Quel benedetto sorriso

“Tutto iniziò così. Quel sorriso, quel maledetto sorriso”. È l’incipit di una celebre serie tv americana,
“13 reasons why”.
Ma non è questo ciò di cui parlerò.
Ho scelto questa frase perché è perfetta per Giulia. Così è nata la sua amicizia con Michel, con un semplice
sorriso, innocente e irrazionale, fatto da dietro le quattro sbarre metalliche della cella di isolamento in cui
era stato rinchiuso al suo arrivo qui ad Ambokala. Come con molti altri pazienti, la diffidenza iniziale nei suoi
confronti è svanita rapidamente, spazzata via da quel candido sorriso che ha aperto in lei le porte del cuore,
ora pronto ad ascoltare, capire e avvicinarsi.
Per più di una settimana Michel ha vissuto in cella, dispensando allegria durante i pasti grazie ai suoi canti, ai
balli improvvisati e a infantili giochi che ci divertivamo a fare assieme (il famoso cucù di cui parla Giulia).
E basta poco, un piccolo assaggio della sua genuinità, per rendere contagioso quel sorriso, forse solo frutto
della sua malattia o dei farmaci somministratigli, o causato dalla droga e dall’alcool di cui spesso ha abusato,
o forse, ancora, frutto di uno spiraglio di lucidità.
Ma poco importa l’origine di tale gioia, specialmente a Giulia, la quale, superate le paure di rimanere sola a
gestire un ospedale psichiatrico e i suoi pazienti, è riuscita nell’impresa più difficile di tutte: sentirsi a casa e
accolta. E non perché è “matta” come molte delle persone che la circondano ogni giorno, ma perché invece
di compatirle pietosamente, le considera uguali a sé, trattandole di conseguenza, scherzandoci liberamente,
eliminando i pregiudizi, senza però cadere nel buonismo o nel bigottismo che troppo spesso annebbiano
l’opinione delle persone, chiudendo le loro menti e i loro cuori e rendendole stagne alla scoperta e alla
crescita.

Lei è rimasta critica, in grado di divertirsi con i pazienti, ma anche di rimproverarli quando necessario.
Qualche giorno fa hanno scoperto Michel mentre beveva alcolici e fumava erba, il tutto trascurando la
propria terapia farmacologica. Giulia non ci ha pensato due volte a sgridarlo, ad arrabbiarsi e a mostrargli la
propria delusione, palesemente visibile sul suo volto per alcuni giorni. E proprio questo comportamento, il
porsi al pari degli altri, ha fatto sì che Michel capisse i propri errori e riprendesse a seguire diligentemente la
terapia, mostrando segni di miglioramento, almeno per ora.
E chissà, che magari, alla fine, la miglior cura per certi casi di malattia mentale non sia altro che la presenza
di un amico, con cui condividere la quotidianità e la follia e che ti faccia dire “Ciao amica mia, […] sono felice
che tu sia qui”.
Enrico Cerio, RTM
Mankara, il 04/09/2018.