Ottobre missionario – Perù

 

«Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, … così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme» cosí rifletteva papa Francesco durante quella intensa e tragica sera del 27 marzo in piazza San Pietro, citazione riportata anche nel suo messaggio per l’Ottobre missionario 2020.

Ed é proprio vero! Solo “andando avanti insieme” ci possiamo salvare, solo insieme possiamo continuare ad annunciare l’amore del Padre Misericordioso testimoniato da Gesú.

E come mi é parsa vera e profonda questa riflessione in questi mesi vissuti in lockdown qui nella missione che noi Fidei Donum di Milano stiamo vivendo a Pucallpa, cittá di oltre 600.000 abitanti al confine della foresta amazzonica peruviana.

Ma partiamo dall’inizio:

Qui il virus é arrivato abbastanza presto: il “paziente zero” nel Perú é stato registrato il 6 marzo 2020, il lockdown é iniziato ufficialmente il 16, dieci giorni dopo, la prima morte é avvenuta il 19, quando i casi superavano giá il centinaio. Il cammino é stato lungo, e ancora non é terminato, a inizio ottobre giá abbiamo superato gli 800.000 casi, i 32.000 morti, anche se per ogni morte per COVID 19 probabilmente ci sono altri due casi sospetti che si possono attribuire al virus, come ha affermato a giugno un epidemiologo del Ministero della Salute peruviano.

All’inizio la pandemia qui sembrava lontana, a causa delle notizie che giungevano dalla Cina e dall’Europa, noi Italiani eravamo quasi compatiti; i parrocchiani ci chiamavano per farci sentire la loro vicinanza.

La chiusura totale di tutte le attivitá e i primi casi di infezione a Pucallpa hanno dato inizio alla pandemia anche qui, in questo margine della Foresta Amazzonica. All’inizio il lockdown sembrava qualcosa di temporaneo e ben rispettato: polizia per le strade, negozi e attivitá chiuse, pochissimi motocar in giro.

Lo stato di emergenza peró ha messo in ginocchio da subito l’assistenza sanitaria: in tutta la città i posti letto in terapia intensiva disponibili erano non piú di una decina, tra l’altro già occupati, perché il Covid-19 qui è arrivato quando già c’erano un’infinità di casi di dengue (che solo lo scorso anno ha fatto più di 2000 morti).

Inoltre, come in tutti i Paesi del Sude del Mondo, l’emergenza sanitaria é accompagnata sempre da quella sociale: qui dire “quedate en casa” (resta a casa) significa anche fare i conti con la povertá della maggior parte della popolazione, che vive in “case” di legno e lamiera di 4×4 metri, dove famiglie di 7/8 persone sopportano i 30° di giorno e di notte e il sole che batte sulle lamiere. Senza poi considerare le situazioni di violenza diffusa e impune, dove zii, nonni, padrastri abusano sistematicamente figlie e nipoti. Infine, la situazione economica, che si basa sul “día a día”, con la lotta quotidiana per cercare di racimolare ogni giorno i pochi soles per dare da mangiare a tutta la famiglia.

Si capisce allora perché sin da subito la buona volontá si é arresa alla necessitá e il virus ha cominciato a prendere piede, e non solo in cittá. All’inizio i villaggi lungo il fiume, quelli lungo la carretera (strada che da Lima giunge fino a Pucallpa) e quelli piú dentro nella selva sembravano essere stati risparmiati, anche per una sorta di isolamento obbligatorio imposto dalle autoritá.

La consegna di viveri e di un pollo alle famiglie piú povere da parte di una operatrice Caritas.

Man mano che le settimane trascorrevano, peró, ci si é resi conto che anche i villaggi venivano colpiti dal virus, compresi i piú fragili gruppi indigeni Shipibo ancora presenti nella selva.

La “batosta” é arrivata quando a metá maggio é uscita la notizia che anche l’alcalde (il sindaco) di Masisea, uno dei villaggi piú antichi lungo questo troncone del fiume Ucayali, é morto di Covid-19 a causa della mancanza di bombole di ossigeno.

Appunto la mancanza di ossigeno negli ospedali e in tutta la cittá, insieme alla penuria e al rincaro dei prezzi dei medicinali e all’incertezza dei tamponi e delle prove rapide hanno fatto sí che il virus si difondesse, insieme alla superstizione e alla incoscienza.

Altro discorso, invece, su come gli Shipibo, il gruppo indigeno presente qui nel nostro Vicariato di Pucallpa, ha affrontato il virus, grazie al senso di comunitá e alle conoscenze ancestrali della loro cultura.

In una parrocchia della cittá, per esempio, si é deciso di aprire un centro Covid per loro: il COMANDO MATICO COVID-19, guidato dall’intraprendenza di dieci giovani delle comunitá Shipibo Konibo presenti nella cittá di Pucallpa, que si sono incaricati di creare questo “spazio” con tutte le attenzioni di biosicurezza, per accogliere e prendersi cura degli indigeni infettati attraverso un sapiente mix di cure scientifiche e le proprietá medicinali delle centinaia di piante che con i secoli questa cultura ancestrale ha imparato ad utilizzare.

E la Chiesa come ha affrontato questo tempo di prova?

Naturalmente ci ha colto impreparati e all’improvviso come é successo agli altri. All’inizio l’isolamento obbligatorio, la lontanananza e l’impossibilitá di incontrare le persone ci ha fatto sentire davvero impotenti.

Poi é come emerso un nuovo “ingegno” da parte di tutti per cercare di restare “vicini” seppur confinati in casa.

Molte iniziative mano a mano che passavano le settimane di lockdown hanno visto la luce: il Vicariato ha aperto un Centro Vicariale d’Ascolto telefonico per gli ammalati di Covid 19 e i loro familiari, la Caritas Vicariale ha iniziato a distribuire viveri ai piú poveri attraverso le parrocchie, si sono realizzati “challenge on line” per i giovani, un corso di lingua Shipibo e uno per la formazione dei catechisti e degli animatori on line, si sono condivisi sui media link interessanti per lo studio tra i giovani, celebrazioni da vivere in famiglia e, immancabili, le messe in streaming.

La consegna di alcune bombole di ossigeno che Mons. Martín, vescovo del Vicariato di Pucallpa, ha potuto regalare all’ospedale grazie alla raccolta di fondi svoltasi in cittá durante il lockdown.

Si é cercato, insomma di vivere anche questi giorni continuando a fare i preti, le suore, i laici compromessi con la gente.

La preoccupazione piú grande, peró, resta per i villaggi e le parrocchie fuori dalla cittá che non é stato possibile raggiungere da ormai oltre 6 mesi e, chissá quando, sará possibile tornare a visitare.

Peró, man mano che il Governo ha “allentato” la stretta del lockdown abbiamo cominciato a pensare al “post” virus: dal mese di settembre abbiamo potuto riaprire le Chiese per celebrare le Messe con una presenza di fedeli ridotta e secondo un rigido protocollo, le parrocchie si stanno organizzando per celebrare in forma molto controllata alcuni sacramenti, almeno per gli adulti, e anche la Caritas Vicariale ha studiato alcuni progetti di “ripresa” delle attivitá economiche della gente piú povera, attraverso il micro-credito.

Mi sembra interessante, per terminare, la riflessione che papa Francesco ci offre nel messaggio per questa giornata missionaria mondiale, capace di farci riflettere su quanto abbiamo vissuto e sulla responsabilitá che il Signore ancora ci affida: “Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia diventa una sfida anche per la missione della Chiesa. L’impossibilità di riunirci come Chiesa per celebrare l’Eucaristia ci ha fatto condividere la condizione di tante comunità cristiane che non possono celebrare la Messa ogni domenica. In questo contesto, la domanda che Dio pone: «Chi manderò?», ci viene nuovamente rivolta e attende da noi una risposta generosa e convinta: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Dio continua a cercare chi inviare al mondo e alle genti per testimoniare il suo amore, la sua salvezza dal peccato e dalla morte, la sua liberazione dal male (cfr Mt 9,35-38; Lc 10,1-12).

La chiesa di San Francisco… la speranza continua grazie alla benedizione di Dio.

Con questo invito e questa nuova consapevolezza,
vi invio un caro saluto!
P.Luca
Fidei Donum a Pucallpa

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