Docili alla Missione?

 

L’editoriale di Don Pietro Adani per la Domenica Missionaria

Nei momenti difficili, quando l’attualità quotidianamente si fa portavoce di tragedie, conflitti, catastrofi naturali, l’uomo guarda al fratello, all’amico, per ricevere uno sguardo di sostegno e una parola di conforto. è allora che il cuore dell’uomo si dilata per raggiungere “l’altro”, in qualunque luogo egli sia. L’esperienza dell’altro, positiva o negativa, sempre ci provoca e ci porta a condividere la sua vita. Ci apriamo all’ascolto ed avvertiamo nascere una tensione generativa. Ogni persona, con le sue esperienze, ci allontana dal rischio dell’individualismo e ci proietta come cristiani verso una Chiesa corale che scopre, nel superamento dei suoi confini pastorali, una nuova ricchezza.

Lo slancio di “un improrogabile rinnovamento ecclesiale” (EG 27) si esprime in queste parole di papa Francesco: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che l’autopreservazione. La riforma delle strutture si può intendere solo in un modo: che esse diventino più missionarie, che la pastorale ordinaria sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita” (EG 27).

In questi anni ho vissuto con più vicinanza il mondo missionario e ringrazio con sincera gratitudine chi mi ha permesso di fare queste esperienze, nelle quali ho capito la centralità e la necessità per la Chiesa tutta, e per noi, di vivere l’apertura e il dono della missione.

Consuetudini pastorali, le vocazioni sempre più rare, un diffuso senso di smarrimento, cosa hanno creato? Come reagire a queste evidenze?

Domande aperte che portano tutti a riflettere sull’importanza di ritrovare l’ardore, ma soprattutto la passione per lo slancio missionario inteso come dono per chi è mandato, assumendo il ruolo di rappresentante di una Chiesa che sente un’urgente necessità: non quella di mostrare la forza dei numeri di preti o laici, al contrario, quella di mostrare la debolezza e comprendere la necessità di vivere l’esperienza missionaria per essere Chiesa, la Chiesa del Signore, che nella missionarietà Fidei donum non solo offre, ma riceve dall’esperienza delle altre Chiese un maggior respiro mentale e culturale, un sostegno per avviare quel processo che permette anche di imparare a conoscere i tempi di oggi.

Quali cammini intraprendere e quali scelte effettuare?

Proviamo a ri-incoraggiare la Chiesa che oggi si interroga nel susseguirsi incessante di sfide sempre all’orizzonte.

 Anche alla luce del Cammino Sinodale occorre ritrovare la gioia del confronto per allargare la riflessione e per trovare uno slancio nuovo. Se continuiamo a guardarci solo tra di noi vedremo sempre solo ciò che eravamo e che non siamo più. Vedremo la nostra stanchezza che appesantisce e che è appesantita dall’isolamento e da un “isolarsi” sempre più evidente.

Quali possibili soluzioni e proposte?

Ritrovarsi, invitando i sacerdoti nelle proprie Unità pastorali, come nei Vicariati, a ri-interrogarsi con coraggio sul tema della missione perché da lì esce una forza e una generatività che diventa feconda anche per noi qui. Lo sentiamo dalle lettere e dalle testimonianze dei nostri missionari. Leggiamo e sentiamo nelle loro testimonianze dirette una forza e una vitalità, pur nella sproporzione e nella debolezza delle situazioni che loro quotidianamente vivono, che ci invitano a ritrovare l’essenziale del nostro camminare come Chiesa, nel nostro vivere l’attualità e la profondità dell’incontro con il Signore.

Il Papa ci ricorda l’importanza del primo Sacramento: “In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato (…) è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solo recettivo delle loro azioni” (EG 120).

Desidero rivolgere a tutti i presbiteri una proposta: perché non impegnarsi come sacerdoti, per chi non ha e non sente normalmente la vocazione alla missione, ad investire un anno, o a visitare almeno una volta, per un mese, in un tempo disteso, insieme magari ad un altro confratello come hanno fatto alcuni anche di recente, le nostre missioni, a restare con i nostri missionari, abitare, respirare e percepire il sapore e il sapere della missione?

La scelta deve liberarsi da ogni illusione: se è vero che la missione forgia il cammino del ministero, è pur vero che a volte ci chiama a tempi di semina e non di raccolto. Non è sempre facile stare in missione; non ne facciamo una facile poesia. In certi momenti è difficile convertirsi al cammino, alla lentezza, alla distanza che c’è con le persone, con la Chiesa a cui siamo inviati e tutto ciò può generare un senso di delusione e scoramento interiore.

Lo Spirito ci soccorre, ci conforta e ci rende pronti ad agire per sapere con sapienza seminare per un futuro che non sempre ci appartiene secondo la nostra mentalità, nella quale tutto è sempre rapido e immediato; nella nostra vita spesso quello che facciamo lo vogliamo riconoscere subito, postarlo subito, renderlo subito visibile.

La missione invece ci chiama ad una fede più profonda, più matura e non facile, poiché si tratta di saper seminare, affidarsi al Padre e non sempre vedere i frutti. “Il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte” (san Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 45).

La missione chiede tempi molto più distesi che forse in questo momento, anche per la nostra Chiesa, qui, abbiamo bisogno di riscoprire, per non lasciarci ri-prendere dalla tentazione di una frenesia pastorale, ma per “saper rallentare”, come invita il Papa, per saper maturare una visione di chiesa su cui confrontarci e sulla quale imparare a convertirci e ad arricchirci.

Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare: l’entusiasmo nell’evangelizzazione si fonda su questa convinzione” (EG 265).

E ancora: “La nostra imperfezione non dev’essere una scusa; al contrario la missione è uno stimolo costante per non adagiarsi e per continuare a crescere” (EG 121).

Don Pietro Ganapini, patriarca e pioniere delle nostre missioni diocesane, ci ha lasciato con queste parole: “Colui che chiama è Colui che nella sua misericordia sa sempre ritemprare le forze e rimettere in cammino a nuovo ritmo. Non vi chiudete nelle vostre particolari difficoltà, ma sappiate aprire lo sguardo e il cuore a chi, pur lontano, deve dibattersi in situazioni molto preoccupanti, di ogni genere”.

Restiamo docili, poiché lo Spirito in ogni momento può accendere il nostro cuore. Lasciamoci conquistare da un invito, un progetto. La vita di don Ganapini è per tutti noi una straordinaria provocazione e proprio per questo ci dà coraggio, ci sospinge e ci esorta verso dinamiche nuove.

Don Pietro Adani