La Chiesa di Reggio Emilia in Madagascar
In questo tempo di Avvento ci viene proposto il vangelo di Giovanni Battista che predica la conversione. In che modo possiamo convertirci per prepararci alla venuta di Gesù? Non credo che siano necessari per forza grandi cambiamenti, forse basta solo fare attenzione ai piccoli gesti del quotidiano. In questi due mesi ho avuto la possibilità di imparare qualcosa a riguardo.
Mi sono trovato varie volte in situazioni in cui non riuscivo a capire o in cui non potevo comunicare. È una sensazione davvero pesante e umiliante. Per tante volte ho sopportato, non vedendo l’ora di andarmene via o di poter finalmente fare dell’altro. Poi mi sono tornate in mente alcune parole che don Mark, il prete con cui abitiamo, ci ha detto appena arrivati in Albania: “Chiudete le finestre alla sera, perché la gente ci guarda in casa”. Potrebbe sembrare un semplice avvertimento, ma dice molto di più. Noi viviamo al centro del paese, nel posto più bello, siamo italiani, perciò anche se non ce ne accorgiamo le persone ci guardano. Questo mi ha aiutato a rendermi conto che il nostro corpo comunica sempre, anche quando non ce ne rendiamo conto, anche quando non lo vorremmo. Tante volte mi trovo in mezzo a bambini o a giovani, come a messa o agli incontri di catechismo. Non credo che loro si accorgano della mia difficoltà e fatica interiore, ma invece notano il mio atteggiamento, il mio comportamento. Si accorgerebbero se non stessi attento, se non mostrassi il minimo interesse, se parlassi con Alessandro, se arrivassi in ritardo o se usassi il telefono. Invece, penso che senza fare grandi cose, ma soltanto mantenendo un comportamento serio, costante, responsabile, si possa comunicare un messaggio positivo e si possano suscitare domande.
Don Leonardo, il rettore del seminario di Scutari, ci ha raccontato che quando era appena arrivato in Albania dall’Italia una donna gli aveva chiesto di potersi confessare urgentemente. Non sapendo la lingua, si era trovato un po’ in difficoltà. Perciò le aveva detto di confessare tutti i propri peccati e alla fine lui l’avrebbe assolta. In questo modo, dopo 45 minuti di monologo, durante i quali lui non aveva capito una parola, era terminata la confessione. Alcuni anni dopo, quando don Leonardo aveva dovuto spostarsi da quella parrocchia, quella donna lo salutò dicendogli: “Grazie ai tuoi consigli, quel giorno ho salvato la mia famiglia”. Lui non aveva detto niente, era solo rimasto lì davanti a quella donna, al resto ha pensato il Signore.
Il non capire e il non poter parlare permettono di dare spazio a percezioni e comportamenti che nel nostro quotidiano abbiamo un po’ perso: ascoltare i suoni di questo paese, dalla natura alla confusione delle strade, ammirarne i paesaggi e calpestarne il suolo, guardare come le persone vivono, come si salutano, come stanno insieme. Ho capito che si può interagire senza bisogno di tante parole. Si può comunicare giocando, cantando, ridendo, mangiando e pregando insieme. Ho riscoperto l’importanza di un saluto e di un sorriso. Tante volte i gesti riescono a comunicare più delle parole. Mi rendo conto che spesso nei ricordi di anni passati non emergono tanto le parole ma i gesti che delle persone hanno fatto, magari anche inconsapevolmente.
Auguro anche a voi di poter riscoprire l’importanza dei piccoli gesti in questo tempo di Avvento.
Paolo
Pubblichiamo con piacere questo scritto di Paolo inviato alla sua Unità pastorale Sant’Ilario e Calerno
“Ma il Signore non vuole avventurieri solitari. Ci affida una missione, sì, ma non ci manda da soli in prima linea.
Come ha detto bene Vavy Elyssa, è impossibile essere un discepolo-missionario da solo: abbiamo bisogno degli altri per vivere e condividere l’amore e la fiducia che il Signore ci dà. L’incontro personale con Gesù è insostituibile, non in maniera solitaria ma in comunità. Sicuramente, ognuno di noi può fare grandi cose, sì; ma insieme possiamo sognare e impegnarci per cose inimmaginabili! Vavy l’ha detto chiaramente. Siamo invitati a scoprire il volto di Gesù nei volti degli altri: celebrando la fede in modo familiare, creando legami di fraternità, partecipando alla vita di un gruppo o di un movimento e incoraggiandoci a tracciare un percorso comune vissuto in solidarietà. Così possiamo imparare a scoprire e discernere le strade che il Signore vi invita a percorrere, gli orizzonti che Lui prepara per voi. Mai isolarsi o voler fare da soli! È una delle peggiori tentazioni che possiamo avere.
In comunità, cioè insieme, possiamo imparare a riconoscere i piccoli miracoli quotidiani, come pure le testimonianze di com’è bello seguire e amare Gesù.” (Papa Francesco veglia con i giovani in Madagascar 7 settembre 2019)
Carissimi missionari,
con queste parole del santo padre Francesco desidero raggiungere tutti voi iniziando dal ringraziare per quest’incontro celebrato quest’anno in Madagascar che ha visto alcuni di voi vivere da vicino questo momento di grazia per la chiesa malgascia. L’invito che il papa fa alla chiesa del Madagascar lo estendo ad ognuno di noi. Incontrare Cristo nella comunità è cogliere il sogno di Dio che Gesù ci ha svelato e lo Spirito ci dona la forza di viverlo. Siamo chiamati ad essere piccole comunità cristiane in cui si vive il vangelo e la vita fraterna. L’essere discepoli-missionari ci richiama sempre alla nostra conversione, alla ricerca di una testimonianza credibile e affidabile che l’uomo di oggi posso toccare, ascoltare nella nostra vita, nella nostra vita trasfigurata nella vita fraterna. Vivere in comunità per essere la comunità di Gesù conduce alla gioia del dono di noi stessi nella vita di tutti i giorni, ai fratelli che vivono con noi. Questo cammino di spogliazione nel tempo diventa scoperta di conoscenza di Gesù che nell’incontrarci nel fratello ci chiede, ci chiama, attende da noi, a volte anche nei tratti meno sopportabili della pretesa. Nella vita di ogni giorno quest’incontri ci portano alla conversione profonda del nostro cuore alla scoperta di chi siamo noi e di chi è Dio.
“Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. 26 Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. 27 Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. 28 Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. (Lc 10,25-28)
Dio ci chiama ad una relazione piena con lui, con tutto noi stessi pur sapendo che questo non sarà mai possibile viverlo pienamente ma è una tensione a cui Lui ci chiama. Continuamente ci rialza e la gioia del camminare verso di Lui è bellissima, poi scopriamo che camminare verso di lui è possibile solo se lo si compie insieme e infine scopriamo che noi abbiamo fatto pochi passi Lui infinita strada. Questo ci invita a mantenerci umili perché sempre nel cammino di fede se forzo la pretesa di sapere camminare verso Dio fino a non cadere più, io cadrò in modo ancora più definitivo. L’attenzione non dev’esser sul non cadere ma sullo stupore dei passi possibili compiuti, del camminare e anche le cadute diventano preziose perché ci fanno scoprire la gioia di sentirci rialzati, di sperimentare che i fratelli sanno aspettarci e tendono verso di noi mani che non condannano ma rialzano, non giudicano ma incoraggiano.
È un paradosso sapere che la patrona delle missioni è una suora di clausura. Penso sia oggi ancora più importante per tutti noi qui a Reggio e anche in missione fare l’esperienza di questo paradosso: per essere fecondi Dio ci chiama a consegnarci a Lui mettendo le nostre vite nella obbedienza alla chiesa. Noi ministri abbiamo tutti in mente il rito dell’ordinazione: le mani nelle mani per essere nella vita segno della comunione trinitaria. L’obbedienza, questo ascolto profondo della realtà, il luogo in cui Dio viene incontro a ciascuno di noi nella nostra consegna di fede alla chiesa Dio si fa presente, ci incontra e ci sostiene.
Tutto ciò non ha nulla di magico nei suoi effetti nella nostra vita. Si sperimenta tutta la drammaticità di passare dalla morte alla vita, per questo l’obbedienza ci chiama ad una adesione lieta, attiva, e responsabile. Ecco perché Teresina è la patrona delle missioni, perché senza l’esperienza della gratuità, della preghiera la missione sarebbe solo la mia azione in cui non si riconosce la presenza salvifica di Cristo ma solo la mia piccola azione dove nel tempo si vedrà crescere la pretesa del possesso della mia opera e il passo di trasformare una buona azione in un’azione “violenta” è brevissimo. Violenta nel senso di imporre i miei criteri, la mia idea, la mia visione che non tiene più conto del reale e possibile bene per le persone ma solo di me. La preghiera e in particolare oggi davanti alla sacra famiglia, ci educa a stare con fiducia dentro l’esistenza nostra e degli altri con più libertà, senza tornaconto o vanagloria, con umiltà, mitezza e riconoscenza. La preghiera ci dona di vedere Cristo presente. La Sua amicizia fraterna ci dona di saper so-stare con fede e gratuità nella vita, di lasciarci mettere nella mangiatoia per essere una vita che nutre consapevoli della nostra inutilità. Li noi ogni volta nasciamo come chiesa, la missione è sempre più la Sua e in noi cresce la gioia del cielo.
Con queste povere parole vorrei esprimere a ciascuno di voi la mia gratitudine per la vostra vita donata e insieme a tutto l’ufficio del Centro Missionario Diocesano assicurarvi la nostra preghiera, la nostra prossimità per la nostra missione che insieme siamo chiamati a vivere per portare a tutti l’annuncio dell’amore di Dio verso ogni uomo.
Ci uniamo alla gioia dei pastori in ginocchio davanti alla santa famiglia accogliendo il dono della pace che Cristo ha portato sulla terra. Ad ognuno di noi e a noi insieme è affidato questo dono. Chiediamo allo Spirito Santo la forza di portare semi di pace e di speranza nelle nostre azioni, nelle nostre parole e nei nostri gesti.
Buon Natale a tutti
don Pietro Adani
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