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Bambini, bambini e ancora bambini

Bambini, bambini e ancora bambini, bambini ovunque andiamo.
Qui la vita inizia in ogni angolo.

 

 

 

 

 

 

Bambini che ci sciolgono con i loro sorrisi, un po’ sdentati, ma tanto lucenti.
Bambini che, come ci racconta Giulia, fin da piccoli ad Ampasimanjeva sono spesso chiamati a tener dietro agli zebù, ad avere il ruolo di piccoli pastori perdendo così la possibilità di frequentare la scuola, di viversi l’infanzia.

 

 

 

Bambini curiosi che, appena ci vedono, con un po’ di vergogna tentennano fra lo stare e lo scappare, ma quando decidono di rimanere, sentiamo la loro accoglienza vera e sincera, come un immenso abbraccio anche senza sfiorarci.

Una bimba con il fratellino sulla schienaBambini che portano sacchi pesanti sulla loro testolina, che tengono sulla schiena il fratellino o la sorellina, due cuori vicini, che si toccano, uno che impara presto cosa significhi essere responsabile e l’altro che si deve affidare.
Bambini che ci seguono ovunque andiamo, che corrono come forsennati dietro al nostro pulmino, pur di non perdersi il saluto di un “vazaha” (straniero).

 

 

 

 

 

Bambini colorati nel loro vestito migliore per l’occasione della messa, che sanno a memoria le canzoni di chiesa perché sono le uniche che possono ascoltare.
Bambini silenziosi nel nostro momento di condivisione con Don Simone ad Anorombato, il giorno prima di ferragosto, che ci osservano prima con occhi stupiti poi ci scrutano uno ad uno per comprendere cosa stia succedendo, condividendo con noi semplicemente standoci accanto.

Bambini che non si sa neanche se nasceranno, che potrebbero morire dopo i primi battiti, che hanno un pancione gonfio come un palloncino, pieni zuppi di fango, con una sola ciabatta, quasi tutti con i piedi scalzi, con le treccine o con i codini, che si lavano nel fiume.

Bambini che si divertono come pazzi a fare i bans con Chiara, che adorano le foto, che non vedono l’ora di vedere finalmente la loro espressione riflessa come su uno specchio, che ridono come matti appena mostriamo loro la foto appena scattata, che vorrebbero essere riconosciuti, sognati e ricordati.
Bambini che, ai vari mercatini che incontriamo, rimangono lì tutto il giorno con i genitori, ad aspettare, a sgranocchiare, a osservare, a succhiare da un seno offerto gentilmente da mamme stanche e segnate.

 

Bambini che calciano un pallone composto da stracci, che rincorrono Roberta e Martina, che assaltano Damiano, che farebbero qualunque gioco insieme a noi.

Stasera, prima di dormire, sotto questo cielo zuppo di stelle nell’emisfero opposto, pensiamo solamente che tutti noi siamo stati bambini e che è proprio un dono grande poter intrecciare la nostra vita con quella di questi bambini.

I campisti malgasci – Ampasimanjeva 18/08/2018

In partenza per il campo estivo in Madagascar!

Eccoci qua,
anche se fisicamente non ci siamo mossi molto, se non di qualche chilometro attorno alla nostra città, il cammino in questi mesi è stato lungo e intenso.
Che bello è stato provare a conoscerci e riconoscerci un po’ in quella scintilla che lentamente, ma costantemente, ci brucia dentro!
Sento che ognuno di noi ha tanta voglia e desiderio di comunione, tanta sete di conoscenza diretta che può diventare testimonianza, che apre gli occhi e inevitabilmente ‘slarga il cuore’, come mi disse una volta Padre Danilo.
Emozioni forti e pensieri in circolo oggi in questo aeroporto che ci seguiranno dopo i 7947 chilometri che abbiamo davanti.
C’è soprattutto una frase di una canzone che mi si è attaccata addosso e ora non mi molla più: “Io sarò con te dovunque andrai.”

Ci siamo interrogati in questi mesi sul nostro ruolo durante il campo, abbiamo chiesto quale potesse essere la nostra ‘missione’ e la risposta che alla fine ci siamo dati è il non voler essere supereroi o solamente fare, ma essere umili e provare solamente a STARE. Quest’ultima parola ci ha fatto tanto ridere inizialmente, ma stare dove, come, perché? Poi anche un po’ arrabbiare e impaurire, ma saremo pronti solo a STARE? Siamo davvero preparati a saper accogliere con umiltà, senza giudizio e a cuore aperto tutto ciò che incontreremo?
In qualche importante incontro ho ricevuto parole di luce su questo: guarda negli occhi, soffermati sui particolari, tocca con mano, dài e ricevi quello che riesci, cercalo, non avere timore, contempla e apprezza quei colori così belli e intensi, mettiti in ascolto, parla con chi è stato chiamato a fare scelte forti, raccogli storie, stai, stai e ancora stai lì, nel presente di quello che vivi.
E allora ho capito quanto siano importanti gli incontri, quelli veri ed autentici.

E quindi oggi siamo qui, ci proviamo e ringraziamo per il dono grande di questo viaggio, per questo sorriso di gioia profonda che ci dipinge il viso, che ci fa commuovere e sentire uniti, carichi di aspettative, ma ormai ci siamo… forse siamo pronti ad andare.

I partenti per il campo missionario in Madagascar (09/08-02/09)

Volontari in Madagascar: due nuovi giovani

Due giovani volontari si stanno preparando a partire per il Madagascar quest’estate. Sarà il Vescovo Massimo Camisasca a conferire loro il mandato missionario il prossimo giovedì 31 maggio in occasione della Festa del Corpus Domini che si celebrerà a Reggio Emilia.  Appuntamento quindi in Cattedrale alle ore 19 per la celebrazione della S. Messa, cui seguirà la processione sino in Ghiara.

Ilaria Squicciarini, 19 anni, catechista ed educatrice della parrocchia di Montecavolo, maturanda in Scienze umane al liceo Matilde di Canossa, andrà ad Ampasimanjeva. Per un anno si occuperà dei bambini seguiti dalla Fondation Médicale attraverso la Scuola “Papillon”, che effettua attività ludiche e scolastiche.

Damiano Galavotti, 21 anni, di Carpi, educatore ACR della parrocchia di Sant’Agata della sua diocesi. Ha già toccato la terra malgascia in occasione di due campi di lavoro e ora vi ritornerà per restarci un anno, svolgendo servizio a Manakara, presso la Fattoria Agricola “Saint Francois d’Assis” di Analabè.

Gli abbiamo chiesto di raccontarsi, per conoscerli più da vicino.

una sorridente Ilaria

“Mi chiamo Ilaria, abito in un paesino che per me rappresenta il centro del mondo, Montecavolo. Le mie giornate si dividono tra stalla (dove mi occupo prevalentemente di mucche) e Case della Carità, che frequento in gran parte del mio tempo libero. So che non è proprio da tutte le ragazze della mia età avere queste aspirazioni, ma uno dei miei sogni più grandi è quello di gestire un’azienda agricola oltre ad avere una famiglia numerosa. Tra i grandi progetti che ho nel cuore, c’è anche quello di iscrivermi all’Università e studiare per crearmi un futuro che si basa sul sociale e sui bambini.

La possibilità di andare in missione è sempre stata nella mia testa, fin da quando ero bambina, poi è cresciuta frequentando le Case, infine si è fatta più chiara e seria parlando con una persona a me cara che mi ha incoraggiata e spronata a vedere oltre i limiti che mi creavo. In realtà, non ho deciso io di partire per il Madagascar, le mie idee erano ben altre. Inizialmente ero molto attratta dal Brasile ed era quasi diventata una fissazione; però poi la vita è imprevedibile ed il Signore ci sottopone a delle scelte e a delle occasioni che vanno prese così come sono, senza farsi domande, perché Lui le ha progettate giusto per noi. Quindi, sì, andrò in Madagascar per un anno intero svolgendo il servizio che mi è stato chiesto. Non so cosa aspettarmi da questa esperienza. Ho molte preoccupazioni, so che non mancheranno difficoltà e complicazioni da affrontare, sarò però pronta a trovare tutte le risposte di cui ho bisogno. Mi lascerò stupire da ogni minima cosa, mettendomi a disposizione di ciò che avrò davanti. In fondo, in missione si fa quello di cui c’è bisogno, ed io sono pronta a farlo.

Le motivazioni della partenza nel corso del tempo crescono e cambiano. In certi momenti la motivazione è così grande che mi fa mettere in discussione tutto ciò che mi circonda.  Dato che la partenza si avvicina, ai miei amici vorrei solo dire: grazie. Grazie per avermi capito e per non avermi giudicata, perché so che al giorno d’oggi non è proprio una scelta facile da prendere. Mi auguro di ritrovarli al mio fianco tra un anno, perché certi legami sfidano il tempo e la distanza”.

Ilaria Squicciarini

 

Un sorridente Damiano

“Mi chiamo Damiano, abito nella campagna carpigiana con la mia famiglia e mi sono diplomato presso l’ITIS di Carpi in “Elettronica ed Elettrotecnica”. Spero un giorno di trovarmi un lavoro che mi soddisfi e sogno per il futuro di crearmi una famiglia tutta mia.

L’esperienza di mio padre, che è stato in missione per diversi anni e in diversi Paesi, e quella dei miei zii che lavorano per Reggio Terzo Mondo, mi ha aiutato ad avvicinarmi al mondo missionario e a maturare la scelta di partire. Era il 1982 quando mio padre partì la prima volta per il Madagascar come obiettore di coscienza (con RTM) in alternativa al servizio militare. Io ci sono andato due volte, per periodi brevi: sia nel 2016, accompagnando mio zio per svolgere lavori di manutenzione nella capitale, Antananarive, e nel 2017 a Manakara, una cittadina a Sud-Est del Madagascar che si affaccia sull’Oceano Indiano. E, come si suol dire, non c’è due senza tre… A parte gli scherzi, penso che il fatto di tornare una terza volta e fare un periodo più lungo sia un modo per vivere a pieno la missione. Vedo questa opportunità come un modo di mettermi alla prova. E da questa esperienza mi aspetto di tornare cambiato, più responsabile, più consapevole dei miei limiti e delle mie qualità.

Penso che queste esperienze di servizio possano fare solo un gran bene, perché t’insegnano a vivere con l’essenziale. Auguro quindi a chiunque ne avesse la possibilità… di non avere paura di osare”.

Damiano Galavotti

Veloma Cristina! e buon rientro

Ringraziamo Giorgia che ci ha inviato queste righe sulla partenza di Cristina.

Cristina Orlandini ieri e oggi ha fatto i veloma (saluti) alla comunità di Ampasimanjeva. Ieri ha giocato a tombola, cantato e ballato con i bambini del centro “Papillon”, oggi ha salutato i tubercolotici, nel pomeriggio ha salutato tutti gli impiegati dell’ospedale e poi la sua squadra di calcio. Stasera è stato il momento dei saluti alle suore e a noi missionarie, con cena, balli, video, regali.

Foto di gruppo ad Ampa!

Ho ripetuto troppo la parola “saluto” e mi scuso, ma avreste dovuto sentire tutte le volte che qualcuno ha pronunciato “veloma” in questi giorni! Io sono, letteralmente, l’ultima arrivata nella comunità di Ampasimanjeva e non mi sento adatta a raccontare un momento così personale. Io non posso neanche immaginare cosa significhi salutare le persone con cui hai vissuto, lavorato, cantato, giocato, ballato, pregato, riso per un anno e mezzo. Credo però che non lo possa sapere neanche chi è qui da più tempo, perché i rapporti che la Cri ha stretto con tutte le persone che ha salutato sono speciali e diversi da quelli di chiunque altro per il semplice fatto che se è vero (ed è vero) che ogni persona è unica, lo sono inevitabilmente anche i legami che crea con le persone che le stanno intorno. Descrivere quindi il veloma di un’altra persona non è un compito semplice, ma da mera spettatrice posso dire che è evidente che Cristina abbia voluto bene a questa comunità e che l’affetto sia stato senza dubbio ricambiato.

La squadra di calcio femminile di Ampasimanjeva insieme a Cristina

Ogni momento di saluto ha avuto, come da tradizione, il suo kabary (discorso) e, sebbene io il malgascio lo capisca ancora poco, una delle cose che sono riuscita a cogliere è un ringraziamento particolare a Dio. Ogni volta che ha dovuto parlare Cristina ha ringraziato il Signore per l’opportunità che ha avuto di poter trascorrere qui, con queste persone, una parte della sua vita. Ha ringraziato ogni persona per il tempo vissuto insieme e ha reso grazie del dono che ha ricevuto nell’essere missionaria qui, in questa terra rossa e verde che è il Madagascar.

 

Poi chissà…le vie del Signore sono infinite e magari la sua strada ripasserà da Ampa, un giorno!

                                                                                                                                                      Giorgia Roda

11 aprile 2018

“Ti benedica il Signore e ti custodisca”

Oggi, a meno di un mese dal mio rientro in Italia, ripenso alle parole della prima lettura del primo giorno di quest’anno. Sono parole molto dolci ed è un augurio bellissimo, calma il cuore.. perché mi ricorda che qualsiasi cosa accadrà quest’anno, che sia faticosa o meravigliosa, sarà nell’abbraccio del Signore.

E allora anche le paure, le domande che ogni tanto saltano fuori.. sono più leggere in questo abbraccio.

E’ bello che siano proprio queste parole ad accompagnarmi in quest’anno.

Le sento molto vicine, sia per tutti i doni che ho ricevuto fino ad oggi, sia perché mi danno molta pace per il tempo che verrà.

In questi primi mesi del 2018, mi sono sentita davvero custodita, le benedizioni sono state tante e preziose.

L’arrivo di Giulia, che si fermerà per un anno (o chissà… magari due?!) ad Ampasimanjeva, con cui ho condiviso un bellissimo pezzetto di strada insieme… tra risate, giochi coi bimbi, momenti di preghiera, e tanti balli! E’ stato un dono che mi ha aiutato a fermarmi ed ascoltarla, conoscerla, ma anche ascoltarmi e dare forma a ciò che vivevo ogni giorno per poterlo condividere.

Il rientro in Italia a gennaio, una toccata e fuga di due settimane, che mi ha dato l’occasione di riabbracciare la mia famiglia e tutte le persone a cui voglio bene.

Le notti a prendersi cura della piccola Bernadette, gemellina abbandonata, che ora ha trovato l’amore di una nuova famiglia. E’ vero, ci si stanca… ma è una fatica piena di tenerezza.

La Quaresima, con la Via Crucis tra i padiglioni dell’ospedale insieme ai malati, la decorazione della cappella, il ritiro tra volontari italiani, guidato da Don Giovanni. E’ stato un bel periodo, un bel tempo per provare a cambiare.

Torneo di calcio femminile

Le partite a calcio con i bimbi, con i malati di tubercolosi e con le ragazze del villaggio, insieme alle quali abbiamo iniziato un torneo ed in palio c’è un super “omby”, una mucca con la gobba… incrociamo le dita!

La felicità delle suore nel pitturare la Casa della Carità ed abbellirla con tende e piccoli ritocchi, nel comprare pentole nuove per poter così distribuire quelle in più a chi ne aveva bisogno, e nel concludere il tutto con balli e canti di ringraziamento.

 

I nuovi banchi subito in uso nella scuoletta dell’ospedale

L’acquisto dei banchi e del bagno per il centro dei nostri bimbi, che non sarebbe stato possibile senza il pensiero e la bontà di tante persone dall’Italia che ci hanno aiutato. Un giorno, guardando l’aula colorata e piena di tante cose, mi sono proprio detta: ”Quanti cuori Signore ci sono dentro tutto questo?”. E’ bellissimo.

Per ultima, c’è stata la Pasqua.
Ed il pranzo del Sabato Santo, insieme ai malati di tubercolosi. Lì ho sentito veramente il Signore risorto in mezzo a noi. Ci siamo seduti su panche e stuoie, coi nostri piatti di riso bianco e carne. Malati e famiglie, suore, due dottori e noi volontari. Poi abbiamo cantato, ballato e giocato a tombola, che avevamo costruito insieme disegnando e colorando le figure. Mi sono commossa, semplicemente lì in mezzo a loro, di cuore.

C’è un altro bellissimo dono che ancora mi aspetta. Domani andrò ad accogliere all’ aeroporto Agnese, una mia grande amica, con cui condividerò l’ultimo pezzettino di strada, prima di rientrare in Italia. Ed insieme a lei andrò incontro ai luoghi e alle persone che sono state casa per me in quest’anno e mezzo, ringraziandoli uno ad uno per aver custodito la mia vita ed averla fatta crescere.

Cristina Orlandini

la strada di Ambositra, dove abito ora

Non vedo l’ora di Ampasimanjeva

21 marzo 2018
Avrei voluto iniziare questo racconto citando uno dei numerosi modi di dire o detti malgasci, ma per ora l’unico che ho imparato, ieri a lezione, è “Olombelo tsy akoho”, che letteralmente significa “l’uomo non è una gallina (che non fa la pipì)” e si usa per chiedere una pausa – bagno quando si viaggia in taxi brousse (il mezzo pubblico più popolare da queste parti), quindi non mi sembra molto adatto per il mio primo resoconto di missione…che dite?

Sono atterrata ad Antananarivo nel cuore della notte, il 21 febbraio. Ho fatto gli ultimi gradini, un respiro profondo, ho alzato gli occhi e mi sono commossa. Era tardissimo e dopo 13 ore di aereo non ero sicura di ricordarmi neanche il mio nome, ma giuro che così tante stelle non le ho mai viste. Il cielo qui è a portata di mano, ogni volta che alzo lo sguardo, sia che ci siano nuvole cariche di pioggia, sia che ci sia la luna o un tramonto mozzafiato, resto a bocca aperta accorgendomi che potrei alzare un dito e accarezzare la volta celeste.
Un misto di emozioni che non so neanche descrivere: stanchezza, incredulità, felicità, gratitudine. Il sogno è diventato realtà.
Me ne rendo conto a sprazzi, però. Ho paura di svegliarmi un giorno di soprassalto nella mia camera a Bologna. Vivere qui, in questa casa immensa con arredi interamente di legno e pavimento di terracotta, mi sembra la cosa più naturale del mondo.

la strada di Ambositra, dove abito ora

La strada principale di Ambositra

 

Mi sento fuori posto quando cammino per strada, quello sì. Nessuno perde l’occasione di fermarsi, fissarmi, additarmi e sussurrare o in alcuni casi esclamare “vazaha” (bianco europeo). Nel caso a volte ci fosse il pericolo di dimenticarmi di che colore ho la pelle, mi basta mettere un piede fuori casa per averlo chiaro. È una sensazione che non mi piace, essere la straniera non è confortante, soprattutto ora che non so la lingua e non riesco ad integrarmi neanche volendo.

La lingua è un problema. Cioè, è un mio problema. Giulia non fa fatica, a lei basta ricopiare gli appunti per ricordarsi tutto. Io sono una capra invece: le lingue non sono mai state il mio forte, ma il malgascio è oggettivamente una lingua difficile e mi ci vuole un sacco di tempo per assimilare le nozioni.
A parte un paio di volte la carne di zebù, la nostra alimentazione non prevede né carne né pesce e ne sto risentendo. Mangiamo riso o pasta, verdura e frutta. Ho imparato a non fare storie e mangiare quello che c’è, anche cose che in Italia rifiuto a priori (riso in bianco, pomodori, parmigiano, verza cotta, cipolla etc), ma per fortuna ho anche la possibilità di mangiare un tanti succulenti frutti tropicali!
Abbiamo lezione 1 o 2 ore al giorno, quindi abbiamo un sacco di tempo libero e me lo godo tutto. Leggo libri, ascolto musica, mi riposo, cucino, vado a correre (so che nessuno ci crede, ma è la realtà: cucino e corro, non contemporaneamente certo, però è proprio vero che l’Africa cambia le persone!)

Ambositra

Abito con Giulia, don Simone e don Luca e insieme diciamo le Lodi ogni mattina alle 6.10 poi andiamo alla Casa della Carità per la Messa e concludiamo la giornata dicendo la Compieta insieme. La vita di comunità procede tranquilla e pacifica, a parte qualche divergenza riguardo l’abitazione che don Simone ha pensato per i 26 pulcini nati dalle 3 galline che ama allevare…
Questo però è un mese un po’ anomalo, di transizione. Sabato ci dirigeremo verso sud e, mentre Giulia, Diana, don Luca e don Simone proseguiranno fino a Manakara, io mi fermerò ad Ampasimanjeva, dove mi aspettano Giulia, Cristina, Giorgio, le suore della Casa della Carità e il mio progetto missionario.

 

Non vedo l’ora di vedere la mia nuova casa e conoscere i miei compagni di avventura!
Da domenica inizia il vero, inizia il bello, inizia il mio anno missionario.

Giorgia

Grande tavolata per cena ad Ambositra

Giulia, ad Ampasimanjeva da 4 mesi

Ciao a tutti!!
Sono passati ormai quattro mesi da quando sono arrivata in Madagascar e mi rendo conto che ancora è difficile metabolizzare e descrivere quello che sto vivendo.
Sono arrivata con la delegazione reggiana per celebrare i 50 anni di missione qui in Madagascar. Ho potuto conoscere tante realtà diverse di volontariato, i progetti del Centro Missionario e di RTM, le Case di Carità e le suore (è incredibile come in qualunque parte del mondo siano sempre super accoglienti, allegre e disponibili!),e gli altri volontari, ormai preziosi compagni di viaggio.

Una fila di prodotti del Madagascar in vendita

Il mercato malgascio e i suoi mille colori

In questo primo mese ho osservato tanto, con curiosità, cercando di cogliere tutte le sfumature di questo paese per me completamente nuovo. I volti delle persone, i mercati affollati, con i loro profumi (non sempre piacevoli) e i loro mille colori, la frutta mai vista prima, i vari paesaggi incontrati, i chilometri e chilometri di risaie che si attraversano andando verso sud, seguiti da chilometri e chilometri di distese di ravinale, di palme, di banani… Strade infinite dove poche sono le macchine, tanti i taxi brousse (tipo i nostri pullmini che qui sono il mezzo di trasporto pubblico più utilizzato) ma ancora di più sono le persone ai lati di queste strade che portano qualunque cosa (cibo, vestiti, oggetti vari) rigorosamente in equilibrio sulla testa. E poi tanti sono anche i progetti che abbiamo visitato da vicino. Vedere quante persone si spendono per dare una casa, del cibo, un’educazione scolastica, o anche “solo” una speranza ai più piccoli e ai più poveri ti permette di aprire gli occhi e vedere quanto bello c’è intorno a noi. E allo stesso tempo è contagioso, ti fa pensare a quante altre cose si potrebbero fare, sia qui che in Italia, e allora ti chiedi dove sia il tuo posto, con chi e soprattutto a fare cosa. Insomma, dopo questo primo mese avevo tante domande per la testa. Poi sono andata ad Ambositra a studiare un po’ la lingua.

una tavolata in amicizia

Cena con compagni di studi e professori!

E così i punti interrogativi sono aumentati. Il malgascio è una lingua difficile, non c’è una parola che sia vagamente intuibile, la struttura della frase è diversa dalla nostra, insomma….un casino! Per fortuna la casa dei volontari è di fianco alla Casa di Carità! In Casa di Carità gli ospiti non si aspettano che tu faccia chissà che discorsi, e non ti fanno domande troppo complicate. A loro basta che tu sia presente, che preghi con loro, che gli fai compagnia anche solo con un sorriso (anche se di solito ne approfittavo per ripassare quello che avevo studiato al mattino…una scena piuttosto ridicola insomma!)
E poi per Natale sono arrivata ad Ampasimanjeva (Ampa per gli amici). La prima cosa che impari è il saluto tipico di qui: “akory aby!” “tsara be, akory!” “tsara be!” (durante il giorno si ripete almeno venti volte, e così intanto sei certo di non fare mai scena muta!), il problema nasce quando poi la gente inizia a farti domande, parlando super veloce e utilizzando spesso anche il dialetto. Il fatto che non riuscissi a capirli però non ha minimamente ostacolato la loro calorosa accoglienza.

i bambini di Ampasimanjeva, Madagascar

Bambini ad Ampa

Mi avevano detto che mi sarei sentita sola, e in realtà mi sono ritrovata sempre circondata da persone: le suore (che mi stanno aiutando tanto, sanno l’italiano e sono il punto di riferimento per qualunque tipo di bisogno), i bambini della scuola dove aiuto la Madame, bambini che in realtà vedo poi ovunque perché sono sempre qua in giro (non è che abbiano proprio tanto da fare), i dipendenti dell’ospedale che ogni tanto passano dal nostro bureau, e i malati che vengono qui per curarsi. In modo particolare i malati di tubercolosi, che devono vivere qui per i primi due mesi della terapia, e da cui andiamo tutte le mattine per provargli la febbre e distribuire loro le medicine. Non hanno davvero nulla da fare qui, ed è bello, nel tempo libero, poter andare da loro, giocare a calcio (anche se a dire il vero di solito io guardo), giocare a UNO (mettere in premio dei biscotti attira sempre molti giocatori!) e fare due risate (per fortuna la risata è contagiosa e non c’è bisogno di capire cosa stanno dicendo!). Anche a loro poco importa che uno parli perfettamente malgascio, a loro interessa solo stare in compagnia, dimenticare per un po’ che sono malati e che sono obbligati a stare qui, e per questo non c’è bisogno di parole.
Come avrete potuto intuire l’ostacolo della lingua per me è stato molto forte. Il primo mese qui ad Ampasimanjeva non vi nascondo che non è stato proprio una passeggiata. Essere accolta così serenamente, con semplicità, con gratitudine e con tanta gioia per il mio arrivo e sentirsi incapaci di ricambiare è faticoso. È faticoso imparare ad ascoltare, anche senza capire; è faticoso cambiare completamente i ritmi della giornata; è faticoso imparare ad aspettare, ad avere pazienza, a vivere la giornata senza fare troppi programmi; è faticoso ammettere le proprie difficoltà e soprattutto è faticoso chiedere aiuto. Ecco, all’inizio Ampa è stata tutto questo. Poi piano piano ho imparato a sfruttare i momenti di preghiera per affidare al Signore le mie fatiche, ho imparato a stare in mezzo agli altri, ho imparato a ricambiare la loro accoglienza con piccoli gesti, tanti sorrisi e ogni tanto anche qualche figuraccia. Condividere i miei pensieri con la Cristina (l’altra volontaria che è qui da più di un anno) mi sta aiutando a prendere coraggio, a sentirmi più sicura. E piano piano (mora mora come direbbero qui) sto scoprendo la bellezza di Ampa, la bellezza dell’essenzialità e della semplicità con cui si affrontano tutti i giorni, senza tante distrazioni inutili, la bellezza di avere tempo per scoprirsi, tempo per pregare, tempo per fermarsi, e tempo per divertirsi. Sono contenta. Questi primi mesi sono stati più un cammino di crescita personale che forse avevo bisogno di fare prima di iniziare a sentirmi un po’ a casa anche qui, nel posto giusto al momento giusto.
Detto questo concludo con il saluto malgascio:
Misaotra betsaka! Veloma! Mandrampioana!
(Per quelli che ancora non sanno il malgascio: Grazie mille! Arrivederci! A presto!)
Tanti saluti da Ampa!
Giulia

i bambini fanno i compiti ad Ampasimanjeva

Ti auguro tempo

Ampasimanjeva, 21 ottobre 2017

“Ti auguro tempo.
Ti auguro tempo per divertirti e ridere.
Ti auguro tempo non per affrettarti e correre.
Ti auguro tempo per meravigliarti,per stupirti,per avere fiducia.
Ti auguro tempo per sperare ed amare.
Ti auguro tempo per sentirti fortunato ogni giorno”.

E’ ormai passato quasi un anno da quando mi hanno regalato queste parole su un bigliettino, poco prima della mia partenza.
Un anno, tanto o poco tempo, dipende un po’ dai punti di vista (chiedetelo a mia mamma!). Ma tempo in cui davvero mi sono divertita, meravigliata, sentita viva. In cui ho riso, pianto, a volte corso un po’ troppo (non solo sul campo da calcio!), camminato scalza, cantato, accolto mani tra le mie. Tempo in cui ho amato, con le mie fragilità, le mie fatiche, aprendo il mio cuore sempre troppo piccolo.
E mi sento tanto fortunata, non lo dico perchè voglio farvi credere che sia tutto rosa, lo sento davvero. Anche nei giorni in cui qualcosa non va, fuori o dentro di me, in cui sono più stanca o triste, c’è SEMPRE un momento, una situazione, un gesto in cui il mio cuore trova pace ed è grato di essere amato, nella semplicità di quello che è. Ogni giorno.

i bambini fanno i compiti ad Ampasimanjeva

A volte è qualcosa di inaspettato, che stupisce.
Richard, un ragazzino ricoverato per due mesi all’ospedale a causa della
tubercolosi, che tornando per il controllo mensile mi porta un bellissimo braccialetto con sopra ricamato il mio nome, fatto da lui.
La Claire che smette di piangere e si calma guardando il vento che accarezza le foglie.
Bertrand che ti sorride a 32 gengive.
Piccole mani che si infilano tra le mie durante i bans.
Un uomo in taxi-brousse (una specie di pulmino per lunghe tratte) che mi mostra il suo villaggio sorridendo, felice di di poter rientrare a casa.
Un viaggio in moto, attraversando tanti villaggi, immersa tra il verde abbondante e vivo della natura, il rosso della terra, l’azzurro del cielo. Ogni cosa illuminata dalla calda e morbida luce del sole che ne risaltava i contorni.

Altre volte, invece, sono momenti che hanno richiesto tempo per essere preparati.

La nuova aula dei bambini dell'ospedale di Ampasimanjeva Ad inizio settembre abbiamo trasferito la piccola classe dell’ospedale in uno spazio più grande, un’ex struttura in legno utilizzata per progetti di RTM, ed è stata una grande gioia. E’ proprio bello che i bimbi finalmente abbiano ognuno il proprio posto a sedere, che nessuno sia rimandato a casa per mancanza di spazio, che aprendo le finestre tutto sia illuminato dai raggi del sole, che ci sia un ampio cortile dove poter correre e giocare liberamente.  Mi sento fortunata ogni volta che entro in classe ed i bimbi salutano urlando: “Akory Cristinà!”, mi sento fortunata ancora prima di sapere cosa imparerò in quelle ore.
E mi sento fortunata per l’incontro con i ragazzi del Campo estivo ad Agosto, per aver camminato assieme a loro, scoprendo passo dopo passo nuove sfumature del Madagascar e dei loro cuori.
E per il dono dell’Anna, che in quest’anno è stata una compagna di viaggio speciale e indispensabile.

le suore della Carità ad AmpasimanjevaAnche il tempo con le suore è molto prezioso. Mi insegnano come ogni giorno sia buono per donarsi agli altri, che siano i malati, i bimbi abbandonati, noi italiani, qualcuno che chiede un po’ di riso, un po’ di legna. E lo fanno davvero in totale umiltà, senza lamentarsi. Sono fortunata ad averle accanto.
Ed è bello vedere come questa famiglia della Casa della Carità si allarga sempre di più: il 14 ottobre a Tanà quattro ragazze giovanissime hanno preso i primi voti. E’ stata una grande emozione vederle indossare l’abito e il velo, felicissime, circondate dalla gioia contagiosa delle altre suore, degli ospiti, dei propri parenti venuti da villaggi lontani. Mi auguro davvero che questa gioia contagiosa le accompagni ogni giorno.

E auguro anche a voi di avere tempo per sentirvi fortunati. Nella semplicità delle piccole cose.
Vi auguro di fermarvi di fronte ad un arcobaleno, durante una passeggiata di lunedì pomeriggio, e sentire qualcuno che sussurra “Dio crea veramente cose belle”.

Un abbraccio forte,
Cris

Anna insieme ad un giovane del Madagascar

Madagascar – Veloma mampamanghy

Anna Picciati – Medico all’Ospedale di Ampasimanjeva in Madagascar. È rientrata l’11 settembre 2017 dopo un anno di servizio volontario.

Ci scrive:

Veloma mampamanghy, veloma mampamanghy…” E’ il ritornello di una delle canzoni che si sentiva ogni tanto per starda, per radio mentre ero sul taxy brousse, quando passavo davanti a uno dei tantissimi baracchini che vendevano qualsiasi cosa o nella piazzetta di Ampasimanjeva nel negozietto dei CD, cellulari, film (insomma…una filiale del MediaWorld). Si può tradurre come saluto di addio e per portare i saluti a chi si incontrerà una volta partiti.

Me l’hanno ripetuta tante volte nei giorni prima della parenza, tantissime. E’ ogni volta mi veniva una piccola fitta al cuore.

Ma in quei saluti che mi chiedono di portare in Italia, alla famiglia e agli amici c’è tutto il calore di questo splendido popolo.

Ed è proprio questo che spero di portare con me, in ogni piccola fitta che mi è rimasta.

Anche se qui sembra impossibile crederci, c’è ancora una terra lontana dove il tempo ha un altro valore, lo straniero ha un altro valore e anche i saluti hanno un altro valore.

Spero di rivedervi ancora cari amici malgasci, negli occhi di tutte le persone che hanno guardato al vostro valore.

A presto!

Anna

Akory aby a tutti!! (ciao, come state???)

Ecco la frase più pronunciata dal malgascio medio ( con una frequenza di circa 400 volte al minuto ). In realtà questo saluto è utilizzato soprattutto nella regione della Vatovavy, dove ci troviamo noi. Esiste infatti un fenomeno, non ancora spiegato scientificamente, per il quale a un certo punto, superata una sottile linea invisibile circa a livello di Fianarantsoa, il saluto principale diventa “Salama”, ma nessuno sa bene dove si trova. Bisogna salire sull’altopiano per osservare questo evento. Per non parlare di quando ci si avvicina troppo alla capitale (Antananarivo, per gli amici “Tanà”) dove si passa al difficile “manaohana”.

Ma iniziamo per gradi.

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