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Grande tavolata per cena ad Ambositra

Giulia, ad Ampasimanjeva da 4 mesi

Ciao a tutti!!
Sono passati ormai quattro mesi da quando sono arrivata in Madagascar e mi rendo conto che ancora è difficile metabolizzare e descrivere quello che sto vivendo.
Sono arrivata con la delegazione reggiana per celebrare i 50 anni di missione qui in Madagascar. Ho potuto conoscere tante realtà diverse di volontariato, i progetti del Centro Missionario e di RTM, le Case di Carità e le suore (è incredibile come in qualunque parte del mondo siano sempre super accoglienti, allegre e disponibili!),e gli altri volontari, ormai preziosi compagni di viaggio.

Una fila di prodotti del Madagascar in vendita

Il mercato malgascio e i suoi mille colori

In questo primo mese ho osservato tanto, con curiosità, cercando di cogliere tutte le sfumature di questo paese per me completamente nuovo. I volti delle persone, i mercati affollati, con i loro profumi (non sempre piacevoli) e i loro mille colori, la frutta mai vista prima, i vari paesaggi incontrati, i chilometri e chilometri di risaie che si attraversano andando verso sud, seguiti da chilometri e chilometri di distese di ravinale, di palme, di banani… Strade infinite dove poche sono le macchine, tanti i taxi brousse (tipo i nostri pullmini che qui sono il mezzo di trasporto pubblico più utilizzato) ma ancora di più sono le persone ai lati di queste strade che portano qualunque cosa (cibo, vestiti, oggetti vari) rigorosamente in equilibrio sulla testa. E poi tanti sono anche i progetti che abbiamo visitato da vicino. Vedere quante persone si spendono per dare una casa, del cibo, un’educazione scolastica, o anche “solo” una speranza ai più piccoli e ai più poveri ti permette di aprire gli occhi e vedere quanto bello c’è intorno a noi. E allo stesso tempo è contagioso, ti fa pensare a quante altre cose si potrebbero fare, sia qui che in Italia, e allora ti chiedi dove sia il tuo posto, con chi e soprattutto a fare cosa. Insomma, dopo questo primo mese avevo tante domande per la testa. Poi sono andata ad Ambositra a studiare un po’ la lingua.

una tavolata in amicizia

Cena con compagni di studi e professori!

E così i punti interrogativi sono aumentati. Il malgascio è una lingua difficile, non c’è una parola che sia vagamente intuibile, la struttura della frase è diversa dalla nostra, insomma….un casino! Per fortuna la casa dei volontari è di fianco alla Casa di Carità! In Casa di Carità gli ospiti non si aspettano che tu faccia chissà che discorsi, e non ti fanno domande troppo complicate. A loro basta che tu sia presente, che preghi con loro, che gli fai compagnia anche solo con un sorriso (anche se di solito ne approfittavo per ripassare quello che avevo studiato al mattino…una scena piuttosto ridicola insomma!)
E poi per Natale sono arrivata ad Ampasimanjeva (Ampa per gli amici). La prima cosa che impari è il saluto tipico di qui: “akory aby!” “tsara be, akory!” “tsara be!” (durante il giorno si ripete almeno venti volte, e così intanto sei certo di non fare mai scena muta!), il problema nasce quando poi la gente inizia a farti domande, parlando super veloce e utilizzando spesso anche il dialetto. Il fatto che non riuscissi a capirli però non ha minimamente ostacolato la loro calorosa accoglienza.

i bambini di Ampasimanjeva, Madagascar

Bambini ad Ampa

Mi avevano detto che mi sarei sentita sola, e in realtà mi sono ritrovata sempre circondata da persone: le suore (che mi stanno aiutando tanto, sanno l’italiano e sono il punto di riferimento per qualunque tipo di bisogno), i bambini della scuola dove aiuto la Madame, bambini che in realtà vedo poi ovunque perché sono sempre qua in giro (non è che abbiano proprio tanto da fare), i dipendenti dell’ospedale che ogni tanto passano dal nostro bureau, e i malati che vengono qui per curarsi. In modo particolare i malati di tubercolosi, che devono vivere qui per i primi due mesi della terapia, e da cui andiamo tutte le mattine per provargli la febbre e distribuire loro le medicine. Non hanno davvero nulla da fare qui, ed è bello, nel tempo libero, poter andare da loro, giocare a calcio (anche se a dire il vero di solito io guardo), giocare a UNO (mettere in premio dei biscotti attira sempre molti giocatori!) e fare due risate (per fortuna la risata è contagiosa e non c’è bisogno di capire cosa stanno dicendo!). Anche a loro poco importa che uno parli perfettamente malgascio, a loro interessa solo stare in compagnia, dimenticare per un po’ che sono malati e che sono obbligati a stare qui, e per questo non c’è bisogno di parole.
Come avrete potuto intuire l’ostacolo della lingua per me è stato molto forte. Il primo mese qui ad Ampasimanjeva non vi nascondo che non è stato proprio una passeggiata. Essere accolta così serenamente, con semplicità, con gratitudine e con tanta gioia per il mio arrivo e sentirsi incapaci di ricambiare è faticoso. È faticoso imparare ad ascoltare, anche senza capire; è faticoso cambiare completamente i ritmi della giornata; è faticoso imparare ad aspettare, ad avere pazienza, a vivere la giornata senza fare troppi programmi; è faticoso ammettere le proprie difficoltà e soprattutto è faticoso chiedere aiuto. Ecco, all’inizio Ampa è stata tutto questo. Poi piano piano ho imparato a sfruttare i momenti di preghiera per affidare al Signore le mie fatiche, ho imparato a stare in mezzo agli altri, ho imparato a ricambiare la loro accoglienza con piccoli gesti, tanti sorrisi e ogni tanto anche qualche figuraccia. Condividere i miei pensieri con la Cristina (l’altra volontaria che è qui da più di un anno) mi sta aiutando a prendere coraggio, a sentirmi più sicura. E piano piano (mora mora come direbbero qui) sto scoprendo la bellezza di Ampa, la bellezza dell’essenzialità e della semplicità con cui si affrontano tutti i giorni, senza tante distrazioni inutili, la bellezza di avere tempo per scoprirsi, tempo per pregare, tempo per fermarsi, e tempo per divertirsi. Sono contenta. Questi primi mesi sono stati più un cammino di crescita personale che forse avevo bisogno di fare prima di iniziare a sentirmi un po’ a casa anche qui, nel posto giusto al momento giusto.
Detto questo concludo con il saluto malgascio:
Misaotra betsaka! Veloma! Mandrampioana!
(Per quelli che ancora non sanno il malgascio: Grazie mille! Arrivederci! A presto!)
Tanti saluti da Ampa!
Giulia

madagascar, le tipiche risaie in campagna

Tra lemuri, orchidee, solidarietà e 50 anni di missione

Ho avuto la fortuna, l’onore e la gioia di far parte della Delegazione diocesana in visita al Madagascar per il 50° della Missione della Diocesi di Reggio Emilia.
Donata Frigerio ha già abbondantemente relazionato sulla Libertà circa le solenni e partecipate celebrazioni nelle varie città dove siamo presenti dal 1967 quando la prima equipe con don Mario Prandi, don Pietro Ganapini, Suor Bernadette, Suor Margherita, e qualche laico sbarcò nell’Isola Rossa.

Raccontare il Madagascar è come leggere un libro di storie, ogni luogo ha i suoi colori caratteristici, le sue tribù con storie e tradizioni millenarie che ancora sopravvivono, la sua natura peculiare e i suoi animali unici ed indimenticabili. Volevo in questa occasione fare un raffronto tra il viaggio che feci quasi 30 anni fa e quello dei giorni scorsi Ma già scendendo all’aeroporto di Ivato con il super traffico di Tananarive, inizio subito a capire che nulla è cambiato nelle condizioni di vita dei malgasci: tutti ancora per strada, bancarelle improvvisate, gente ammassata che aspetta taxi-be, signore che lavano panni nel fiume. Incontro, esattamente come la volta scorsa, tanta gente a piedi, tutti camminano, spesso senza scarpe, tanti bimbi che giocano, le donne, nei loro abiti colorati, in testa portano di tutto, taxi-brousse stracarichi di gente e merce.

Nel 50 anniversario gli zebu tirano ancora i carrettiPoi “strade” (se si possono definire così) dove incrociamo taxi-brousse (pulmini stipati di persone e merci e animali fino all’inverosimile), carretti trainati da zebù, bambini, bambini, bambini… Un proverbio malgascio (ce ne sono tantissimi colmi di sapienza popolare) dice che “la vita è miele (quindi dolcissima) e aloe (quindi amarissima)” e rende veramente l’idea dei contrasti e delle contraddizioni di questa terra malgascia: da una parte le bellezze dell’Isola, forse la più bella del mondo: i primi navigatori che approdarono sulla costa del Nord a Nosy-be pensavano di essersi trovati in Paradiso, dall’esplosione della natura, uno scrigno rimasto intatto per 160 milioni di anni daquando si staccò dal Gondwana, con una flora e una fauna uniche al mondo, poi la bellezza degli abitanti nella pratica dell’ospitalità, dell’accoglienza, della dolcezza, gli sguardi, le strette di mano, i gesti di benevolenza, i volti, i sorrisi di tutti, in particolare dei bambini (credo che fra le decine di viaggi che ho fatto per il mondo, questi siano i sorrisi più radiosi, splendenti, contagiosi che abbia mai visto).

D’altro canto credo che sia anche un Paese tra i più poveri del mondo, con il reddito pro-capite più basso in assoluto, e quindi si avverte subito la durezza, la fatica, la pesantezza del vivere quotidiano che non ha avuto nessun progresso significativo in questi ultimi 30 anni. Tutti i “nostri” progetti reggiani di RTM, del Centro Diocesano Missionario, della Ravinala, delle Case della Carità, dei Servi della Chiesa, sono invece altrettante eccellenze nel Paese, da Bevalala, alle Scuole di don Ganapini e di RTM, a Ambatolampy con la lavorazione dell’alluminio, a MarosoKatra nell’Azienda Agricola con l’inossidabile Giorgio Predieri, ormai malgascio da oltre 40 anni, le scuole di Zanantsika, poi a Manakara la confiturerie, e tutti i progetti seguiti da Luciano Lanzoni pure lui ormai figura storica da oltre 30 anni in Madagascar, l’Ospedale di Ampasimanjeva con il Dott. Martin. Le nostre sono veramente delle “oasi” fortunate, delle opportunità straordinarie, potremmo dire con il Salmista “Venite e vedete le Opere di Dio, Egli ha fatto prodigi sulla terra” rispetto invece al resto del Paese che non decolla, per le vicende politiche, sociali ed economiche che si trascinano fin dall’indipendenza dai francesi nel 1960, per la corruzione, per l’incapacità dei Governi di formulare piani di investimenti per il lavoro, per l’educazione, igiene, scolarizzazione, di trovare soluzioni ai problemi che attanagliano il popolo, per cui il Paese resta un’Isola alla deriva, addirittura dimenticata oltre che dallo Stato, dagli Organismi internazionali, dalla Comunità Europea ecc.

50 anni di madagascar vediamo lavori faticosiE noi occidentali troppo abituati alle comodità, ai comfort, al benessere, restiamo destabilizzati davanti ai mille inconvenienti del viaggio, e percorrendo la strada RN7, l’unica asfaltata (si fa per dire!) del paese, naturalmente non possiamo evitare alluvioni in questa stagione delle piogge che distruggono ponti, creano voragini e costringono a deviazioni, così se in un posto manca l’acqua si è costretti a fare la doccia con il secchio, oppure viene meno la luce o si resta a piedi con il pulmino, tutte cose che ci sono successe.

 

Ci sarebbe proprio da imparare la grande lezione di questo popolo: la pazienza!! Per rivedere i nostri pregiudizi… per rispondere a domande, o magari, farsene altre, interrogativi inquietanti sul nostro stile di vita, sull’individualismo, menefreghismo e indifferenza così diffusi nei nostri paesi Europei e per restituire nome e valore alle cose essenziali e a quanto di superfluo e di inutile ci siamo dati in questa nostra società edonistica e consumistica. Devo dire che i 24 componenti la Delegazione Diocesana, tutti coinvolti in qualche modo nell’ambito Missionario (preti e suore comprese), hanno capito esattamente il senso e l’obiettivo di questo viaggio responsabile e si sono adattati alle condizioni di disagio senza le litanie di lamentele come avviene di solito a casa o nei viaggi ordinari. Visita al Parco Nazionale di Ranomafana. Bellissima ed intricata foresta pluviale a 800 metri di altitudine che ci permette di incontrare i lemuri dorati, i sifaka neri ed una minuscola specie di camaleonti di pochi centimetri. Istituito nel 1991 grazie alla scoperta, qualche anno prima, del lemure dorato del bambù (Hapalemur aureus, una specie a forte rischio di estinzione), il Parco Nazionale di Ranomafana si estende su una superficie di circa 40.000 ettari distribuiti tra colline di media altitudine (800-1200 m) ricoperte da foreste e attraversate da piccoli corsi d’acqua che si gettano nel fiume Namorona. Oltre al lemure del bambù, il parco di Ranomafana è habitat di altre 11 specie di lemuri, tra cui alcuni molto rari e con gravi minacce di estinzione, come il lemure dal naso grigio (Prolemur simus), il maki lanoso (Avahi laniger), il sifaka di Milne-Edwards (Propithecus edwardsi), il lemure dal ventre rosso (Eulemur rubriventer) e l’aye-aye. C’è infine una cosa che mi ha fatto riflettere e lo farà ancor più nei giorni seguenti, in questo panorama di luce e ombre, di ricchezza e di povertà, di miseria e di dignità: quel piccolo seme gettato il 23 Novembre dl 1967 in quella terra benedetta ha germogliato e fruttificato: 15 Case della Carità , 63 Suore, 7 Novizie, 7 novizi fratelli, un centinaio di Servi della Chiesa, e tutti i progetti RTM-CDM-Ravinala che hanno impegnato centinaia di volontari laici: sembra proprio che Dio voglia provocare la nostra Chiesa Reggiana, dove avviene il fenomeno inverso, calo di vocazioni, chiusura di Case della Carità, Messe e Sacramenti disertati .. e c’è da ringraziare il Vescovo Massimo per aver deciso di inviare due Sacerdoti giovani – Don Simone e Don Luca – nonostante le difficoltà che si creano in Diocesi per la cronica mancanza di preti: ma la ricchezza straordinaria che viene dallo scambio con Chiese sorelle chiede che si continui in questa avventura sicuri che Dio non mancherà di benedire, di colmare di grazie e di abbondantissimi frutti, gli sforzi di chi spende qualche anno o tutta la vita al servizio della Missione. Ricordiamo perciò, pieni di gratitudine, chi ci ha preceduto ed ha tracciato la strada di questo cammino meraviglioso che vede ancora oggi comunione e unità di azione tra sacerdoti, religiosi e laici. Si tratta di una formula e un modello esemplare che sarebbe prezioso da applicare anche alle nostre Unità Pastorali, che spesso non cercano di unire risorse, energie, opportunità ma continuano nella resistenza della propria individualità parrocchiale campanilistica invece di avere uno sguardo più lontano e lungimirante.
Grazie Roberto Soncini del CDM per averci guidato con tanta pazienza (davvero malgascia!!) sapienza e competenza nel nostro Pellegrinaggio.

Correggio, 3 Dicembre 2017 1° Domenica di Avvento

Enos Rota

Voi stessi date loro da mangiare

Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.  (Mt 14, 15-21)

Ho deciso di iniziare questa riflessione con un brano del Vangelo per ricordare a me stessa e a voi tutti che spesso quello che serve è solamente la nostra fiducia. La certezza di potercela fare, nonostante tutto, a sfamare “la folla” con il poco che ci sembra di avere e di poter dare.  La storia di RTM ci insegna questo, a fare le cose con fede, a credere che nella condivisione il pane si moltiplica!

Quando mi chiedono quale è il legame tra RTM e la Missione diocesana in Madagascar non posso non pensare a questo brano del Vangelo.

Ricordo ancora uno dei miei colloqui con Don Paolo Ronzoni, i miei dubbi, la paura di non poter dare nulla, la consapevolezza che non sapevo fare cose che potessero servire al Madagascar e al suo popolo… e lui sorridente mi disse soltanto: “pensa se quel ragazzino non avesse offerto i suoi pani a Gesù… lui non avrebbe avuto nulla da moltiplicare. Tu non preoccuparti mettiti solo a disposizione …”

RTM è nato così, dalla volontà di Don Mario Prandi, dalla partenza di quella Chiesa partita per incontrare una Chiesa sorella, dall’idea di inviare una comunità. Non solo dei “missionari” ma una rappresentanza di Chiesa fatta di preti, di suore e di laici, ognuno con le sue specificità e i suoi compiti, ognuno partecipe di un progetto di comunità che si incontrano e che insieme camminano.

Sono passati 50 anni da quella prima partenza, 50 anni di impegno, di condivisione, di fatica e di gioia.
50 anni di incontri. 50 anni di comunità, forse non sempre perfetta, perché le persone non sono perfette, ma comunque 50 anni di comunità. Credo che questo più di tutto abbia segnato la nostra missione, ciascuno di noi e anche tutti i missionari delle altre diocesi e/o congregazioni che hanno incrociato il nostro cammino. La Comunità, il fare famiglia, segni tangibili di un amore che travalica e va oltre.

Sono circa 400 i laici che sono partiti con RTM, nel tempo i progetti sono cresciuti, si è passati da piccole attività strettamente legata alla missione ad attività di più largo respiro che vanno ad affrontare i problemi intervenendo sugli operatori perché i progetti continuino anche dopo la fine dei finanziamenti.  Questo altro non è che il nostro modo per mettere a disposizione quei cinque pani e due pescidi cui si parla nella parabola.

Dalla comunità missionaria è poi nata Ravinala. 30 anni nel dicembre 2017. Nata dal lavoro di Don Giovanni Voltolini e da un idea di Don Piergiorgio Gualdi. Don Giovanni in Madagascar voleva dare dignità alle persone, voleva dar loro un lavoro e non solo carità. Don PierGiorgio voleva che si costruisse un ponte non solo da Reggio al  Madagascar ma bidirezionale, anche dal Madagascar all’Italia; così a dicembre 1987 nasce Ravinala. Legata a doppio filo alla Missione reggiana in Madagascar, legata soprattutto a un popolo che aveva ed ha tanto da condividere ma ancora oggi non ha di che vivere.

RTM crede nell’idea e da subito vita al primo progetto di sviluppo dell’artigianato. Ora sono 30 anni di commercio equo in Madagascar, circa 2000 artigiani che grazie al commercio equo hanno un lavoro e vivono dignitosamente. I figli che studiano, che si costruiscono un futuro, donne e uomini che affrontano finalmente la vita con il sorriso… anche questo è missione, anche questo è il frutto della nostra missione reggiana.

RTM, Ravinala, le Case della Carità, l’intera Equipe Missionaria hanno saputo incarnare pienamente il messaggio evangelico. Ogni volta che rifletto sul nostro andare, sul nostro fare, che forse a volte sembra troppo concreto e a tratti lontano dall’andare e predicare ripenso alla parabola del giudizio universale e, anche se mi sento profondamente indegna,  non posso non credere che, in qualche modo, stiamo facendo la sua volontà.

“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (MT 34-40)

Teresa Pecchini