Omelia Veglia Missionaria

 

Trascrizione dell’omelia del Vescovo Massimo Camisasca         17 ottobre 2020

Cari fratelli e sorelle, cara Donata,

siete tutti laici questa sera, partenti e arrivati, e questo mi dà la felice occasione di parlare del battesimo per ricordarci che in ogni battesimo c’è una chiamata. Il battesimo, infatti, che cosa è? È una chiamata efficace, cioè opera di Dio e del suo Spirito che ci chiama a immedesimarci lungo tutto l’arco della nostra vita con la persona di Gesù Cristo. Siamo chiamati a diventare “alter Christus” e siamo chiamati a diventarlo nella Chiesa. Tanto più la nostra vita si lascerà immedesimare alla persona di Cristo giorno dopo giorno, soprattutto in forza dei sacramenti che riceviamo, della meditazione della Scrittura e della preghiera, tanto più noi parteciperemo della vita della Chiesa. E quanto più parteciperemo della vita della Chiesa tanto più, anno dopo anno, soprattutto seguendo le vicende dell’anno liturgico, saremo identificati alla forma di vita di Gesù. 

Per questo in ogni battesimo c’è una vocazione missionaria, perché se il battesimo ci identifica alla persona di Gesù, ci identifica alla sua missione. Egli è il Missionario del Padre e noi siamo i missionari di Gesù. Perciò ogni anno la Giornata Missionaria e questa Veglia missionaria ci riportano a qualcosa di centrale nella vita cristiana. La missione non è una aggiunta al battesimo: possiamo dire che ne è l’esplosione, la sua fioritura più alta e più bella.

Di fronte alla missione, che è sempre ecclesiale e personale nello stesso tempo, possiamo provare un senso di sgomento, come abbiamo sentito nel racconto di Giona: la tentazione di fuggire. A tutti noi Dio va bene fintanto che ci chiede ciò che avevamo preventivato. Ma quando le sue domande si fanno più personali, più profonde e quanto più realistica si fa la nostra immedesimazione con la persona di Gesù, tanto più siamo presi da un senso di sproporzione, forse di paura o anche di ansia e abbiamo la tentazione di fuggire.

Parlo per tutti noi che siamo qui stasera. Questa è la nostra tentazione quotidiana: sottrarci a ciò che Dio ci chiede, non in astratto, ma oggi: in questo momento, in questo contesto, in questa situazione di vita, in queste condizioni concrete in cui si svolge la nostra esistenza. È qui che siamo chiamati ad essere missionari. Il realismo della missione accentua forse in noi il senso della nostra povertà e anche della nostra solitudine. Proprio da qui dobbiamo partire per riscoprire che cosa sia la vita cristiana e che cosa sia la missione.

Dio non ci chiede altro se non quello che ci ha donato, donato proprio nel battesimo, nell’Eucarestia, nella Confermazione e in tutta la gamma di doni di cui ha riempito la nostra esistenza: non ci chiede altro che di farci tramite di questi doni, di donarli a nostra volta, di proseguire noi quello che Lui ha cominciato a fare; di compiere noi, in questo tempo, la missione che Egli ha inaugurato nelle strade della Palestina. Quando ci sottraiamo alla sua volontà e alla sua chiamata tutto si oscura e si complica. Quella fuga dalle responsabilità che in un primo momento ci sembrava poter risolvere tutto, portandoci lontano da Dio, facendoci dimenticare la promessa che Lui ha fatto a noi e che noi abbiamo fatto a Lui, proprio questo tentativo di dimenticanza si capovolge invece in uno sprofondarsi nella tenebra e nella tempesta.

Non sempre le tempeste sono provocate dai rifiuti, come abbiamo sentito nel parallelo episodio di Paolo, ma molto spesso le tempeste, in noi, derivano dal nostro abbandonare la mano di Gesù, come è accaduto a Pietro. Ci sono tempeste favorevoli, circostanze dure ma necessarie, attraverso cui il Signore ci riporta al realismo della sua alleanza con noi.

Anche noi, fratelli e sorelle, stiamo vivendo un tempo di tempesta: tempesta segnata dal fatto che siamo investiti da una epidemia di cui non conosciamo bene i fattori, non ne conosciamo la forza né la durata. Tutte le spiegazioni di medici e scienziati non fanno che moltiplicare la nostra confusione e il nostro disorientamento. Le debolezze e le lotte tra chi dovrebbe guidare la barca aumentano in noi il senso di solitudine e di deriva. 

Che cosa dobbiamo fare? Ecco, è proprio in questa circostanza che Dio ci chiede di essere missionari: missionari vuol dire annunciare agli uomini, e innanzitutto a noi stessi, il realismo della salvezza: annunciare che Dio non ha abbandonato la terra, non ha abbandonato il suo popolo, non ha abbandonato gli uomini. Egli non ci fa mai passare attraverso delle prove intollerabili. Certo, le prove diventano intollerabili quando ci sottraiamo alla sua Luce, quando ci pieghiamo su noi stessi, quando proclamiamo la nostra solitudine, quando siamo individui senza relazioni, quando misconosciamo la paternità di Dio e la fratellanza. Ma se rientriamo in noi stessi, se riscopriamo quale grande dono sia per noi la fede, allora la tempesta rimane, ma nella tempesta diventiamo delle persone pronte ad affrontarla. Innanzitutto perché sappiamo che la mano di Dio non ci lascia mai, non ci abbandona. Poi perché sappiamo che attraverso le difficoltà più grandi il nostro cuore si purifica, si rivolge a ciò che è essenziale nella vita e, soprattutto, riconosce i grandi misteri della salvezza e della vita eterna che ci attende e nella quale troveremo pieno compimento. Non è questa la nostra casa definitiva.

La missione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, di Donata che parte e di questi ragazzi che tornano, si inserisce in questo contesto. Non abbiamo parole nostre da dire al mondo o azioni nostre da fare nel mondo. Le uniche parole che abbiamo sono quelle che ci ha insegnato Gesù e le uniche azioni che abbiamo da fare sono quelle che impariamo da Lui. Per questo, per chi parte e per chi arriva, per tutti noi che ogni giorno partiamo e arriviamo per la missione della Chiesa che ci è affidata, nei contesti diversi della nostra vita è essenziale sostare con Gesù. Sostiamo con Gesù, impariamo le sue parole, entriamo nella sua vita… “Venite a me…, venite a me”.

Il grido della Sapienza è risuonato sulle labbra del Salvatore come invito a tutti gli uomini. Allora il nostro cuore si distenderà, le nostre ansie troveranno pace in una pacata laboriosità, le nostre tristezze si apriranno alla luce delle sue promesse e noi riceveremo quel conforto che ci permette di essere consolatori degli altri uomini.  La missione in fondo è portare speranza. Portare speranza vuol dire annunciare Cristo morto e risorto. Questa è l’unica speranza: Ave crux, spes unica. L’unica speranza per l’uomo è il fatto che Dio ha dato suo Figlio per poter riallacciare in modo definitivo quell’alleanza che si era spezzata. Non ci sarà più il diluvio universale. No: ci sarà invece la ricapitolazione nel Figlio di ogni uomo e di ogni donna.

Possiamo dire che ogni missione, nei paesi lontani o nelle nostre case, è un trattino di questa ricapitolazione; è un trattino di questo ritorno a Dio di tutti gli uomini e di tutte le cose; è un cammino della vittoria sul demonio, il principe della separazione, della guerra, degli odi, dei rancori, delle gelosie, delle invidie, il principe che divide gli uomini tra di loro, che divide le comunità al loro interno, che divide i cuori e le famiglie.

Allora, nel ringraziare questi nostri fratelli e queste nostre sorelle per il segno breve o lungo che hanno portato o che porteranno per noi, invochiamo per tutte le nostre comunità e per tutta la nostra Chiesa, la grazia di entrare più consapevolmente nel mistero del battesimo, nel mistero della identificazione a Gesù, nel suo attrarci per mandarci: quando sarò innalzato vi attrarrò. Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi. Egli ci attrae continuamente perché possiamo gustare le dolcezze del suo cuore e della sua vita, la bellezza della sua gioia, la serenità che viene dalla sua misericordia, affinché possiamo spandere questi profumi, questa dolcezza e questa salvezza in tutte le persone che incontreremo, lontane e vicine.

Vi prego perciò, cari amici che siete tornati da un periodo di missione, di non dimenticare mai nella vostra vita questo dono che avete ricevuto: esso sia come un vaso che, spezzato, porta profumo a voi stessi e a coloro che vi sono accanto: il profumo di Dio che si fa uomo, di Dio che ci raccoglie e di Dio che ci manda.

Auguro e prego perché, nel continuo riavvicendarsi degli anni, la nostra Chiesa sprofondi sempre più in questa verità della comunione – missione che racchiude i due bracci della croce e che è sintesi di tutti i misteri della vita di Gesù.

Sia lodato Gesù Cristo.

                                                                                                                   Vescovo Massimo