Houses of Charity in India: un percorso che ti apre il mondo.

 

Vi proponiamo un articolo di Reginella Ravani di Usmate Velate (MB) che è stata recentemente tre mesi in India nelle Case della Carità ritornata entusiasta dell’esperienza vissuta insieme alle Sisters.

… Ad un certo punto della mia vita ho capito che bisognava ripartire da capo con semplicità e coerenza, rimettendomi in gioco nella convinzione che ognuno possa fare la sua parte, senza deleghe o rinunce. 
Così prima di partire ho avuto il privilegio di conoscere e condividere qualche giorno nella Casa della Carità di Fontanaluccia, dove si apriva per me un mondo nuovo. Il clima di serenità, trasparenza e benessere permeava tutte le relazioni  fra gli ospiti, le Sorelle, i volontari e chi per un qualche motivo attraversava quella realtà.
Pensando al giorno della partenza: chiudendo la porta di casa chiudevo anche i miei vuoti in un cassetto con il desiderio di condividere con qualcuno la semplicità della vita di tutti i giorni attraverso delle azioni di senso non solo per me stessa ma con chi meno fortunato di me.

Alle 3 di notte arrivavo a Mumbai (costa occidentale dell’India sul mare Arabico, circa 22 milioni di abitanti, 34°, di notte molto umido): smog, gente e traffico dappertutto, tenendo d’occhio che i miei compagni di viaggio non scomparissero nel caos dei taxi e dei risciò!

Versova, ci aspettava con un welcome di polveri colorate sul pavimento dell’ingresso e una Sister ancora sveglia ci dava il benvenuto.

Il giorno seguente l’impatto con gli ospiti (dai 18 anni in su…nei loro vestiti sempre puliti e coloratissimi) e le Sisters (con quegli occhi scuri e profondi) era molto cordiale, aperto e sincero; mi colpivano i sorrisi e gli sguardi che riuscivano a comunicare anche senza parole, comunque facendoti sentire a casa e a tuo agio.
La struttura aveva tanti spazi, molto puliti e in ordine, un bel giardino curato con piante e fiori di tanti colori, una grande Cappella che ti abbracciava solo a guardarla, luogo dei frequenti momenti di riflessione e preghiera collettiva: gli ospiti più autonomi partecipavano attivamente a tali momenti ed erano invitati dalle Sisters ad esprimere anche le proprie emozioni, secondo le proprie abilità. La giornata era scandita dai tempi propri di una comunità molto ben organizzata, dove ognuno (me compresa) partecipava alle varie attività (cucina, lavanderia, pulizie, preghiere) in base alle proprie capacità e con compiti precisi. Al momento dei pasti (molto curati nella preparazione e apprezzati nei lori molteplici sapori), chi poteva si liberava di altri compiti per dare il supporto necessario a chi non era in grado di magiare da solo; partecipavano anche volontari esterni.

La mia presenza era a supporto delle attività già in essere, gestite dalle Sisters con l’aiuto di qualche volontario; nello specifico partecipavo attivamente alla preparazione dei pasti quotidiani (es.: sminuzzare le grandi quantità di verdure (per una comunità numerosa), tenere puliti gli ambienti, lavare a mano piatti e bicchieri (rigorosamente in plastica o metallo) ed una varietà incredibile di pentole e pentoloni che andava oltre la mia immaginazione. Davo una mano anche nella distribuzione dei pasti, sminuzzando il cibo laddove necessario ed aiutando chi in difficoltà.

Nel pomeriggio: attività collettive post-lavanderia, quali ritiro del bucato steso ad asciugare quotidianamente e riordino delle montagne di vestiti degli ospiti, oltre alla predisposizione manuale di una notevole quantità di pannoloni per gli incontinenti, attraverso la sovrapposizione di teli di cotone in alternativa agli “usa e getta”.   A volte organizzavo un piccolo gruppo di lezioni-base di italiano, come mi veniva richiesto da qualche ospite, per poter condividere una lingua appresa dai padri/madri fondatori ed ancora viva nel legame con il mondo Italia e con le sue attive presenze.

Il ‘gruppo scuola’ (ragazzi e ragazze con le divise a quadretti rossi e blu sempre stirate che frequentava le classi della scuola speciale per disabili che sorge a fianco della Casa della Carità, “avendo una marcia in più ”, spesso si occupava anche di stimolare ed accudire gli ospiti più svantaggiati in alcune attività di gestione comunitaria previste all’interno della Casa.

Numerosi gruppi di giovani, soprattutto delle scuole superiori di Mumbai, spesso organizzavano momenti di gioco, spettacoli musicali e di intrattenimento per i ragazzi/e della House of Charity: semplicemente si divertivano cercando di dare un senso al loro stare insieme qualche ora, a volte con più continuità.   Frequenti erano anche le visite e le donazioni di cibo e alimenti da parte di chi professava un’altra religione, anche ‘solo’ per scambiare gli auguri per il Natale e il nuovo anno nella speranza di un futuro migliore. Proprio un mondo “in diretta” molto diverso dal mio, dove gli scambi interreligiosi li vedevo solo in TV!

Uttan – Dopo il periodo iniziale passato a Versova, proseguivo la conoscenza delle Case della Carità a Uttan, nel nord-ovest di Mumbai, un piccolo paese di pescatori: bancarelle di frutta-verdura, venditori ambulanti di pesce, botteghe artigiane dove vendevano di tutto.  I fidanzati e le famiglie passeggiavano lungo le spiagge sabbiose, fra qualche palma e i tanti essicatoi di pesce con i caratteristici odori.

La Casa della Carità è collocata a fianco della Parrocchia, non vi sono delimitazioni di spazi; nel grande cortile esterno (dove la gente partecipa numerosa alle funzioni in assenza di panche libere dentro la Chiesa), nelle calde serate di novembre (tempo della mia permanenza) sono accolti centinaia di giovani per i tornei sportivi, musica, canti e danze nei flash di luci colorate.  Anche qui un’affettuosa accoglienza da parte dei ragazzi e delle Sisters, coadiuvate da numerosi ausiliari che partecipavano attivamente alla vita e alla gestione della Casa. Il clima all’interno è sereno, pur nelle difficoltà della vita di tutti i giorni e per far fronte ai bisogni degli ospiti, tutti si danno un gran da fare per ottimizzare le risorse disponibili.  Mi integro facilmente nelle attività di cucina per il supporto alla preparazione dei pasti ed il riordino degli ambienti; nella vestizione delle girls molto accurata specialmente alla domenica; nell’affiancamento ai compiti con i ragazzi che riescono a frequentare la scuola; nelle uscite con gli ospiti per assistere ai tornei serali organizzati dalla Parrocchia adiacente la Casa.  A volte mi inventavo una ninna-nanna …con l’aiuto del traduttore (sul cellulare) in lingua marathi, spesso unica lingua conosciuta dagli ospiti in questo angolo di mondo.

Anche qui mi sento a casa.  Ovunque conoscono i ragazzi e le Sisters, le gente per le strade le ferma anche solo per un saluto.  Per le strade, a volte sterrate, le bande musicali festeggiano i matrimoni, suonano e percuotono i tamburi…: impossibile non affacciarsi! Dovevo venire in India per riascoltare le note di “Bella Ciao” ….nei vicoli di questo strano paese!

Malad – All’arrivo rimango sorpresa: un edificio di sei piani, abbastanza anonimo all’esterno ma con un grande cuore pulsante fra le sue mura: al 4^ e 5^ piano (ubicata sopra i locali della Chiesa) c’e’ Shanti Niwas – la Casa dei Fratelli con i suoi “ragazzi di oggi e di ieri” (giovani e meno giovani) che vivono una quotidianità condivisa fatta di piccole-grandi cose: i pasti, i momenti di riposo e di svago, di sofferenza e di gioia, per qualcuno il lavoro e piccole attività svolte sia dentro che fuori la casa, i momenti di riflessione e di preghiera.

Una piccola comunità con una grande storia, gestita autorevolmente, dove ognuno ha la possibilità di proporre se stesso e nuovi percorsi nel rispetto delle culture e delle diversità dei singoli; anche il Parroco (molto presente) e gli ausiliari in modo costante contribuiscono al benessere ed alla serenità della Casa.

Anche qui partecipo alla preparazione e distribuzione dei pasti, mi propongo per la stiratura delle camicie per questa comunità maschile che si sta preparando al Natale;  una  cura particolare agli addobbi coloratissimi ed alle lucine lampeggianti dappertutto così gradita alla consuetudine locale.  Mi piace molto la condivisione di momenti informali nella quotidianità dove c’è spazio per i vissuti ed i racconti.

La piccola Cappella, i suoi segni ed i suoi simboli ti accoglie come il ventre materno e ti rigenera nella speranza di un mondo diverso.

Questa realtà è immersa in un quartiere periferico di Mumbai, a ridosso di uno slum, dove le famiglie vivono in baracche con il tetto in plastica, in alluminio, i più fortunati hanno le tegole rotte sopra la testa e vivono in un’unica stanza, dove c’è di tutto pur non essendoci niente; fogne a cielo aperto e immondizia ovunque, eppure gli abitanti dello slum escono dal quartiere in dignitoso ordine che stride forte con ciò che si presenta allo sguardo di un visitatore curioso.

I Fathers visitano con continuità e danno supporto materiale e spirituale alle famiglie più bisognose, nella consapevolezza che ciò che fanno “è solo una goccia nell’oceano…”.
Il giorno di Natale la grande famiglia si allarga al quartiere e ai parenti (quando presenti) degli ospiti; il menù è sempre lo stesso: semplicità, armonia e relazione.

Chissà…forse davvero in questa Casa della Pace (Shanti Niwas) B. Dylan avrebbe trovato parte delle sue risposte.

 Mamangalam e Verapoly (Kerala) – In questa terra delle noci di cocco nel sud-ovest del cuore indiano, il cielo é azzurro e senza lo smog delle grandi città del nord, la natura esplode in tutta la sua potente bellezza che ti abbraccia con le tante sfumature del verde degli alberi che si riflettono nello specchio dei fiumi e dei canali dai mille colori, il profumo delle spezie arriva ovunque. I ritmi di vita quotidiana sono calmi e tranquilli.

Le Case della Carità, anche con la loro struttura, sono in sintonia con i quartieri circostanti dove sorgono, nella cittadina di Cochin; il bianco e i colori della terra sfumano nel verde della vegetazione circostante; Mamangalam ci accoglieva con un mazzo di fiori colorati del giardino,  Verapoly con un cortile, luogo di affaccio  degli ambienti di vita, “circondato” di orchidee, la Cappella nel centro di questo grande abbraccio, che proseguiva nel sorriso delle Sisters e degli ospiti, contenti del nostro arrivo.  Dopo 27 ore di treno e un caldo umido che scioglieva, i giorni di condivisione nelle Case erano caratterizzati dall’appartenenza ad una casa comune, pur diversa la mia, ma con grande capacità di accoglienza nei bisogni più diversificati: il confine sottile fra il materiale e lo spirituale si confondeva in un unicum di benessere profondo, di ascolto e di relazione anche attraverso i momenti di preghiera collettiva. 

Con il supporto del traduttore (in lingua malayalam) cerco di condividere momenti di conoscenza reciproca con gli ospiti (solo alcuni hanno conoscenza della lingua inglese) : ognuno ha una sua storia, un proprio modo di venirti incontro .   Anche la musica gioca la sua parte: quella degli anni ’70 e la musica popolare locale sono molto gradite.

A volte l’ascolto del silenzio è accompagnato da uno sguardo che esprime più di mille parole.

La comunità partecipava alla gestione quotidiana, con le modalità proprie dei volontari con un grande cuore solidale; numerosi erano inoltre i gruppi di alunni (bambini e adolescenti) delle scuole che in occasione delle festività natalizie intensificavano le visite alle Houses of Charity con canti, danze e giochi collettivi che coinvolgevano tutti i presenti.

Non c’era la neve ma tanti bambini con i cappellini di Babbo Natale che venivano numerosi a portare gli auguri!

Un’esperienza che tocca tante corde nel profondo, che ti interroga continuamente sul significato della vita, della sofferenza e della morte; una società (quella indiana) piena di contraddizioni e di grandi disuguaglianze ma anche di tante risorse e tanta solidarietà.

Nelle Case della Carità emergeva quotidianamente l’aspetto solidaristico di una comunità complessa e multiculturale che si affacciava alla sua soglia con rispetto delle differenze reciproche e delle reciproche individualità; una porta sempre aperta ed accogliente che si affaccia sul mondo e dal mondo è visitata, che non si sottrae al confronto ma lo fa proprio come momento di crescita collettiva.

In questo cammino di condivisione (con le proprie diverse reciproche peculiarità) della vita quotidiana e della sua spiritualità, questa esperienza è stata per me una palestra di vita, la messa in campo di rapporti nella sincerità e lealtà dei comportamenti, la voglia di conoscersi e dello stare insieme per stare bene e darsi una mano, nella ricerca di coerenza con valori condivisi.

Proprio come in una famiglia sana e non patologica come spesso avviene altrove.
Grazie.

Reginella Ravani volontaria nelle Case della Carità in India.