniziando un turno nella settimana. E chi ha iniziato a venire continua!

Grazie a Dio, Francisco dopo una settimana a Salvador è tornato a casa (fine settembre) e così ci siamo preparati per salutare sr Laurance, che dopo tanti anni di Brasile l’8 ottobre è tornata in Madagascar. L’abbiamo salutata con un pranzo con il Vescovo e i preti della nostra parrocchia, con gli ospiti e un po’ di amici di Casa, e con la Messa domenica 7 ottobre.  Grazie, sr Lori, per gli anni di servizio umile, generoso e gioioso! Obrigado!

Dal 19 al 21 ottobre sr Manuela e d. Luigi hanno partecipato all’Assemblea Regionale della CRB (Conferenza dei religiosi del Brasile), con i religiosi della Bahia e del Sergipe, a Salvador. E’ stata occasione di incontro e di conoscenza di altre realtà e di consacrati di altre Congregazioni. Questo ha permesso a sr Josiane, prima di tornare a Ruy Barbosa dopo un mese di convalescenza presso le Ancille della Carità di Salvador, di fare un corso di esercizi spirituali personalizzati, e di essere accompagnata fin qua da sr Lúzia, Livia e Jessica, del “Lar fonte da Fraternidade”, una casa dove alcune consacrate secolari, vivono con ragazzi disabili e lavorano per la loro integrazione.  Sr Lúzia non si è fatta sfuggire l’occasione per venire a conoscerci. Diceva che in Salvador ci sono solo tre realtà che lavorano con i disabili, e la sua è l’unica dove ci sono consacrati.

Il 9 novembre Nailton per un’ernia e Eniciêde per togliere alcuni denti, sono stati ricoverati e operati all’ospedale di Ruy Barbosa. I due interventi sono stati rimandati più volte per via dell’anestesista, che abita in un’altra città e non sempre viene qui. Siamo molto grati ai medici e al personale dell’ospedale, che ha messo a disposizione una stanza per loro due, una stanza “mista”. All’infermiera in difficoltà per compilare le carte, essendo che nella stessa stanza c’erano un ragazzo e una ragazza, è stato detto che loro sono “molto speciali”. Grazie a Dio si sono fermati solo una notte in ospedale, poi sono stati dimessi, e sono i due che non escono mai di Casa e forse mai da quando sono qui avevano dormito fuori casa…

Ottobre è stato anche mese di elezioni per il Presidente del Brasile e i governatori dei vari Stati di questa Repubblica Federale. E’ stato eletto Presidente Jair Bolsonaro, di estrema destra, che  inneggia alla dittatura militare, alle privatizzazioni, all’armamento, alla concessione del porto d’armi, vuole ridurre le spese per le politiche pubbliche per aumentare gli armanenti, si pone contro le minoranze… la situazione politica non è per niente buona, speriam che l’opposizione, che ha la maggioranza in Parlamento, riesca, dal primo gennaio, a lavorare bene.

Speriamo il bene, e preghiamo che le scelte siano per il bene dei poveri e dei deboli.

Non solo a livello di Brasile ci sono problemi, ma anhe nella nostra piccola realtà di Ruy Barbosa. Pochi giorni fa è stato ucciso un ragazzo di 25 anni alle sette di sera, in una strada che è sempre  piena di bimbi. “Guai a chi scandalizza uno solo di questi piccoli”, diceva Gesù nel Vangelo di ieri.

Che la Casa della Carità possa essere sempre un segno di amore di Dio, un luogo di semina della Civiltà dell’Amore, dove le relazioni si vivono in modo differente, come diceva qualcuno in un incontro qui in Casa pochi giorni fa!

 Chiediamo a tutti una preghiera per tutto il Brasile, per la nostra Diocesi e la nostra città, per la Casa della Carità, per alcuni giovani che si stanno interrogando sulla propria vocazione.

Um abraço a tutti!

Tutti noi di Ruy Barbosa

Ilaria in cucina

Buongiorno signora! Salama tompoko!

Sono passati ormai due mesi dal mio arrivo in Madagascar, e a me sembra passato così tanto tempo…

Sono arrivata circa nello stesso periodo dei campisti, e fin da subito ho avuto la fortuna di conoscere gran parte dei progetti e di realtà diverse, oltre alle Case di Carità. In questi primi mesi ho incontrato molte persone preziose, visitato diversi luoghi, ammirato innumerevoli paesaggi interrogandomi su ogni cosa. Essere a conoscenza di certe situazioni di difficoltà e di povertà, fa sentire sicuramente impotenti, ma dà la possibilità di aprire gli occhi e di trovare il proprio posto.

Ilaria con masera e altri in Casa di Carità

Attualmente vivo in Casa di Carità qui ad Ambositra, paese nell’altopiano molto affollato e molto colorato, dove studio la lingua. Il malgascio è senza dubbio una lingua difficile, strutture diverse e parole molto distanti dall’italiano! All’inizio quella della lingua per me è stata una delle difficoltà maggiori. Non poter comprendere la lingua di chi ti parla è tremendo, però allo stesso tempo è stato bello vedere come la comunicazione non sia fatta solo di parole, ma anche di gesti, sguardi che riescono a semplificarla. Di grande aiuto per me, sono stati gli ospiti della Casa, che non si aspettano grandi discorsi da me e mi fanno semplici domande. Basta condividere piccoli momenti con loro, rivolgere attenzioni, sorrisi ed esserci. Ad affiancare la difficoltà della lingua, vi era il timore di uscire da casa, del sentirsi chiamare almeno una decina di volte ‘Vazaha’. All’inizio per me era così ingiusto da farmi arrabbiare, poi ragionandoci non viene detto con cattiveria, ma semplicemente noi bianchi siamo oggettivamente diversi e si sa che il diverso è qualcosa di sconosciuto.

Insomma in questi primi mesi ho avuto un gran da fare. Ho conosciuto la realtà della Caritas insieme al Mompera Max, ho vissuto un mese a casa di Nicola, ho studiato, ho incontrato Frate Leonard tornato dall’Italia per le vacanze, sono stata con la Luigina e i bimbi, ho rivisto la Masera Florance che è qui in Congé della mia Casa di carità a Cavriago e ho passato alcuni giorni a Fiarantsoa in occasione dei primi voti dei Fratelli. Attualmente mi impegno ogni giorno in Casa di Carità perché c’è sempre bisogno, le Masere e gli ausiliari sono molto accoglienti con me facendomi sentire a casa. L’esperienza in casa per me sta avendo la massima importanza nel mio percorso, ne sono molto contenta. Ho capito ancora di più la sua importanza nella mia vita, ed è un tramite tra me e il Signore per conoscerlo meglio ogni giorno.

Tra un mese andrò ad Ampasimanjeva e li inizierà il mio progetto, non vedo l’ora. Credo di aver provato quanto sia faticoso ascoltare senza capire, aspettare, non farsi programmi perché tanto qualcosa verrà cambiato, e chiedere aiuto. Giorno per giorno ho imparato a vedere con occhi diversi la realtà di Ambositra e a trovare i suoi lati positivi, a mischiarmi con la gente. Credo però che la forza ti venga dall’alto che ogni giorno bisognerebbe ascoltare e cogliere quei segni che Lui ci manda. La cosa più importante è che non si è mai soli, c’è sempre qualcuno con te anche se non lo vedi, e questa è una grande certezza.
Un saluto a tutti, Veloma e Amin’ny Manaraka (arrivederci e alla prossima).

Ilaria

con i bambini di Anorambato, mani fangose e gioiose

Madagascar: le mani ed i gesti che fanno bene al cuore

“Mani, prendi queste mie mani, fanne vita fanne amore…”

 

 

In questi 25 giorni di campo missionario in Madagascar ne ho incontrate davvero tante di mani che hanno lasciato in me un segno.
Mani pronte a riabbracciare con gioia incontenibile un’amica che in questi mesi è stata luce.
Ha permesso di far nascere in me tante domande, tanti desideri e fra questi, anche quello di andare là a rincontrarla e incontrare.

Mani sapienti di Sasà, ospite della casa di carità di Tongarivo, che mi ha preso per mano e mi ha guidato a scoprire le bellezze nascoste di quell’oasi di pace, come ad esempio un piccolo camaleonte in un orto fatto con tanta cura.
Mani di Edmund, ospite invece della casa di carità di Ambositra, con gli occhi che lacrimavano e, sotto la luce del sole, luccicavano. Sono mani che mi hanno stretto con gioia e che hanno fatto sparire tutto il resto intorno: quelli che noi chiamiamo i nostri difetti, la mia ignoranza della lingua malgascia, le chiacchiere dei miei compagni e degli altri ospiti. In quel momento c’eravamo solo io e lui e le nostre anime che si incontravano in silenzio.

Mani sporche e segnate ma instancabili degli artigiani di Ravinala che ho incontrato lungo la strada. Grazie alla loro creatività lavorano materiali grezzi per dare vita a gioielli in alluminio, a piccole pochette di rafia, a statuette intagliate di legno, a macchinine in latta.
Mani volenterose dei volontari di RTM ad Antananarivo e a Manakara, che progettano e si impegnano con anima e corpo per lottare contro problemi sociali importanti come la lebbra.

Mani stanche, arrabbiate, tristi, rassegnate, ma anche resistenti degli uomini carcerati di Ambositra e degli ospiti del villaggio terapeutico di Ambokala, che si sono rianimate giocando insieme a noi a pallavolo e a calcio.
Mani calde e fangose di tutti i bambini che ho incontrato, che mi hanno schizzato con l’acqua della cascata di Anorombato, che hanno giocato con me alla Ludoteca Papillon, che mi hanno accompagnato a conoscere il villaggio di Ampasimanjeva.
Mani contente di piccolini che mi hanno imitato nei gesti dei bans al campo estivo alla ferme di Analabe, che hanno acchiappato forte i giochi portati nel cortile di Suor Luigina ad Ambositra, che sono così abituati ad essere autonomi da rifiutare il mio aiuto per spostarsi da una passerella all’altra ad Anatihazo.
Mani di bambine che hanno una cicatrice che assomiglia tanto alla mia o che si sono tenute forti al mio braccio mentre nella schiena avevano dietro una piccola sorellina e ancora l’altro pollice in bocca.
Mani di tutti i ragazzini che ci hanno salutato alla fine con gratitudine e senza lamentarsi, sapendo forse loro, fin dall’inizio, che tutto ha una fine?

Mani perseveranti di chi ha deciso di restare, di dedicare la sua vita a quel pezzetto di terra perché “è davvero tutto regno di Dio”.
Quindi eccole le mani ancora forti e tenaci di Don Pietro Ganapini, che mi hanno donato un libretto sul suo progetto della DIDEC, fatto stampare apposta per noi.
Ma anche mani umili, pazienti e materne di Suor Giacinta, di Suor Luigina e di tutte le altre masere che mi hanno accolto, che lavorano nell’ombra e sono così semplicemente madri e sorelle di tutti.
Mani laboriose dei monpera orionini di Anatihazo, che con la loro scuola professionale di falegnameria, fondata da Don Luciano Mariani, provano a dare speranza ai giovani che nascono in uno dei quartieri più poveri della capitale.
Mani sagge dei monpera e dei capi villaggio del gruppo degli Zafimaniry, che resistono nelle foreste e che provano a costruire qualcosa grazie alla solidarietà e alla provvidenza. Sono le loro mani grate, che ci hanno ringraziato così tanto per essere andati fino a là, in quel posto sperduto, solo per incontrarli.
Mani umili di Don Giovanni Ruozi, che hanno saputo indicare i pezzettini di quella chiesa, non solo fisica, di Manakara costruita con tanta fatica e passione.

Mani pronte ad accogliere, dei volontari, che mi hanno mostrato ancora con stupore i loro progetti e il punto in cui sono arrivati nella loro faticosa ricerca quotidiana.
Mani uniche dei miei compagni di viaggio, che hanno saputo tutte esserci, sostenere, accarezzare, coccolare, abbracciare, scherzare, condividere, sfiorare il cuore, per portare un po’ i pesi insieme.
Le loro mani a cui ho potuto affidarmi fiduciosa nei momenti di difficoltà e che mi hanno stretto tanto forte prima di lasciarmi alla fine andare.
Mani speranzose di tutti noi insieme che, durante le messe, nel momento della pace, si sono strette forti e si sono alzate in alto per poterle offrire tutte a Lui.

Ringrazio il Signore per avermi donato occhi e cuore per vedere il bello in ogni piccolo gesto di amore durante questo viaggio e per percepire la sua presenza dietro ad ognuna di queste mani.
E alla fine, ho capito che aveva ragione Suor Roberta della casa di carità di San Giuseppe: “Cercalo, non smettere mai di cercarlo, è faticoso, ma è l’unica cosa per cui vale la pena vivere!”.

Elisa Carpanoni

Il gruppo di Reggio Emilia in posa

Dal Rwanda – mettersi in gioco

Kabarondo 2018 – Case Amahoro Rwanda

Le prime condivisioni del gruppo che si trova in Rwanda

Due anni dopo…. è il secondo martedì davanti al Signore a Kabarondo; come diceva sempre don Gigi… per metterci in ginocchio…
Siamo in questa casa, scelta come primo passo, primo ingresso, primo rientro… per noi che siamo ancora in tre, Giorgia, Veronica, Maurizia.
Siamo già passate nelle altre Case per salutare e vi ritorneremo per fermarci alcuni giorni in ognuna, anche con gli altri che arriveranno il 3 agosto, Valentino, Giacomo, Sofia e Sonia.
Signore aprimi il cuore, ho chiesto come prima cosa atterrando all’aereoporto di Kigali!
Come sono entrata nella prima Casa, a Mukarange, ai primi abbracci, … mi si è aperto tutto, era come se non fossi mai ritornata in Italia!
L’incontro con le persone di Casa è stato come una bomba in esplosione dentro di me, … quanto è rimasta forte la vicinanza nello spirito, il senso delle nostre condivisioni, condivisioni della vita, nella preghiera, nel quotidiano, nelle relazioni con l’esterno: parrocchie, diocesi, italiani.
In questi anni hanno elaborato modalità di comunione nella preghiera, stanno rinforzandosi nella vita comunitaria e sono molto contenta di sentirmi raccontare tante cose in uno scambio fraterno, di sorellanza.     Una ventata dello Spirito che ha fatto riprendere vitalità, presenza, significato.
Pendo e gli altri giovani che vivono e vivevano(come Emanueli) nelle Case sono cresciuti e stanno facendo scelte responsabili per il loro futuro; ragazze volontarie si sono sposate e alcuni sono diventati genitori… è davvero molto bello accogliere ed essere accolti e poterci scambiare il nostro bene e le varie novità che la vita ci ha fatto incontrare.
Anche nell’incontro con le altre persone esplode la gioia della relazione condivisa, riprendono vita situazioni e legami e la relazione si allarga, prende corpo come comunione e tutto ritorna a te, Signore:

“... Viviamo in Te, o Soffio di carità,
sorgente viva nei nostri cuori, acqua che mormora incessante:
-Vieni verso il Padre che ti attende!-
Sei trasparenza di un amore che sostiene il cosmo,
in noi presenza della Pasqua del Signore,
grido che anela sempre al suo ritorno!” (CFC)

Grazie sempre al Signore e a voi tutti, un abbraccio, Mauri

“Il mio toccare la loro vita, il nostro sfiorarci e conoscerci, sono significativi: forse l’uomo esiste proprio nel momento in cui incontra l’altro”. (Alex Zanotelli)

Se dovessi racchiuedere questa prima settimana in una parola sceglierei “incontro”. Sono stati giorni ricchi di abbracci, di sguardi, di sorrisi e di comunione. Sceglierei la parola “incontro” perchè mi fa pensare al “venirsi incontro”, tu fai un passo verso l’altro, che lo fa verso di te. Conoscevo bene il mio “passo verso” e la mia voglia di tornare ad essere qui, dopo due anni. Ma è stato emozionante arrivare ed essere chiamata per nome da chi, due anni fa, ha condiviso un piccolo pezzo di strada con me. Risentirsi a casa,come se non fossi mai andata via davvero. Tornare a condividere la quotidianità nelle cose più semplici. Abbiamo ricevuto un’accoglienza speciale, di cuore, silenziosa e raccolta intorno ad un altare in preghiera, fino a diventare un’esplosione di canti e balli a ritmo di tamburo. Mi sono di nuovo sentita parte di qualcosa di grande, qui dove la vita e la gioia di esserci prendono forma.

Un abbraccio, Giorgia

“Colui che semina il buon seme è figlio dell’uomo”. (Mt 13, 37)

Da questa esperienza spero di lasciare il mio seme, fiduciosa che esso cresca e porti con sé legami profondi con radici forti.  Veronica

“Essere missionario per me ha significato bussare alla porta di persone in nome di Colui che sta alla porta di ogni cuore, bussa e aspetta. Entrando, vi scopre un giardino e vi cerca un tesoro. Trovatolo, lo prende, gli da la sua luce, lo presenta allo smemorato proprietario e sparisce, tra lo stupore dei vicini e il canto degli angeli…”
Don Emanuele Benatti

Arrivati in Rwanda i miei sensi hanno dovuto abituarsi subito a nuovi colori, nuovi odori e nuove  parole di una lingua sconosciuta. Le cose per me più semplici e naturali nella quotidianità, qui sono state messe in discussione e mi hanno permesso di mettermi in moto per scoprire nuovi modi di relazionarmi e di porre al centro l’ altro. In questi pochi giorni, qui in Rwanda ho imparato a mettermi in discussione per ricercare la mia essenza che mi porta inevitabilmente a uscire dai miei limiti e dalle miei sicurezze per andare incontro all’altro e alla ricerca di un QUALCOSA.

Un nuovo cielo; una nuova terra da percorrere; un nuovo sorriso un po’ ebete da donare quando non hai capito nulla di ciò che ti è stato detto; un sorriso donatomi da accogliere e custodire gelosamente.

Questo per me, sono i primi giorni di Rwanda!!

buon cammino, Sonia!

“Il pellegrino è colui che cerca, accettando l’incalcolabile rischio di trovare veramente. Perché trovare significa non essere più quello che si era prima.”
D.Gandini

L’esperienza nelle case Amahoro si è presentata fin da subito sotto forma di cammino. Un cammino all’inizio impetuoso e sorprendente ma soprattutto fuori da ogni aspettativa. I primi giorni di cammino sono sempre i più intensi, dove vengono fuori le prime difficoltà, le prime paure tutto questo però guidato da un enorme entusiasmo. Mi sono letteralmente fatta travolgere dalla vita dei Rwandesi scoprendo un popolo accogliente e sincero. E’ difficile spiegare la bellezza e le mille sensazioni che sto provando, le cose da imparare e scoprire sono ancora tante. Per ora continuo a camminare seguendo le parole di Don Luigi Guglielmi: “Guardatevi dal fare troppe cose, ma cercate di essere SEGNO.”  Sofia (nome rwandese: Fossia)

 

Sono arrivato da pochi giorni, ma le sensazioni che ho avuto sono molteplici e una diversa dall’altra, se non addirittura agli opposti: paura, tranquillità, rabbia, pace, stanchezza mentale, vitalità, amore, dubbio e certezza.
La certezza di cui parlo non è presunzione, ma è certezza che nel bene o nel male quest’esperienza mi cambierà.

Spero di fare dono di tutto: dalle esperienze negative per tramutarle in ricchezze e di quelle positive per darmi forza. Una  forza che vorrei portare in Italia, per sentirmi vivo e utile e, chissà, riportare qua per acquisirne di nuova. Qui è tutto diverso e siccome so che la diversità porta a conoscenza e la conoscenza a crescita allora dico che è arrivato il momento di mettersi in gioco e di apprendere questo “diverso”; il tutto sentendomi sempre un passo indietro per poter osservare e, in questo modo, camminare con coscienza senza arrivare mai! Giacomo

Mons Kambanda con lo staff del CMD

Case Amahoro e missione in Rwanda

«Anche se passa le sue giornate altrove, Dio ritorna ogni notte in Rwanda» cita un antico proverbio ruandese per dire la bellezza dei luoghi e la vicinanza dei ruandesi a Dio…

In questi giorni abbiamo accolto con gioia la visita di Mons. Antoine Kambanda, Vescovo di Kibungo, sede della nostra Chiesa sorella in Rwanda dal 1995. Ne abbiamo approfittato per chiedere aggiornamenti sulla vita della diocesi e delle Case Amahoro, la cui storia si lega alla nostra.

Nella diocesi di Kibungo ci sono infatti tre “Case Amahoro”. Tre case in cui vivono alcuni tra i più poveri, emarginati, malati della zona. Le Case, che hanno sede in località Bare, Kabarondo e Mukarange, sullo stile delle Case della Carità della nostra diocesi, vivono la stessa spiritualità e vita semplice ed accogliente. Sono gestite da volontarie permanenti, donne che hanno di fatto consacrato la loro vita (la più anziana abita nelle Case dalla loro apertura, nel lontano 1995) al servizio dei bisognosi. Attorno ad ogni Casa, che ospita circa 20 persone in stato di necessità e che è situata accanto alla parrocchia di riferimento, gravitano molti parrocchiani, soprattutto donne, che offrono a rotazione una o più settimane di permanenza gratuita in Casa. Gli uomini, di solito, si impegnano gratuitamente a coltivare i campi ed allevare gli animali di proprietà della casa di Bare, l’unica situata in ambito rurale. Arrivano a volte anche volontari da altre diocesi del paese, attratti dall’esperienza pastorale che concretizza il Vangelo della Carità.

Le tre Case Amahoro (che significa “pace”) vivono della condivisione dei beni dei parrocchiani e delle persone sensibili. Chi ha braccia si mette al servizio di chi non ne ha, condividendo il proprio lavoro o il proprio raccolto con chi non è in grado di coltivare e non riuscirebbe a mantenersi…

I frutti spirituali e quelli dati dalla comunione dei beni in queste realtà sono molti e preziosi.
Il Centro Missionario sostiene le Case con una regolare donazione a copertura delle spese per le medicine e il trasporto dei malati per visite e ricoveri ospedalieri (che in Rwanda non sono gratuiti).
Il Vescovo sta lavorando perché le Case riescano ad avere entrate proprie attraverso un piccolo progetto agricolo, la gestione di un bar e l’allevamento del bestiame.

La diocesi di Kibungo è stata fondata nel 1968 e festeggia i 50 anni; questo è un anno giubilare, un momento storico di grande ricchezza spirituale e non abbiamo che da ringraziare Dio, ci racconta Mons. Kambanda. La diocesi ha avuto inizio con 7 parrocchie e chiuderà il 50esimo anno con 20 parrocchie, una 90ina di preti diocesani (di cui una ventina svolgono servizio a livello interdiocesano e scolastico) e diversi religiosi e religiose. Sul territorio diocesano è presente anche un campo di rifugiati dal Burundi; si tratta di circa 57mila persone, la cui cura pastorale è delegata ad un padre lazarista e ad alcune suore della stessa congregazione.

in seminario

Mons Kambanda incontra i seminaristi

Mons. Kambanda ha individuato nella “Famiglia base della nuova evangelizzazione” il tema giubilare di riflessione, preghiera ed azione. Nella lettera pastorale scritta per il giubileo ha tracciato un cammino di fede in 4 tappe:

  • La famiglia come base dell’educazione cristiana, l’attenzione ed il servizio alla famiglia.
  • La famiglia che gioca un fondamentale ruolo nell’evangelizzazione dei fratelli, con particolare attenzione ai bimbi che evangelizzano i genitori e ai giovani che evangelizzano (chi meglio di loro, che parlano lo stesso linguaggio “moderno”) i loro coetanei.
  • La famiglia come scuola di vocazione alla santità, vocazione a cui tutti siamo chiamati.
  • La famiglia testimone di amore di Dio nel mondo, anche attraverso la diaconia nelle Case Amahoro.

L’obiettivo finale del cammino, la festa di chiusura del 50esimo sarà il 22 settembre prossimo, è arrivare, a Dio piacendo, alla costituzione delle piccole chiese domestiche, le comunità familiari. In Rwanda la sete di Dio, di conoscenza della Sua Parola, di vita cristiana, è grande. Molti giovani hanno sete di Dio e della Parola, stanno nascendo nuove congregazioni. Auguriamo alla nostra diocesi sorella ed al suo Vescovo un Giubileo ricco di grazie ed una vita piena alla sequela del Cristo.

Veloma Cristina! e buon rientro

Ringraziamo Giorgia che ci ha inviato queste righe sulla partenza di Cristina.

Cristina Orlandini ieri e oggi ha fatto i veloma (saluti) alla comunità di Ampasimanjeva. Ieri ha giocato a tombola, cantato e ballato con i bambini del centro “Papillon”, oggi ha salutato i tubercolotici, nel pomeriggio ha salutato tutti gli impiegati dell’ospedale e poi la sua squadra di calcio. Stasera è stato il momento dei saluti alle suore e a noi missionarie, con cena, balli, video, regali.

Foto di gruppo ad Ampa!

Ho ripetuto troppo la parola “saluto” e mi scuso, ma avreste dovuto sentire tutte le volte che qualcuno ha pronunciato “veloma” in questi giorni! Io sono, letteralmente, l’ultima arrivata nella comunità di Ampasimanjeva e non mi sento adatta a raccontare un momento così personale. Io non posso neanche immaginare cosa significhi salutare le persone con cui hai vissuto, lavorato, cantato, giocato, ballato, pregato, riso per un anno e mezzo. Credo però che non lo possa sapere neanche chi è qui da più tempo, perché i rapporti che la Cri ha stretto con tutte le persone che ha salutato sono speciali e diversi da quelli di chiunque altro per il semplice fatto che se è vero (ed è vero) che ogni persona è unica, lo sono inevitabilmente anche i legami che crea con le persone che le stanno intorno. Descrivere quindi il veloma di un’altra persona non è un compito semplice, ma da mera spettatrice posso dire che è evidente che Cristina abbia voluto bene a questa comunità e che l’affetto sia stato senza dubbio ricambiato.

La squadra di calcio femminile di Ampasimanjeva insieme a Cristina

Ogni momento di saluto ha avuto, come da tradizione, il suo kabary (discorso) e, sebbene io il malgascio lo capisca ancora poco, una delle cose che sono riuscita a cogliere è un ringraziamento particolare a Dio. Ogni volta che ha dovuto parlare Cristina ha ringraziato il Signore per l’opportunità che ha avuto di poter trascorrere qui, con queste persone, una parte della sua vita. Ha ringraziato ogni persona per il tempo vissuto insieme e ha reso grazie del dono che ha ricevuto nell’essere missionaria qui, in questa terra rossa e verde che è il Madagascar.

 

Poi chissà…le vie del Signore sono infinite e magari la sua strada ripasserà da Ampa, un giorno!

                                                                                                                                                      Giorgia Roda

11 aprile 2018

Anniversario della CdC di Ruy Barbosa

Domenica 8 aprile sarà l’anniversario della Casa di Carità di Ruy Barbosa.

Il tema della festa sarà:

“Casa della Carità: tutti insieme per diffondere nel mondo la civiltà dell’amore” 

Questo perché essere discepoli di Cristo è assumere l’impegno del Battesimo in tutte le vocazioni.

Venerdì mattina dopo la Messa inizieremo le 40 ore di Adorazione, a cui a turno sono invitate le comunità e i vari gruppi e movimenti della nostra parrocchia.

Venerdì sera vivremo una celebrazione guidata dalla Pastorale del Battesimo,che avrà come tema: “Vivere il nostro Battesimo essendo discepoli e missionari”, e sabato una veglia eucaristica : ” Prendersi cura gli uni degli altri è promuovere una cultura di pace e di fraternità”, in continuità con la campagna della Fraternità che ci ha invitato a riflettere e cercare modalità di pace per vincere la tanta violenza che ci circonda.

Domenica alle 10 celebreremo la s. Messa solenne di ringraziamento per i 22 anni di questa Casa, e  il nostro Francisco, il più piccolo di Casa, riceverà il dono dello Spirito Santo nel Sacramento della Cresima.

Siete tutti invitati alla festa, ma se non riuscite a venire, pregate per noi!

La CdC di Ruy Barbosa

“Ti benedica il Signore e ti custodisca”

Oggi, a meno di un mese dal mio rientro in Italia, ripenso alle parole della prima lettura del primo giorno di quest’anno. Sono parole molto dolci ed è un augurio bellissimo, calma il cuore.. perché mi ricorda che qualsiasi cosa accadrà quest’anno, che sia faticosa o meravigliosa, sarà nell’abbraccio del Signore.

E allora anche le paure, le domande che ogni tanto saltano fuori.. sono più leggere in questo abbraccio.

E’ bello che siano proprio queste parole ad accompagnarmi in quest’anno.

Le sento molto vicine, sia per tutti i doni che ho ricevuto fino ad oggi, sia perché mi danno molta pace per il tempo che verrà.

In questi primi mesi del 2018, mi sono sentita davvero custodita, le benedizioni sono state tante e preziose.

L’arrivo di Giulia, che si fermerà per un anno (o chissà… magari due?!) ad Ampasimanjeva, con cui ho condiviso un bellissimo pezzetto di strada insieme… tra risate, giochi coi bimbi, momenti di preghiera, e tanti balli! E’ stato un dono che mi ha aiutato a fermarmi ed ascoltarla, conoscerla, ma anche ascoltarmi e dare forma a ciò che vivevo ogni giorno per poterlo condividere.

Il rientro in Italia a gennaio, una toccata e fuga di due settimane, che mi ha dato l’occasione di riabbracciare la mia famiglia e tutte le persone a cui voglio bene.

Le notti a prendersi cura della piccola Bernadette, gemellina abbandonata, che ora ha trovato l’amore di una nuova famiglia. E’ vero, ci si stanca… ma è una fatica piena di tenerezza.

La Quaresima, con la Via Crucis tra i padiglioni dell’ospedale insieme ai malati, la decorazione della cappella, il ritiro tra volontari italiani, guidato da Don Giovanni. E’ stato un bel periodo, un bel tempo per provare a cambiare.

Torneo di calcio femminile

Le partite a calcio con i bimbi, con i malati di tubercolosi e con le ragazze del villaggio, insieme alle quali abbiamo iniziato un torneo ed in palio c’è un super “omby”, una mucca con la gobba… incrociamo le dita!

La felicità delle suore nel pitturare la Casa della Carità ed abbellirla con tende e piccoli ritocchi, nel comprare pentole nuove per poter così distribuire quelle in più a chi ne aveva bisogno, e nel concludere il tutto con balli e canti di ringraziamento.

 

I nuovi banchi subito in uso nella scuoletta dell’ospedale

L’acquisto dei banchi e del bagno per il centro dei nostri bimbi, che non sarebbe stato possibile senza il pensiero e la bontà di tante persone dall’Italia che ci hanno aiutato. Un giorno, guardando l’aula colorata e piena di tante cose, mi sono proprio detta: ”Quanti cuori Signore ci sono dentro tutto questo?”. E’ bellissimo.

Per ultima, c’è stata la Pasqua.
Ed il pranzo del Sabato Santo, insieme ai malati di tubercolosi. Lì ho sentito veramente il Signore risorto in mezzo a noi. Ci siamo seduti su panche e stuoie, coi nostri piatti di riso bianco e carne. Malati e famiglie, suore, due dottori e noi volontari. Poi abbiamo cantato, ballato e giocato a tombola, che avevamo costruito insieme disegnando e colorando le figure. Mi sono commossa, semplicemente lì in mezzo a loro, di cuore.

C’è un altro bellissimo dono che ancora mi aspetta. Domani andrò ad accogliere all’ aeroporto Agnese, una mia grande amica, con cui condividerò l’ultimo pezzettino di strada, prima di rientrare in Italia. Ed insieme a lei andrò incontro ai luoghi e alle persone che sono state casa per me in quest’anno e mezzo, ringraziandoli uno ad uno per aver custodito la mia vita ed averla fatta crescere.

Cristina Orlandini