Amahoro: un’esperienza lontana, ma sempre vicina
A venticinque anni dall’avvio dell’esperienza legata alle case della pace “amahoro” in Rwanda, i ricordi e le immagini scorrono ancora nitidi nella mia mente. I primi preparativi sono sotto il segno della preghiera, che ci ha accompagnato già dal nostro primo viaggio il 29 di giugno (è il 1995). Il tramonto del sole visto dall’areoporto di Bruxelles faceva da sfondo alla preghiera dei vespri in attesa dell’arrivo dell’aereo della già fallita compagnia SABENA che ci avrebbe portato nel cuore del Rwanda.
I forti contrasti visibili sin dall’arrivo a Kigali creavano nella mente associazioni gioiose e tristi: la terra rossa ed il sangue ancora visibile versato nel conflitto del 1994¹; la vegetazione verde intenso ed il colore verde delle uniformi dei soldati del Fronte Patriottico Rwandase – FPR vincitori del massacro; i formicai a cielo aperto con i loro tantissimi buchi e le infinite formiche e gli edifici (case, parlamento, strutture pubbliche) piene di buchi fatti da mitragliatrici, bazuca, cannoni ed infiniti proiettili sparati.
Dopo alcuni mesi di preparazione dei locali per l’accoglienza, si parte! Iniziano ad arrivare i primi bambini traumatizzati dalla guerra. Ricordo i loro nomi e vedo ancora le loro faccie: Emmanuel, Françoise, Bazimira, Dominique, Claudine²… Di alcuni ho ancora le foto, di altri solo il ricordo e la preghiera.
Il decollo del progetto amahoro ha dato il via ad una serie di interventi ed attività che hanno fatto sorgere le Case Amahoro tutt’oggi presenti sul territorio rwandese. Una solidarietà nata dalla preghiera, dal Vangelo vissuto e condiviso insieme ai piccoli (non solo di età) e ai semplici. Penso che se ci sia stato un sucesso in tutta questa lunga storia non sia stato tanto quello di essere riusciti a fare e a construire qualcosa, ma quello di aver condiviso le sofferenze, le frustrazioni, il dolore di persone con un nome e una faccia. Abbiamo inziato, ed altri hanno portato avanti fino ad oggi, delle relazioni. Scambi di doni dal sapore apostolico; non tanto oro e argento…o cose, ma Gesù Cristo. Sì! ci siamo scambiati Lui, il Signore ed è per questo, credo, che ancora oggi a 25 anni di distanza il ricordo si mantiene vivo. Un ricordo che alimenta una duplice speranza: quella che tutti questi bambini abbiano potuto crescere e diventare persone adulte portatrici di pace e di amore e quella legata al nostro fine ultimo; poterci ritrovare un giorno nel Regno del Padre a far festa isieme.
Miguel Calmon, 02 settembre 2020
Gianluca Guidetti – missionario laico Fidei Donum in Brasile
Note
¹ Un conflitto etnico… si è sempre fatto credere, per chi lo voleva credere, ma molto di più, o molto peggio per chi voleva vedere sotto l’apparenza di Hutu contro Tutsi.
² I nomi sarebbero molti, molti di più non solo dei bambini accolti, ma anche di tutte le persone che ho conosciuto nei quasi 6 mesi (dal 30 giugno al 10 dicembre) di permanenza a Mukarange. Per ragioni comprensibili qui cito appena questi che mi sono venuti alla mente per primi.
Foto di copertina di G.M. Codazzi