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La preparazione delle medicine all'ospedale di Ampa

Grazie! Auguri dall’FMA

A tutti voi, che portate nel cuore Ampasimanjeva e le avete donato il vostro contributo, un grande e sincero GRAZIE. Anche quest’anno sono stati tanti i pazienti visitati e ricoverati nei vari reparti dell’ospedale di Ampasimanjeva in Madagascar, molti dei quali provenienti da villaggi lontani.

L’Ospedale offre un servizio sanitario qualificato ed efficace per tutta la popolazione della regione (11 comuni, 110.000 abitanti). Lo scorso anno sono stati visitati 16.631 pazienti e le consultazioni chirurgiche sono state 1.047, i malati ricoverati 2.213 e sono stati fatti 518 vaccini a bambini in età compresa tra 0 e 11 mesi. Le visite prenatali sono state 6.116.

Sono tanti numeri, ma non vogliamo annoiarvi continuando così, perchè per quelli ci sono le statistiche e i rapporti ufficiali. Quello che vogliamo esprimere è che sono numeri alti e significativi, di un ospedale che lavora a pieno ritmo. Non si limita più solamente alla valle del Faraony, ma è diventata un centro di riferimento per tutta la zona Vatovavy Fitovinany e della regione sud-est per diverse patologie quali ad esempio quelle cardiologiche, chirurgiche e ginecologiche-ostetriche.

La vaccinazione dei bambini ad AmpasimanjevaTutto il lavoro che fanno i medici, gli infermieri e il personale sanitario per garantire ai pazienti le migliori cure di cui necessitano, è reso possibile grazie al vostro contributo, alle donazioni di privati, associazioni o singoli, che aiutano così la struttura a continuare a offrire un eccellente servizio. È a voi che tutto il personale dell’FMA rivolge i più sinceri ringraziamenti con questa lettera. Le vostre donazioni si trasformano in cure, farmaci, giornate di formazioni, apparecchiature mediche e meccaniche, cibo. Le attività della gestione dell’FMA non si limitano solo all’Ospedale, ma anche all’officina meccanica e di falegnameria e al laboratorio di Marosokatra, dove vengono prodotti succhi di frutta di litchis e ananas, principalmente.

Inoltre, il 2018 è stato un anno di transizione tra la fine del progetto “Salute madre-figlio” e l’inizio del nuovo progetto che prenderà il via a marzo 2019. Con alcune donazioni è stato possibile portare avanti le attività nei villaggi, visitando le donne incinte e pesando i neonati. Si è potuta fare la formazione alle ostetriche e alle levatrici tradizionali dei villaggi, oltre a raccogliere i dati per predisporre una schedatura per le consultazioni prenatali.

I bambini della scuoletta PapillonAltra attività satellite dell’ospedale è il “Centre Papillon”, una struttura in cui i bambini che non possono permettersi di andare a scuola, vengono accolti e aiutati ad imparare le nozioni base di matematica e malgascio. Quest’anno abbiamo realizzato una toilette, a cui possono accedere i bambini. E’ stato possibile anche iscrivere alla scuola pubblica alcuni bambini che hanno dimostrato impegno e perseveranza nello studio, per dar loro l’occasione di avere un’istruzione più completa.

La Fondation Medicale, in conclusione, gestisce non solo l’Ospedale, ma anche tutte queste attività, che necessitano di donazioni per continuare e rafforzare i lavori che quotidianamente svolgono. Vi invitiamo quindi a continuare a sostenere l’FMA, anche con un piccolo gesto, e vi ringraziamo nuovamente di cuore per l’aiuto che avete generosamente offerto.

Auguriamo a Te e alla Tua famiglia un buon Natale!

Ancora grazie dalla Comunità di Ampasimanjeva

Per la comunità Giorgia Roda

Don Ganapini festeggiato in una scuola

Il Buon Natale di don Ganapini

MAISON DE LA CHARITE, Tongarivo (Madagasikara), 21 novembre 2018

Carissimi amici tutti, familiari, CMD, AMGA, La Libertà, RTM, Servi della Chiesa, Rotary Club Parma Est, benefattori, ect…

Siamo già vicini al Natale, vicini pure alla fine dell’anno in corso e all’inizio del prossimo 2019.
Non dimentico la solita lettera di ringraziamento; riconoscenza doverosa a chi mi ha sostenuto, in vari modi: sostegno morale dell’amicizia e della simpatia, soprattutto se rafforzata dalla preghiera e anche dall’aiuto pure finanziario (mi perdonerete!… ne sapete i motivi…). Senza questo insieme di solidarietà fattiva, generosa verso i più poveri e spesso dimenticati, specialmente i bimbi della campagna, cosa avrei potuto fare da solo?
Niente! O… molto poco.

Sono migliaia ormai i nostri cari bimbi che, in coro, vorrebbero farvi giungere un GRAZIE così forte che sorpassasse l’oceano ed arrivasse al vostro orecchio! Sì, certo! Ma c’è pure un’altra persona, vicinissima a noi e a loro, che un giorno, 2000 anni fa circa, disse parole di altissimo significato e che nessuno potrà mai cancellare, perché parole di DIO FATTO UOMO, GESU’! Erano accorsi numerosi quei bimbi, sentendo che passava Gesù – forse lo Spirito glielo aveva ispirato – , mentre i grandi vicino a Gesù non li volevano tra i piedi, e Lui invece, indignato (Mc 10,14) ne prese le difese e disse: “LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO A ME… e prendendoli tra le braccia li benediceva…” (Mc 10, 14-16). Poi ancora: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli l’avete a me” (Mt 25, 40). E infine: “Venite benedetti dal padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo…” (Mt 25,34).

Sono specialmente per voi dunque, carissimi, quelle parole: “venite benedetti dal Padre mio…”, perché avete loro dato il pane dell’istruzione, ect… Sì, credo che il giorno del Giudizio finale (e quel Vangelo indicato sopra che ce lo dice) saranno proprio loro, a migliaia, i nostri difensori migliori.

Dato che questa è la lettera di fine anno, vorrei aggiungere solo poche parole, perché è sempre un po’ imbarazzante parlare di sé. Ma sarò breve.

In alcune lettere ho già manifestato il mio desiderio, pienamente condiviso dai Superiori (Vescovi Socche, Gilberto, Paolo, Adriano, Massimo), riguardante il luogo in cui seppellirmi, quando sarà ora. Soprattutto per i Malgasci è molto sentito il desiderio di aver vicino anche nella tomba chi è stato loro vicino nella vita.
E’ notissimo il detto: VELONA, IRAY TRANO: MATY, IRAY FASANA (chi è stato vicino nella stessa casa, lo sarà pure nella stessa tomba). Dopo 57 anni da che ho condiviso con amore la vita dei miei poveri e cari Malgasci, come potrei separarmi da loro nella tomba? Tanto più che oltre il cimitero del clero malgascio (Ambohipò) c’è pure un angolino nel cimitero delle Suore delle Case della Carità (Ambohipànja), presso cui sono ricoverato da 12 anni, cioè da quando, dopo l’operazione alla colonna vertebrale a Parma, dovetti, per ubbidienza al Vescovo della diocesi di Tananarive, Mons. Odon, lasciare l’ultima parrocchia, di cui mi occupavo da 32 anni. Dovetti piangere. Ma era la volontà del Signore, che sempre infinitamente misericordioso con questo suo povero prete, poco tempo dopo da che ero stato accolto con tanta bontà in questa Casa della Carità, mi mandò un’ispirazione: “mi occuperò dei numerosi bimbi poveri della campagna che non sanno altro che condurre al pascolo le mucche, procurando loro un po’ di istruzione e di educazione cristiana… perché sono ancora missionario, e lo sarò, per la misericordia di Dio, sino alla fine”.

Così, oltre le adozioni dei bimbi poveri già accettati nella scuola, ma che non arrivavano a coprire la tassa scolastica necessaria per avere poi di che pagare i maestri, decisi pure di cominciare a costruire piccole scuole nelle zone in cui mancavano. Le buone persone, dal cuore generoso – CHE SIETE VOI – non mi lasciarono solo, e gli euro cominciarono ad arrivare… “Amici di don Ganapini” AMGA”…

Ed ecco le 94 piccole scuole (sono ora 96), le cui facciate potete vedere su un piccolo opuscolo che abbiamo preparato proprio per voi e che potete richiedere al Centro Missionario.

Vorrei inviare come saluto un ringraziamento e un augurio di un
BUONO, BUONISSIMO NATALE E ANNO NUOVO 2019

una melodia semplice, ispiratami dal testo di una breve poesia di quella Santa, per me grandissima, che è Teresa del Bambino Gesù. Ve lo racconto: si era a pochi mesi dalla mia ordinazione sacerdotale (13 agosto 1950). Stavo facendo due passi col rosario in mano, credo nel cortile vicino alla cappella dell’ex seminario di Albinea. Passò di lì, per caso, il Vescovo Mons. Beniamino Socche, che si fermò e mi disse: “Prendi, don Pietro. È una piccola poesia di S.ta Teresa del Bambino Gesù. Se ti interessa…”, e mi allungò il foglio. Lo ringraziai e me la lessi subito. Ne fui arcicontento e, gustando immensamente quel testo, con la stessa immediatezza ne buttai giù le note della melodia che si svolgeva nella mia testa, semplice e spontanea. Vi trascrivo le due strofe, che rivelano la profonda spiritualità della Santa di Lisieux: l’abbandono totale del bimbo che si sa seguito e custodito dalla Mamma e che trova in ciò la via per accedere alle insondabili ricchezze del Cuore di Gesù: sentimento di un cuore innamorato, ma non vano e superficiale sentimentalismo:

Rit.      DOLCE REGINA DI GIOVINEZZA,

CI SVEGLI ALL’ALBA TUA CAREZZA!

DURANTE IL GIORNO VEGLIA SU NOI

POI CI ADDORMENTA CO’ BACI TUOI!

  1. COM’E’ DOLCE APRIR LE LUCI

AL SORRISO TUO, MARIA!

COM’E’ DOLCE, O MADRE MIA

SUL TUO CUORE RIPOSAR!

  1. COM’E’ DOLCE OGNI TRAVAGLIO

A TE OFFRIRE COME UN FIORE

COM’E’ DOLCE NEL DOLORE

TRA LE BRACCIA TUE CADER!

Santa Teresa del Bambin Gesù, proclamata “Patrona delle Missioni” e Dottore della Chiesa

BUON NATALE e ANNO NUOVO 2019 dal vostro aff.mo e vecchio don Pietro Ganapini

la foto di tutti i missionari e le missionarie di Ruy Barbosa

Da Ruy Barbosa – novembre 2018

Carissimi tutti,

siamo qui, dopo alcuni mesi di silenzio, che sono stati mesi un po’ di corsa…

Nella seconda metà di luglio e in agosto abbiamo avuto vari incontri in Casa (i giovani del cammino vocazionale diocesano, la Messa con i religiosi della Diocesi, un gruppo di una parrocchia, venuto a passare una domenica con noi…) e fuori Casa (la formazione dei religiosi, l’”incontrone” delle Comunità di Base, a livello diocesano).

Settembre è stato un mese di ospedali: il nostro Francisco ricoverato prima qui a Ruy Barbosa e poi trasferito a Salvador, e sr Josiane che è stata operata a fine mese. Risultato: negli ultimi giorni di settembre quattro suore su cinque a Salvador…. e in Casa? Sono stati fatti alcuni appelli in parrocchia e in Diocesi, e con sr Laurence e Gleide si sono alternate varie persone, dando disponibilità per stare in Casa alcuni giorni o, chi è di Ruy Barbosa, iniziando un turno nella settimana. E chi ha iniziato a venire continua!

Grazie a Dio, Francisco dopo una settimana a Salvador è tornato a casa (fine settembre) e così ci siamo preparati per salutare sr Laurance, che dopo tanti anni di Brasile l’8 ottobre è tornata in Madagascar. L’abbiamo salutata con un pranzo con il Vescovo e i preti della nostra parrocchia, con gli ospiti e un po’ di amici di Casa, e con la Messa domenica 7 ottobre.  Grazie, sr Lori, per gli anni di servizio umile, generoso e gioioso! Obrigado!

Dal 19 al 21 ottobre sr Manuela e d. Luigi hanno partecipato all’Assemblea Regionale della CRB (Conferenza dei religiosi del Brasile), con i religiosi della Bahia e del Sergipe, a Salvador. E’ stata occasione di incontro e di conoscenza di altre realtà e di consacrati di altre Congregazioni. Questo ha permesso a sr Josiane, prima di tornare a Ruy Barbosa dopo un mese di convalescenza presso le Ancille della Carità di Salvador, di fare un corso di esercizi spirituali personalizzati, e di essere accompagnata fin qua da sr Lúzia, Livia e Jessica, del “Lar fonte da Fraternidade”, una casa dove alcune consacrate secolari, vivono con ragazzi disabili e lavorano per la loro integrazione.  Sr Lúzia non si è fatta sfuggire l’occasione per venire a conoscerci. Diceva che in Salvador ci sono solo tre realtà che lavorano con i disabili, e la sua è l’unica dove ci sono consacrati.

Il 9 novembre Nailton per un’ernia e Eniciêde per togliere alcuni denti, sono stati ricoverati e operati all’ospedale di Ruy Barbosa. I due interventi sono stati rimandati più volte per via dell’anestesista, che abita in un’altra città e non sempre viene qui. Siamo molto grati ai medici e al personale dell’ospedale, che ha messo a disposizione una stanza per loro due, una stanza “mista”. All’infermiera in difficoltà per compilare le carte, essendo che nella stessa stanza c’erano un ragazzo e una ragazza, è stato detto che loro sono “molto speciali”. Grazie a Dio si sono fermati solo una notte in ospedale, poi sono stati dimessi, e sono i due che non escono mai di Casa e forse mai da quando sono qui avevano dormito fuori casa…

Ottobre è stato anche mese di elezioni per il Presidente del Brasile e i governatori dei vari Stati di questa Repubblica Federale. E’ stato eletto Presidente Jair Bolsonaro, di estrema destra, che  inneggia alla dittatura militare, alle privatizzazioni, all’armamento, alla concessione del porto d’armi, vuole ridurre le spese per le politiche pubbliche per aumentare gli armanenti, si pone contro le minoranze… la situazione politica non è per niente buona, speriam che l’opposizione, che ha la maggioranza in Parlamento, riesca, dal primo gennaio, a lavorare bene.

Speriamo il bene, e preghiamo che le scelte siano per il bene dei poveri e dei deboli.

Non solo a livello di Brasile ci sono problemi, ma anhe nella nostra piccola realtà di Ruy Barbosa. Pochi giorni fa è stato ucciso un ragazzo di 25 anni alle sette di sera, in una strada che è sempre  piena di bimbi. “Guai a chi scandalizza uno solo di questi piccoli”, diceva Gesù nel Vangelo di ieri.

Che la Casa della Carità possa essere sempre un segno di amore di Dio, un luogo di semina della Civiltà dell’Amore, dove le relazioni si vivono in modo differente, come diceva qualcuno in un incontro qui in Casa pochi giorni fa!

 Chiediamo a tutti una preghiera per tutto il Brasile, per la nostra Diocesi e la nostra città, per la Casa della Carità, per alcuni giovani che si stanno interrogando sulla propria vocazione.

Um abraço a tutti!

Tutti noi di Ruy Barbosa

Gli auguri di Natale del direttore

Carissimi missionari,

recentemente il Madagascar ha salutato don Giovanni Ruozi per gli anni di servizio condiviso con i missionari e con il popolo malgascio; gli confermiamo il nostro affetto e la nostra riconoscenza per la sua presenza davvero significativa nell’isola. Sarà un compito importante, per noi qui a Reggio, condividere, riflettere e saper trasferire in concretezza la ricchezza umana e spirituale che don Giovanni ha maturato nell’esperienza missionaria.
Il 17 novembre scorso ero presente al suo ingresso nell’unità pastorale di Castelnovo ne’ Monti, insieme al suo vicario parrocchiale don Marco Lucenti, che ha trascorso quasi due mesi di servizio in Albania presso la Casa di Carità.
Ho percepito una bella e calda accoglienza verso i nostri due sacerdoti e don Giovanni ha saputo, con la sua intelligente cordialità, parlare con il cuore e manifestare con piccoli gesti preziosi la sua generosità ad entrare nella nuova comunità a lui affidata.

In terra malgascia, a Manakara, all’inizio del mese di novembre, è avvenuto l’ingresso in parrocchia di don Luca Fornaciari (CSFC), come nuovo parroco e di don Simone Franceschini (CSFC) come responsabile della missione diocesana in Madagascar. Questi sacerdoti, presenti da un anno a Manakara, iniziano una nuova fase della loro vita missionaria, in continuità con l’opera iniziata e condotta da don Giovanni. La responsabilità di don Simone consisterà non solo nell’accompagnare e condividere con tutti i missionari i progetti attivi sulla missione, ma anche nel discernere, insieme ai missionari e al CMD, i nuovi progetti e percorsi che si riterrà di avviare a servizio della comunità malgascia. Don Simone formerà una piccola équipe per accompagnare i giovani missionari nel loro cammino di servizio e di formazione personale. 

La Chiesa si fonda sulla parola di Dio, nasce e vive di essa”, ha ricordato Papa Benedetto XVI[1]. “La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle pagine e leggerlo con il cuore”, scrive papa Francesco[2]. Ascoltare la Parola per diventare realmente “parola” di Dio per il mondo: “Voglia il cielo che tu possa riconoscere qual’è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita”[3]. “La persona fedele a Dio e che vive della sua Parola raggiunge, nel dono di sé, la vera beatitudine”[4]

Sono molto grato a ciascuno di voi, amici missionari, per il dono della vostra vita e vi invito a rinnovare il comune impegno, nostro e vostro, dell’essere in missione ad evangelizzare come equipe e non a titolo personale.
La comunità che vuole evangelizzare comincia con l’evangelizzare sé stessa”[5] Il camminare insieme richiede tempo e tempi differenti, ma sicuramente la comunione del nostro camminare insieme è la prima e fondamentale testimonianza di questo annuncio. La pazienza che richiede la comunione non è tempo perso, bensì tempo prezioso per camminare nello stile di Dio. L’opera dello Spirito suscita tante idee e ciascuno desidera contribuire con un piccolo segno nel fare qualcosa. Queste idee sono belle, ma chiedono di essere condivise insieme, guardando al bene ed al bisogno più urgente, lasciando cadere le proprie letture a favore di un discernimento comune che garantisca di rimanere in un cammino di autentico ascolto e servizio verso le persone a cui siamo inviati. Oggi è fondamentale mantenere attive le opere già avviate, soprattutto quelle rivolte all’ attenzione verso le persone. Capisco i giovani i quali, vedendo tanta povertà, avvertono il desiderio di sistemare concretamente qualcosa. Rimane per noi l’urgenza di sostenere l’esistente; la raccolta di fondi a favore dei missionari riesce a mantenere ordinariamente le opere a servizio delle persone, ad aiutare anche il CMD che con generosità sta da anni lavorando, da Reggio, per permettere a tutti i missionari di vivere il dono di essere presenti nella missione loro assegnata. Così come don Giovanni testimoniava nella messa a san Girolamo“la chiamata a partire per la missione è una grazia per chi la riceve”. Vi ricordo che da più di cinquant’anni a san Girolamo si prega per ciascuno di voi, per sostenervi e mantenere vivo qui a Reggio l’anelito missionario. Le vostre lettere, i vostri racconti sono per noi importanti per vivere una preghiera ancora più incarnata e feconda.

Preghiamo insieme per continuare ad essere una Chiesa “in stato di missione”, soprattutto quest’anno in cui riceviamo un dono: il Signore ci affida la responsabilità di servire la diocesi di Alto Solimões in Brasile- Amazzonia. Preghiamo per questo nuovo progetto che la nostra chiesa sta iniziando a vivere: don Paolo Cugini, don Gabriele Carlotti e don Gabriele Burani si recheranno in gennaio a Manaus, al corso di preparazione in vista di una loro permanenza in Amazzonia. Il 31 marzo 2019 avremo il piacere di ospitare al Convegno Missionario Diocesano il vescovo della diocesi dell’Alto Solimões, don Adolfo Zon Pereira. Sarà con noi anche il nostro vescovo Massimo. Ci metteremo in ascolto del vescovo Adolfo che ci aiuterà a conoscere la sua chiesa. Rendiamo grazie al Signore e riconosciamo che questo incontro confermerà il nostro cammino che prosegue e si allarga nella chiesa brasiliana. 

Don Luca Grassi terminerà a giugno il suo servizio nella diocesi di Ruy Barbosa e desidero ringraziarlo tanto per la passione generosa con cui ha vissuto il suo tempo in terra brasiliana. Per noi, riaccoglierlo avrà la duplice valenza di dono e di compito importante: prima di tutto ci metteremo in ascolto del dono di grazia cresciuto in lui durante questi anni. Come diocesi possiamo lasciarci evangelizzare dall’esperienza maturata dai nostri missionari; è una grande opportunità e solo così cresce la chiesa: in uno scambio reale tra le comunità cristiane di tutto il mondo.

Prima di don Luca, proprio nel mese di dicembre, rientrerà Don Riccardo Mioni, presente da tanti anni in Bahia in un umile e fedele servizio come fratello della Carità: un servizio obbediente e sereno, nel quale ha accolto ogni giorno la chiamata di Dio a compiere la Sua volontà, qualunque essa fosse.

Grazie don Riccardo, poiché dopo la missione in Madagascar ti sei arricchito dell’esperienza feconda della missione in Bahia.

 Credo sarà molto interessante riflettere con lui sui cambiamenti in atto o imminenti nella chiesa italiana e nella nostra diocesi, per ascoltare il suo punto di vista e le sue considerazioni.

Esprimo ancora tanta riconoscenza per sr Grazia rientrata dall’Albania, dopo questi anni vissuti con umiltà. Il segno è stato chiaro: ha manifestato nella semplicità il suo amore quotidiano per i piccoli ed i poveri con la forza della sua gioia. Sr Maria Angelica continua oggi ad abitare in casa con sr Rita; la loro presenza ci ricorda il legame con questo popolo giovane e allo stesso tempo adulto nella fede. Dono per noi tutti è stata la disponibilità di don Marco Lucenti, novello sacerdote, verso la nostra missione in Albania; la sua presenza, insieme al seminarista Paolo Lusvardi, nella diocesi di Sapa, è stata un prezioso segno di prossimità verso questa nostra chiesa sorella.

 

Nelle foto sull’India di don Davide Castagnetti e attraverso alcune telefonate abbiamo seguito i momenti drammatici vissuti dalla popolazione durante l’alluvione in Kerala; i danni sono ingenti e molte famiglie hanno perso la casa. Su iniziativa del vescovo Massimo la nostra chiesa ha indetto si mettono in salvo le barcheuna colletta alcune settimane fa per la chiesa del Kerala, al fine di sostenere concretamente l’aiuto alle famiglie nelle più urgenti necessità. Nella vita si intrecciano sempre sacrificio e frutto, morte e vita, smarrimento, angoscia e gioia. Così anche in India ci sono quattro ragazze in noviziato e due sorelle faranno la professione perpetua in Nagaland domenica 9 dicembre.  Ringraziamo insieme il Signore e uniamoci nella preghiera per questi doni alla Chiesa. Sr Annamaria sta maturando i saluti per prepararsi a rientrare in Italia; passaggi delicati proprio per i legami che nel tempo si creano. Sono passati vent’anni dalla sua partenza verso la missione in India; quando sono stato in visita presso la Casa, il dono della sua presenza tra gli ospiti, le sorelle e la comunità parrocchiale si coglieva con grande evidenza. 

Durante il tempo di Natale, insieme al vescovo Massimo, visiteremo il Rwanda; ci stiamo preparando insieme al gruppo “Amahoro” ed al gruppo “Padre Tiziano”. Domenica 9 dicembre incontreremo, insieme, il nostro vescovo per offrirgli uno sguardo storico e aggiornato sulla missione in Rwanda. Proprio in questi giorni il vescovo di Kibungo S.E. Mons. Antoine è stato nominato arcivescovo di Kigali. A lui rivolgeremo le nostre felicitazioni e lo ringrazieremo per questi anni vissuti insieme. Iniziamo a pregare per la nomina prossima del nuovo vescovo di Kibungo.

la foto di tutti noi dello staffInfine, come avrete saputo dal web, il nostro ufficio del CMD si è trasferito in curia insieme agli altri uffici pastorali e alla Caritas. I lavori di ristrutturazione hanno creato un ambiente di lavoro piacevole e dinamico; ora ci troviamo nell’opportunità di condividere i nostri progetti con gli altri uffici, di scambiarci sia idee che risorse.

Confido che lavorare vicini generi una fucina di proposte atta a far crescere la comunione tra noi operatori e in tutta la nostra chiesa. Maggior attenzione sarà rivolta alle unità pastorali ed alle missioni. Il nuovo assetto degli uffici di Curia, nell’ottica dell’integrazione, chiede tempo e pazienza a tutti. La mia speranza è che porti una rinnovata motivazione in tutti i direttori e collaboratori. Vorrei ringraziare il team dei collaboratori, in particolare i nostri del CMD: lasciando un luogo storico e confortevole quale era la vecchia sede, a loro è chiesto un sacrificio maggiore; in questi mesi la loro crescente disponibilità è stata per me edificante. Mi dispiace se in questo periodo nel quale stiamo riorganizzando il lavoro degli uffici voi, amici missionari, avete vissuto di riflesso con maggiore fatica le vostre giornate. Confido che questi disagi si riducano e tutto diventi snello, armonico e produttivo. Accompagnateci con la vostra preghiera.   

Concludo con parte del discorso di papa Francesco alla Pontificia Opere Missionarie avvenuto nel 2016 che ritengo significativo per noi e per voi.

 “Dobbiamo crescere in passione evangelizzatrice. Io ho paura – ve lo confesso – che la vostra opera rimanga molto organizzativa, perfettamente organizzativa, ma senza passione. Questo lo può fare anche una ONG, ma voi non siete una ONG! La vostra Unione senza passione non serve; senza “mistica” non serve. E se dobbiamo sacrificare qualcosa, sacrifichiamo l’organizzazione, andiamo avanti con la mistica dei Santi. Oggi, la vostra Unione missionaria ha bisogno di questo: mistica dei Santi e dei Martiri. E questo è il generoso lavoro di formazione permanente alla missione che dovete fare; che non è soltanto un corso intellettuale, ma inserito in questa ondata di passione missionaria, di testimonianza martiriale. Le Chiese di recente fondazione, aiutate da voi per la loro formazione missionaria permanente, potranno trasmettere alle Chiese di antica fondazione, a volte appesantite dalla loro storia e un po’ stanche, l’ardore della fede giovane, la testimonianza della speranza cristiana, sostenuta dal coraggio ammirabile del martirio. Vi incoraggio a servire con grande amore le Chiese che, grazie ai martiri, ci testimoniano come il Vangelo ci renda partecipi della vita di Dio, e lo fanno per attrazione e non per proselitismo”.

ll tempo di Avvento orienti la nostra azione missionaria. Sì, attendiamo Lui, Gesù Cristo Salvatore. Quest’attesa animi il nostro desiderio di non farci catturare dall’attivismo, ma ci porti al silenzio personale dentro il quale comprendiamo il senso del nostro essere qui dove siamo e di come “stare”, mettendoci in ascolto della Sua Parola. Nel silenzio personale meditiamo gli avvenimenti che ci accadono, portiamoli nell’orazione silenziosa, per comprenderli, per cogliere significati, per purificarli.

Maria, Madre della Chiesa, ci aiuti a custodire il dono della nostra vocazione, a comprendere ogni giorno il dono di essere stati chiamati da Gesù.

 Il nostro incontro con Lui urge in noi il desiderio di portare il profumo dell’amore di Cristo. L’incontro con Lui illumina di uno stupore nuovo ogni giorno della nostra vita e della vita di chi incontriamo, aiutandoci a riconoscere che l’azione dello Spirito Santo ci precede nelle persone e nelle culture che incontriamo. La contemplazione del Creato ci doni di riconoscere il Creatore sempre presente in ogni circostanza della vita: per questo preghiamo di avere occhi per riconoscere la bellezza della Sua presenza.

Assicuro a voi tutti il ricordo nella celebrazione dell’Eucaristia.

don Pietro Adani                                                                    

   Direttore del CMD di Reggio Emilia-Guastalla

                

[1] Benedetto XVI, Verbum Domini, esortazione apostolica, 30 settembre 2010, n. 3.

[2] Francesco, Evangelii Gaudium, esortazione apostolica, 24 novembre 2013, n. 264.

[3] Francesco, Gaudete et Exultate, esortazione apostolica, 19 marzo 2018, n. 24.

[4] Ibidem, n. 64.

[5] Vademecum CMD, n. 33 citato in Evangelii Nuntiandi, 15.

Il dottor Martin all'opera

Intervista al dottor Martin

Martin Randriatiana è il primario, chirurgo e direttore sanitario dell’FMA (Fondation Medicale d’Ampasimanjeva). Ha studiato medicina ad Antananarivo, si è specializzato in chirurgia, ha seguito un corso di medicina tropicale a Brescia e un master in ginecologia e anestesia a Scandiano (provincia di Reggio Emilia), mentre faceva uno stage all’ospedale di Sassuolo. Oltre a tutti questi titoli, il dott. Martin è un uomo estremamente gentile e paziente per cui, nonostante le tante cose che ha da fare tutti i giorni è riuscito a trovare il tempo per rispondere a qualche domanda.

 

Quando sei arrivato ad Ampasimanjeva e come mai proprio in questo ospedale?
Sono arrivato nel febbraio 1986, subito dopo aver finito gli studi. Durante il terzo anno di università mi sono sposato e prima della laurea io e mia moglie avevamo già due figli [adesso ne hanno quattro, di cui due vivono e lavorano in Italia, ndr]. Facciamo parte di un’associazione di medici cristiani e il responsabile, dopo averci chiesto se eravamo disposti a lavorare in uno degli ospedali di campagna con cui era in contatto, ci ha proposto di venire ad Ampasimanjeva. Abbiamo accettato e da quel momento non me ne sono più andato.

Perché hai deciso di rimanere a lavorare qui?
Nel corso degli anni ho ricevuto diverse offerte di lavoro, alcune anche molto prestigiose e ben retribuite, ma le ho rifiutate tutte. Qui mi sento davvero un medico, posso studiare e continuare ad imparare e ho la possibilità di fare trattamenti e cure secondo le tecniche che ci sono in Italia o in America. Negli altri ospedali si applicano solo protocolli standard, che non danno spazio all’evoluzione e all’innovazione; qua invece posso studiare una tecnica usata in un altro Paese e applicarla.
Mi sono innamorato di Ampasimanjeva e voglio rimanerci.

una visione panoramica della gente che attende fuori dall'ospedale di Ampa

Quali sono i cambiamenti più evidenti che ci sono stati in questi anni?
Quando sono arrivato facevamo i vaccini ai bambini nei villaggi, ogni giovedì. Capitava spesso, però, che una volta arrivati nessuno era pronto perché non avevano sparso la voce o non avevano ricevuto l’invito quindi era una perdita di tempo e di risorse. Adesso i vaccini si fanno in ospedale e ci sono più di 100 bambini ogni settimana.
L’altra grande differenza è che all’inizio era tutto gratuito, le persone non pagavano né la consultazione né le medicine e arrivavano ogni giorno 200 persone per farsi visitare; quando ci siamo accorti che spesso le persone buttavano via le medicine (se non era di loro gradimento il colore o il gusto) è stata inserita una quota di partecipazione minima in modo da non avere un così grande dispendio di farmaci e risorse [la quota che si chiede è comunque molto inferiore rispetto a qualsiasi altro ospedale del Madagascar, per esempio qui una scatola di paracetamolo che costa 3000 Ar, la pagano 300 Ar].
Il più grande cambiamento, però, è stata la sala operatoria. Dal 1997 ha iniziato ad essere in funzione e all’inizio si facevano solo parti cesarei, poi si è iniziata a fare formazione per operare le idroceli e poi si è iniziato ad essere operativi per tutti gli interventi addominali d’emergenza. Dal 2014 l’FMA è il punto di riferimento per gli interventi di fistole. È una pratica che inizia adesso ad essere presente nella formazione universitaria, ma per il momento sono uno dei pochissimi chirurghi che esegue questa operazione.
Abbiamo la possibilità di imparare da tutti i medici che passano di qua, a partire dai medici belgi che fanno servizio un mese all’anno come dentisti, ma anche chi si ferma di più: con l’arrivo e la permanenza della dottoressa Anna Maria Zuarini, per esempio, la cardiologia ha fatto un grande passo in avanti.

Quale senti essere la priorità dell’ospedale in questo momento?
Per migliorare avremmo bisogno di macchinari per il laboratorio. Al momento si riescono a fare solo esami che prevedono l’uso del microscopio, ma non sono esaustivi e così non è possibile individuare diverse patologia che invece sarebbe possibile vedere facilmente con altri tipi di esami e macchine apposta.

 

 

Quali sono i punti di forza dell’FMA?
Credo ci siano diversi aspetti; il primo è l’essere un ospedale di stampo cristiano. Qui tutti, i medici, gli infermieri, gli operai, lavorano con il cuore, non solo per il salario, ma per il bene delle persone che aiutano e con cui lavorano.
Il blocco operatorio è un’altra cosa che funziona bene, riusciamo ad eseguire interventi e far guarire il paziente nella quasi totalità dei casi, si verificano pochissime infezioni post-operatorie e la degenza dopo è di massimo 8 giorni, un risultato invidiabile. Anche essere un punto di riferimento per gli interventi di idrocele e fistole è senz’altro un punto di forza, ma è un luogo importante anche per le donne incinta che qui possono ricevere cure e operazioni raramente eseguite in qualunque altro ospedale.

visione esterna dell'ospedaleCosa ti auguri per il futuro della Fondation Medicale?
Vorrei che, migliorando alcuni aspetti, si potesse continuare a lavorare così. L’aiuto dell’Italia è prezioso e ci permette di fare molte cose che altrimenti non potremmo fare.
Se cambia il governo [ci sono le elezioni a novembre] cambierà anche l’attuale legge che vieta l’introduzione di farmaci provenienti da Paesi stranieri e si potrà ricominciare a ricevere medicine dall’Italia. I farmaci che abbiamo a disposizione in Madagascar adesso sono limitati e molto costosi, per cui se cambiasse quella legge sarebbe una svolta molto positiva per tutto il Paese.
Parlando di futuro… io prima o poi andrò in pensione, quindi spero che ci sarà qualcuno pronto a prendere il mio posto, ma finchè ci sarò io mi impegnerò per lavorare al meglio, migliorando io in prima persona come medico, studiando per mettere a disposizione delle persone quello che imparo

Intervista a cura di Giorgia Roda

Vanessa: lo spreco della vita è nell’amore che non diamo

Tra poco più di un mese completerò il mio terzo anno qui in Bahia ed è ormai chiaro come la politica faccia parte del quotidiano. Il 7 ottobre si voterà per il presidente del Brasile, due anni fa si era votato per i sindaci, durante i mesi precedenti alle elezioni c’è la campagna elettorale, ma durante tutto l’anno la politica è stata argomento di discussione.

E il voto non è una questione privata, ma pubblica ed è ben chiaro a tutti per chi voterai.                

In piccole realtà come nella quale vivo, lavori perché hai un’attività privata o perché hai qualche incarico pubblico; e in quest’ultimo caso o hai vinto un concorso o chi è al potere ha deciso. È logico che in questo modo le oppurtunità di lavoro non possono rispondere alle esigenze di tutti, così o si emigra o si vive di aiuti federali perché non sempre andar via è la soluzione migliore.

E il voto e il lavoro diventano qualcosa di inseparabile, perché se non hai un’attività privata o non hai vinto un concorso, il tuo voto (dipendendo da chi vince le elezioni) molto probabilmente determinerà se riceverai una proposta di lavoro, dovrai emigrare o vivere di aiuti federali per i prossimi quattro anni o più.

Ma non sempre è tutto così facile, perché se sei tra quelli che hanno ricevuto una proposta di lavoro non è detto che tu riceva lo stipendio tutti i mesi. E così si aprono altre possibilità e non c’è una risposta giusta o sbagliata, ognuno reagisce in base alle proprie esigenze, a quello che crede sia meglio per se e la propria famiglia.

Qualche sera fa si parlava di queste scelte a volte incomprensibili: perché una madre di famiglia continua a lavorare come spazzina nonostante non riceva lo stipendio da quattro mesi?

E la risposta me l’ha data un ragazzo di quasi 30 anni, che spera di diplomarsi a dicembre e che non ho mai visto sobrio: perché il politico di turno, quando lei gli fa notare la situazione insostenibile,  compra un chilo di fagioli e un chilo di riso per permetterle di poter riempire gli stomaci vuoti dei figli per qualche giorno e tutto è risolto.

Ma non sempre si ha la “fortuna” di poter permettersi di rivendicare qualcosa al politico, si vive di aiuti federali, che non sono molti, e quando hai una bimba di un anno con gravi problemi di salute e devi spostarti per cercare il meglio per lei, quei pochi spiccioli li spendi per l’autobus e le spese mediche.

Un padre di famiglia venerdì scorso, mi hai chiesto di aiutarlo. Sua moglie ha vergogna, ma a lui suo padre ha insegnato che deve provare vergogna solo chi ruba, lui un lavoro stabile non riesce a trovarlo e questo lo mortifica, ma è sua responsabilità sostentare la sua famiglia.

E potrei continuare ancora e ancora…

Per qualche settimana sono stata impegnata con altre attività, trascurando un po’ le visite e le chiacchiere con le famiglie, ma entrare nelle case della gente mi aiuta a ritornare alla realtà e a smettere anche io di avere vergogna, sapendo che posso chiedere qualcosa per loro, le famiglie con cui condivido la mia vita ogni giorno qui in Brasile.

Qui cerchiamo di tamponare molte situazioni con quello che abbiamo, chi ha qualcosina aiuta chi non ha nulla.

In chiesa raccogliamo indumenti usati, una parte viene distribuita alle famiglie che ne hanno bisogno, un’altra parte viene venduta al prezzo simbolico di 1 real al pezzo (20 centesimo di euro) e con il ricavato compriamo alimenti.

Non tutto però è una questione materiale, vivere in situazioni di precarietà non è facile, è necessario mantenersi occupati, ma con cosa quando non si ha soldi neanche per mangiare?

un gruppo di gestanti che dipingeNegli ultimi mesi con il gruppo delle gestanti, oltre a momenti di formazione con le infermiere, abbiamo pitturato dei quadretti per i futuri nascituri, abbiamo costruito dei portafoto per poter mettere foto di loro stesse con le loro pance, abbiamo decorato degli asciugamanini con i nomi dei bambini. È una gioia vederle felici, per due ore a settimana possono smettere di pensare ai problemi e vedere solo il bello di quello che vorrà dire dare alla luce una nuova vita.

 

 

Mamme e bimbi insiemeDomenica 23 invece abbiamo organizzato il ritiro della pastorale dei bambini. Le leaders della pastorale sono tutte donne che durante l’anno, volontariamente, visitano le famiglie vicine di casa e accompagnano la crescita dei bambini, segnalando eventuali problemi di salute, familiari o qualsiasi altra situazione di rischio. E una volta all’anno si cerca di dedicare un momento per loro: durante la mattina abbiamo riflettuto sulla vita di ognuna di noi partendo dall’episodio del Vangelo di Luca in cui si racconta della guarigione  della donna curva, abbiamo pranzato insieme e poi siamo andate due orette al fiume per un po’ di svago. Eravamo donne di diverse età dai 7 mesi ai 70 anni, tutte insieme, perché le leaders sono anche mamme e nonne.

Per me questi momenti  sono sempre ricchi e di grande esempio, donne che ogni giorno lottano fino allo stremo, in un territorio arido dove la terra non ha molto da offrire e gli uomini spesso o sempre non le valorizzano come meritano.

 

Oggi una ragazza che studia pedagogia mi ha chiesto un’ offerta per poter continuare i suoi studi e mi ha dato in cambio un libriccino con una raccolta di frasi di grandi personalità della storia e ho scelto  una frase della poesia “Vivere non fa male” di Carlos Drummond de Andrare:

“Ogni giorno che vivo, mi convinco sempre più che lo spreco della vita è nell’amore che non diamo, nelle forze che non usiamo e nella prudenza che non rischia mai..”

 Vanessa

25 Settembre 2018

I bambini alla scuola Papillon

Cosa c’è di nuovo? Inona ny vaovao??

Akory aby!!! (ciao a tuttiiiiii!)
Il mese di agosto sono venuti i campisti a trovarci per visitare un po’ le missioni di Reggio Emilia in Madagascar. Io ho avuto la fortuna di accompagnarli in diverse “tappe” ed è stato proprio bello passare del tempo con loro, è stato come sovrapporre due mondi fino ad ora così lontani, e diciamo che hanno portato un po’ di casa anche qui. Abbiamo condiviso tanti momenti, hanno osservato tanto, hanno fatto domande, ci hanno aiutato nei servizi, hanno espresso i loro dubbi e abbiamo fatto anche delle belle risate insieme. La loro curiosità mi ha obbligata a ripercorrere questi mesi, mi ha fatto riflettere su come li sto affrontando e le loro osservazioni mi hanno riportato un po’ a quello stupore e a quella meraviglia iniziale che con il tempo rischiano di perdersi. E così ho pensato fosse arrivato il momento di condividere anche con voi le novità della variopinta Ampasimanjeva.
Per cominciare, da metà maggio abbiamo vinto una nuova compagna di viaggio, così ora siamo in tre volontarie (io, Giorgia e Chiara) e ci stiamo preparando per accogliere Ilaria (non si sa perché ma l’affluenza maschile è ancora piuttosto bassa…). Vi dirò che essere in “tante” è davvero una bella ricchezza. I momenti di condivisione insieme sono uno stimolo per riflettere sulla settimana, per fare emergere le difficoltà e per gioire insieme delle piccole soddisfazioni. E poi così anche i problemi e le fatiche vengono affrontati da diversi punti di vista che spesso portano speranza e coraggio!
A scuola invece procede tutto bene. Grazie a varie offerte a marzo abbiamo comprato dei banchi, mentre a giugno siamo riusciti a inaugurare un piccolo bagno. Non potete immaginare quanti bambini abbia attirato! Non solo hanno iniziato a venire quasi tutti regolarmente, ma fanno addirittura a gara a chi si lava le mani e i piedi per primo prima di entrare in “classe”.
Ah, per chi ancora non avesse sentito parlare di questa scuola, proverò a darvi brevemente qualche informazione. Il vero nome è Centre papillon, e non si tratta proprio di una scuola, ma piuttosto di un luogo dove accogliere i figli dei malati ricoverati in ospedale e i bambini di Ampasimanjeva che per vari motivi non studiano più. Ad organizzare le attività quotidiane c’è una signora malgascia e io provo ad aiutarla un po’ come posso, soprattutto nella gestione dei bambini. I bimbi sono circa 60, tra quelli che vengono al mattino e quelli del pomeriggio, l’età varia dai 2 ai 13 anni e da qualche mese abbiamo deciso di dividerli in tre gruppi: i piccoli, quelli che stanno imparando a leggere e scrivere e quelli già bravini. Indipendentemente dall’età, il livello di alfabetizzazione è molto basso, e non vi nascondo che inizialmente per me è stato piuttosto difficile da accettare. Com’è possibile che a 10 anni un bambino non sappia scrivere il proprio nome? E perché per tutti qui è normale che sia così? Perché non si investe sull’istruzione? Perché ripetiamo per due ore i colori e i bambini continuano a non riconoscerli? Poi piano piano ho iniziato a capire che qui le priorità sono altre, soprattutto nelle famiglie più povere. Ho visto che le bambine già da piccole iniziano a prendersi cura dei fratelli, a cucinare per loro, a sgridarli quando si fanno male e allo stesso tempo a confortarli per farli smettere di piangere, proprio come delle mamme. I bambini invece spesso aiutano gli uomini a pascolare gli omby (zebù) o a preparare il terreno per le risaie, ed è chiaro che nei momenti liberi preferiscono far volare un aquilone, costruire una macchinina di latta o fare qualche giro in bicicletta. Ecco, diciamo che se all’inizio mi preoccupavo di dover fare, di programmare, di voler vedere risultati, ora sto iniziando a capire che a volte bisogna anche sapersi accontentare e che davvero non sono qui per cambiare il mondo ma per lasciarmi toccare e provocare da una cultura così differente dalla nostra.
Ed è quello che sto imparando anche con i tubercolotici (non più contagiosi!) e con le loro famiglie. Durante la settimana cerco sempre di ritagliarmi dei momenti per stare con loro. Non so bene perché ma proprio con loro io riesco ad essere così serena e così me stessa, tanto da dimenticarmi, a volte, di essere una vazaha (straniera) e allora ne approfitto un po’ per conoscerli meglio. Sto davvero imparando tantissimo! Mi insegnano parole del dialetto antaimoro (l’etnia che vive in questa zona del Madagascar), mi spiegano alcuni dei loro fomba (tradizioni) e dei loro fady (tabù), mi fanno conoscere un po’ di geografia raccontandomi da dove provengono, mi insegnano a pulire gli ampalibe (frutto che matura in questo periodo), mi fanno ascoltare le canzoni del momento, mi mostrano come realizzano quei bellissimi cappellini di rafia che portano in tanti e mi fanno vedere come in cinque minuti le donne riescano a riempire di treccine la testa di qualunque malgascio. E più imparo e più mi sento accolta.

Poi ci sono le nostre masere (suore) che ogni giorno, oltre a prepararci degli ottimi pasti (potrebbero davvero aprire un ristorante!), ci accompagnano con la preghiera e con tante chiacchiere. Spesso ci fanno riflettere su quello che non capiamo, ci danno consigli preziosi, ci confortano quando siamo un po’ malinconiche e sono davvero un esempio. L’attenzione che hanno verso i poveri e i malati, il loro prendersi cura dei più piccoli e la loro instancabilità sono davvero qualità difficili da trovare, in qualunque paese, e dalle quali speriamo di essere un po’ contagiate anche noi!
Ad ogni modo non tutto è sempre rose e fiori.
Con la lingua malgascia non è tutto in discesa, tante espressioni sono per me ancora dei misteri (anche se dopo tanto allenamento finalmente riesco a fingere abbastanza bene di aver capito) però per fortuna nelle conversazioni di tutti i giorni un po’ riesco a farmi a capire, e alla fine è questo quello che conta no?
Inoltre certe linee di pensiero qui molto comuni faccio fatica a condividerle, e alcuni comportamenti sono ancora difficili da accettare, ma perché forse giudico sulla base di quello che vedo mentre spesso c’è qualcosa dietro che giustifica un certo modo di fare, ed è quello che spero di riuscire a trovare nei prossimi mesi.
E poi c’è quell’etichetta che troppo spesso mi sento attaccata in fronte dagli sguardi della gente e che mi fa tanto dispiacere: bianco = soldi. E la cosa che forse più mi fa arrabbiare è che non riesco a ribattere, perché è vero che noi in confronto siamo “ricchi”, e però io cosa posso farci? E allora provo a parlare con chi mi chiede soldi, chiedo da dove vengono, quanti figli o fratelli hanno, e loro mi rispondono, stupiti di vedere ogni tanto un bianco che prova a parlare in malgascio.

E così ecco qua un po’ gli aggiornamenti sulla nostra quotidianità,
per ora tanti saluti da Ampa e…. alla prossima!

Giulia

Ilaria in cucina

Buongiorno signora! Salama tompoko!

Sono passati ormai due mesi dal mio arrivo in Madagascar, e a me sembra passato così tanto tempo…

Sono arrivata circa nello stesso periodo dei campisti, e fin da subito ho avuto la fortuna di conoscere gran parte dei progetti e di realtà diverse, oltre alle Case di Carità. In questi primi mesi ho incontrato molte persone preziose, visitato diversi luoghi, ammirato innumerevoli paesaggi interrogandomi su ogni cosa. Essere a conoscenza di certe situazioni di difficoltà e di povertà, fa sentire sicuramente impotenti, ma dà la possibilità di aprire gli occhi e di trovare il proprio posto.

Ilaria con masera e altri in Casa di Carità

Attualmente vivo in Casa di Carità qui ad Ambositra, paese nell’altopiano molto affollato e molto colorato, dove studio la lingua. Il malgascio è senza dubbio una lingua difficile, strutture diverse e parole molto distanti dall’italiano! All’inizio quella della lingua per me è stata una delle difficoltà maggiori. Non poter comprendere la lingua di chi ti parla è tremendo, però allo stesso tempo è stato bello vedere come la comunicazione non sia fatta solo di parole, ma anche di gesti, sguardi che riescono a semplificarla. Di grande aiuto per me, sono stati gli ospiti della Casa, che non si aspettano grandi discorsi da me e mi fanno semplici domande. Basta condividere piccoli momenti con loro, rivolgere attenzioni, sorrisi ed esserci. Ad affiancare la difficoltà della lingua, vi era il timore di uscire da casa, del sentirsi chiamare almeno una decina di volte ‘Vazaha’. All’inizio per me era così ingiusto da farmi arrabbiare, poi ragionandoci non viene detto con cattiveria, ma semplicemente noi bianchi siamo oggettivamente diversi e si sa che il diverso è qualcosa di sconosciuto.

Insomma in questi primi mesi ho avuto un gran da fare. Ho conosciuto la realtà della Caritas insieme al Mompera Max, ho vissuto un mese a casa di Nicola, ho studiato, ho incontrato Frate Leonard tornato dall’Italia per le vacanze, sono stata con la Luigina e i bimbi, ho rivisto la Masera Florance che è qui in Congé della mia Casa di carità a Cavriago e ho passato alcuni giorni a Fiarantsoa in occasione dei primi voti dei Fratelli. Attualmente mi impegno ogni giorno in Casa di Carità perché c’è sempre bisogno, le Masere e gli ausiliari sono molto accoglienti con me facendomi sentire a casa. L’esperienza in casa per me sta avendo la massima importanza nel mio percorso, ne sono molto contenta. Ho capito ancora di più la sua importanza nella mia vita, ed è un tramite tra me e il Signore per conoscerlo meglio ogni giorno.

Tra un mese andrò ad Ampasimanjeva e li inizierà il mio progetto, non vedo l’ora. Credo di aver provato quanto sia faticoso ascoltare senza capire, aspettare, non farsi programmi perché tanto qualcosa verrà cambiato, e chiedere aiuto. Giorno per giorno ho imparato a vedere con occhi diversi la realtà di Ambositra e a trovare i suoi lati positivi, a mischiarmi con la gente. Credo però che la forza ti venga dall’alto che ogni giorno bisognerebbe ascoltare e cogliere quei segni che Lui ci manda. La cosa più importante è che non si è mai soli, c’è sempre qualcuno con te anche se non lo vedi, e questa è una grande certezza.
Un saluto a tutti, Veloma e Amin’ny Manaraka (arrivederci e alla prossima).

Ilaria

con i bambini di Anorambato, mani fangose e gioiose

Madagascar: le mani ed i gesti che fanno bene al cuore

“Mani, prendi queste mie mani, fanne vita fanne amore…”

 

 

In questi 25 giorni di campo missionario in Madagascar ne ho incontrate davvero tante di mani che hanno lasciato in me un segno.
Mani pronte a riabbracciare con gioia incontenibile un’amica che in questi mesi è stata luce.
Ha permesso di far nascere in me tante domande, tanti desideri e fra questi, anche quello di andare là a rincontrarla e incontrare.

Mani sapienti di Sasà, ospite della casa di carità di Tongarivo, che mi ha preso per mano e mi ha guidato a scoprire le bellezze nascoste di quell’oasi di pace, come ad esempio un piccolo camaleonte in un orto fatto con tanta cura.
Mani di Edmund, ospite invece della casa di carità di Ambositra, con gli occhi che lacrimavano e, sotto la luce del sole, luccicavano. Sono mani che mi hanno stretto con gioia e che hanno fatto sparire tutto il resto intorno: quelli che noi chiamiamo i nostri difetti, la mia ignoranza della lingua malgascia, le chiacchiere dei miei compagni e degli altri ospiti. In quel momento c’eravamo solo io e lui e le nostre anime che si incontravano in silenzio.

Mani sporche e segnate ma instancabili degli artigiani di Ravinala che ho incontrato lungo la strada. Grazie alla loro creatività lavorano materiali grezzi per dare vita a gioielli in alluminio, a piccole pochette di rafia, a statuette intagliate di legno, a macchinine in latta.
Mani volenterose dei volontari di RTM ad Antananarivo e a Manakara, che progettano e si impegnano con anima e corpo per lottare contro problemi sociali importanti come la lebbra.

Mani stanche, arrabbiate, tristi, rassegnate, ma anche resistenti degli uomini carcerati di Ambositra e degli ospiti del villaggio terapeutico di Ambokala, che si sono rianimate giocando insieme a noi a pallavolo e a calcio.
Mani calde e fangose di tutti i bambini che ho incontrato, che mi hanno schizzato con l’acqua della cascata di Anorombato, che hanno giocato con me alla Ludoteca Papillon, che mi hanno accompagnato a conoscere il villaggio di Ampasimanjeva.
Mani contente di piccolini che mi hanno imitato nei gesti dei bans al campo estivo alla ferme di Analabe, che hanno acchiappato forte i giochi portati nel cortile di Suor Luigina ad Ambositra, che sono così abituati ad essere autonomi da rifiutare il mio aiuto per spostarsi da una passerella all’altra ad Anatihazo.
Mani di bambine che hanno una cicatrice che assomiglia tanto alla mia o che si sono tenute forti al mio braccio mentre nella schiena avevano dietro una piccola sorellina e ancora l’altro pollice in bocca.
Mani di tutti i ragazzini che ci hanno salutato alla fine con gratitudine e senza lamentarsi, sapendo forse loro, fin dall’inizio, che tutto ha una fine?

Mani perseveranti di chi ha deciso di restare, di dedicare la sua vita a quel pezzetto di terra perché “è davvero tutto regno di Dio”.
Quindi eccole le mani ancora forti e tenaci di Don Pietro Ganapini, che mi hanno donato un libretto sul suo progetto della DIDEC, fatto stampare apposta per noi.
Ma anche mani umili, pazienti e materne di Suor Giacinta, di Suor Luigina e di tutte le altre masere che mi hanno accolto, che lavorano nell’ombra e sono così semplicemente madri e sorelle di tutti.
Mani laboriose dei monpera orionini di Anatihazo, che con la loro scuola professionale di falegnameria, fondata da Don Luciano Mariani, provano a dare speranza ai giovani che nascono in uno dei quartieri più poveri della capitale.
Mani sagge dei monpera e dei capi villaggio del gruppo degli Zafimaniry, che resistono nelle foreste e che provano a costruire qualcosa grazie alla solidarietà e alla provvidenza. Sono le loro mani grate, che ci hanno ringraziato così tanto per essere andati fino a là, in quel posto sperduto, solo per incontrarli.
Mani umili di Don Giovanni Ruozi, che hanno saputo indicare i pezzettini di quella chiesa, non solo fisica, di Manakara costruita con tanta fatica e passione.

Mani pronte ad accogliere, dei volontari, che mi hanno mostrato ancora con stupore i loro progetti e il punto in cui sono arrivati nella loro faticosa ricerca quotidiana.
Mani uniche dei miei compagni di viaggio, che hanno saputo tutte esserci, sostenere, accarezzare, coccolare, abbracciare, scherzare, condividere, sfiorare il cuore, per portare un po’ i pesi insieme.
Le loro mani a cui ho potuto affidarmi fiduciosa nei momenti di difficoltà e che mi hanno stretto tanto forte prima di lasciarmi alla fine andare.
Mani speranzose di tutti noi insieme che, durante le messe, nel momento della pace, si sono strette forti e si sono alzate in alto per poterle offrire tutte a Lui.

Ringrazio il Signore per avermi donato occhi e cuore per vedere il bello in ogni piccolo gesto di amore durante questo viaggio e per percepire la sua presenza dietro ad ognuna di queste mani.
E alla fine, ho capito che aveva ragione Suor Roberta della casa di carità di San Giuseppe: “Cercalo, non smettere mai di cercarlo, è faticoso, ma è l’unica cosa per cui vale la pena vivere!”.

Elisa Carpanoni

Il panorama dell'oceano e delle sue spiagge disabitate

Quel benedetto sorriso

“Tutto iniziò così. Quel sorriso, quel maledetto sorriso”. È l’incipit di una celebre serie tv americana,
“13 reasons why”.
Ma non è questo ciò di cui parlerò.
Ho scelto questa frase perché è perfetta per Giulia. Così è nata la sua amicizia con Michel, con un semplice
sorriso, innocente e irrazionale, fatto da dietro le quattro sbarre metalliche della cella di isolamento in cui
era stato rinchiuso al suo arrivo qui ad Ambokala. Come con molti altri pazienti, la diffidenza iniziale nei suoi
confronti è svanita rapidamente, spazzata via da quel candido sorriso che ha aperto in lei le porte del cuore,
ora pronto ad ascoltare, capire e avvicinarsi.
Per più di una settimana Michel ha vissuto in cella, dispensando allegria durante i pasti grazie ai suoi canti, ai
balli improvvisati e a infantili giochi che ci divertivamo a fare assieme (il famoso cucù di cui parla Giulia).
E basta poco, un piccolo assaggio della sua genuinità, per rendere contagioso quel sorriso, forse solo frutto
della sua malattia o dei farmaci somministratigli, o causato dalla droga e dall’alcool di cui spesso ha abusato,
o forse, ancora, frutto di uno spiraglio di lucidità.
Ma poco importa l’origine di tale gioia, specialmente a Giulia, la quale, superate le paure di rimanere sola a
gestire un ospedale psichiatrico e i suoi pazienti, è riuscita nell’impresa più difficile di tutte: sentirsi a casa e
accolta. E non perché è “matta” come molte delle persone che la circondano ogni giorno, ma perché invece
di compatirle pietosamente, le considera uguali a sé, trattandole di conseguenza, scherzandoci liberamente,
eliminando i pregiudizi, senza però cadere nel buonismo o nel bigottismo che troppo spesso annebbiano
l’opinione delle persone, chiudendo le loro menti e i loro cuori e rendendole stagne alla scoperta e alla
crescita.

Lei è rimasta critica, in grado di divertirsi con i pazienti, ma anche di rimproverarli quando necessario.
Qualche giorno fa hanno scoperto Michel mentre beveva alcolici e fumava erba, il tutto trascurando la
propria terapia farmacologica. Giulia non ci ha pensato due volte a sgridarlo, ad arrabbiarsi e a mostrargli la
propria delusione, palesemente visibile sul suo volto per alcuni giorni. E proprio questo comportamento, il
porsi al pari degli altri, ha fatto sì che Michel capisse i propri errori e riprendesse a seguire diligentemente la
terapia, mostrando segni di miglioramento, almeno per ora.
E chissà, che magari, alla fine, la miglior cura per certi casi di malattia mentale non sia altro che la presenza
di un amico, con cui condividere la quotidianità e la follia e che ti faccia dire “Ciao amica mia, […] sono felice
che tu sia qui”.
Enrico Cerio, RTM
Mankara, il 04/09/2018.