Da Giulia: i mesi sono volati via…
Sono “già” a metà (visto il ritardo, un po’ più di metà).
Perché “già” e non “ancora”?!
Perché questi mesi sono volati via. Sono stati mesi pienissimi, tante esperienze e tante sensazioni.
Sono stati mesi di felicità assoluta, ma anche di tristezza, perché in fondo un pezzo di cuore è lì da voi e con voi!
Sono stati mesi pieni di volti nuovi, diversi, che all’inizio pensi di non riuscire mai a distinguere, ma che piano piano diventano la tua nuova famiglia.
Ambokala ne è un esempio lampante. L’impatto è stato forte all’inizio, ma adesso vorrei essere là, in ogni momento, anche adesso che sono sul letto in casa a scrivere, io vorrei essere là.
A fine luglio Enrica è tornata in Italia e ad inizio agosto se ne sono andate anche la Suora, Diana e Berthine. PANICO!
Ad Ambokala siamo rimaste l’assistente sociale ed io. Tantissime le paure: temere di non riuscire a far nulla, affrontare una nuova sfida, combinare guai, ma prima fra tutte la paura di non riuscire a dire una parola!
In realtà, agosto è volato via e i timori con esso! Ho iniziato a parlare e sto trovando il mio modo di stare con i pazienti, spesso non capendo nulla di quello che tentiamo di dirci, il momento migliore per ridere tutti insieme!

Tutti insieme ad Ambokala
TUTTI INSIEME: pazienti, cuoche, bambini, noi volontari, nessuno escluso!
Una cosa che credo di aver imparato in questi mesi è che spesso siamo portati a guardare queste persone con pietà, quasi come se provassimo compassione per loro. Non credo sia giusto. Loro hanno bisogno di essere trattati come tutte le altre persone, che siano poveri o ricchi, puliti o sporchi, bambini o adulti, sani o pazienti dentro alle celle d’isolamento!
Si, ad Ambokala ci sono le celle di isolamento!!!
TUTTI hanno bisogno di essere trattati allo stesso modo!
Un esempio? Michel!
Appena arrivato è stato messo nella cella di isolamento. Parlava di continuo, sembrava una radio. Alternava momenti in cui era arrabbiatissimo con il mondo e momenti in cui bastava guardarlo e diventava un bambino indifeso.
Avete presente quei bambini con quel visino che guardi e non puoi far a meno di sorridere?!
Così è stato con Michel!
Michel è quello che da dietro le sbarre della cella di isolamento fa “cucù” per farti ridere; è quello che ti sorride ogni giorno appena ti vede, dicendoti: “Ciao amica mia, è da tanto che non ci vediamo, sono felice che tu sia qui!” e magari ci siamo visti il giorno prima; Michel è quello che canta per tutti, se solo glielo chiedi; è quello che va al mercato con la mamma e riesce a farsi voler bene anche da un cane randagio; Michel è questo e tantissimo altro e mai mi permetterei di prenderlo in giro o di guardarlo con compassione, anche perché non ne avrei motivo!
Michel è unico e forse ce ne vorrebbero un po’ di più di Michel al mondo!!
Un abbraccio,
Giuli
P.S.
Quasi dimenticavo la cosa più importante! Il giorno dopo che ho inviato la lettera il mese scorso, Celà, il ragazzino di cui vi ho scritto, si è presentato a casa nostra con la sua mamma ed i suoi fratellini minori. Insomma, è tornato a casa!!!
Vive con la mamma e il suo nuovo marito, che per il momento sembra volerlo in casa e lo porta anche a lavorare con sé!
Prossimo obiettivo?! Ad Ottobre inizia la scuola, chissà, magari ha voglia di cambiare ancora di più il suo futuro!

Sono molto contento nel vedere la perseveranza di questi laici ( considerando i problemi di trasporto che abbiamo) e la passione che hanno di fronte a un nuovo metodo di affrontare i contenuti della fede; si ritrovano anche a gruppetti, settimanalmente per studiare insieme. Molti non hanno una grande formazione scolastica e mi commuove l’impegno che hanno nel cercare di imparare.





















Diventano allora di grande attualità le parole rivolte da Langer a San Cristoforo, che rinunciò a servire l’esercito imperiale per usare le forze di cui era dotato nel traghettare i viandanti in difficoltà da una riva all’altra di un pericoloso fiume, pensando alla traversata che la nostra civiltà oggi è chiamata a compiere. “Non è solo un problema di disinformazione, cultura, superficialità – ha detto Marabini – . E’ in gioco il nostro desiderio, malato, insofferente ad ogni limite segnato dalla dismisura, dal possesso, vorace, predatore. La conversione ecologica è un processo di guarigione e di rigenerazione dell’uomo interiore, per orientare la propria istintività e accettare la forza vivificante del limite”. Scriveva Langer che “il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del ‘di più’ a una del ‘può bastare’ o del ‘forse è già troppo’…” per invertire la corsa di una ‘crescita’ diventata autodistruttiva. “E sono lì a documentarlo l’effetto-serra, l’inquinamento, la deforestazione, l’invasione di composti chimici non più domabili e un ulteriore lunghissimo elenco di ferite della biosfera e dell’umanità. Bisogna dunque riscoprire e praticare dei limiti”.
Scrive Langer: “Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico “citius, altius, fortius” – più veloce, più alto, più forte – che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la mobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in “lentius, profundius, suavius” – più lento, più profondo, più dolce -, e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso”.








La Ludoteca “Papillon“ è una scuola libera e gratuita non riconosciuta ufficialmente. Inizialmente, era nata per permettere ai figli dei malati di tubercolosi, che devono sottoporsi ad un trattamento di due mesi in ospedale, di avere continuità nella formazione. Successivamente, si è poi deciso di aprirla a tutti i bambini del villaggio che hanno più di tre anni e che non possono permettersi di andare a scuola.
Giulia ci ha raccontato due episodi: una volta si era un po’ arrabbiata con un bambino che sembrava molto motivato, ma veniva poco a scuola. Allora, glielo aveva fatto presente e lui aveva risposto che non poteva esserci sempre non perché non volesse, ma perché doveva andare a far pascolare gli zebù.
Presto sarà il turno di Ilaria, con la quale abbiamo condiviso parte del nostro viaggio e che affidiamo con gioia al Signore.




Bambini che portano sacchi pesanti sulla loro testolina, che tengono sulla schiena il fratellino o la sorellina, due cuori vicini, che si toccano, uno che impara presto cosa significhi essere responsabile e l’altro che si deve affidare.