Contro ogni previsione ragionevole

 

Ciao a tutti, cari amici!

Oggi è Venerdì Santo e sono bloccata da una laringite ad Ampasimanjeva …credo sia un segno per fermarmi un attimo e un’occasione per poter condividere qualcosa con voi…

Ero venuta per fare un paio di giorni di riposo e non potevo scegliere un posto migliore per ammalarmi, sono molto fortunata… Qui, dopo il tragico incidente del 27 dicembre, si sta formando una nuova comunità, molto accogliente che cerca di portare avanti il servizio all’ospedale. Sono temporaneamente presenti anche due medici italiani, che stanno offrendo un supporto preziosissimo per le operazioni chirurgiche complesse e per la formazione dei medici locali.

In questo momento in cui vi scrivo, ad Ambokala c’è in programma una via crucis itinerante e non potendo essere fisicamente con loro, mi fa piacere pensare di essere in comunione con voi attraverso questa lettera.

Pasqua di resurrezione…negli ultimi tempi penso di aver avuto la grazia, nella mia piccola vita quotidiana, di toccare con mano, vedere con i miei occhi e gioire con il mio cuore di due piccoli miracoli di resurrezione. Resurrezione… è per me quando una grande fatica fatta per amore, che rischia di diventare disperazione, invece dà frutti stupefacenti che possono venire solo da Lui…

È quando sei andata fino in fondo, spesso rimanendo sola e poi senti che lì nel fondo il Signore c’è, che su quella strada non eri sola. Ma devi avere la forza di perseverare fino al limite per incontrare la resurrezione: se ti arrendi appena prima, come forse mi accade molte volte, ti rimane sulle spalle solo la fatica e ti perdi il miracolo per pochi metri.

Julio: ‘ragazzo’ di 35 anni, spesso fatto di marijuana, violento e minaccioso nei modi, che si è curato qui la prima volta nel 2008. Non accetta di prendere medicine e ciclicamente torna a farci visita: quando fa paura e non lo vuole più nessuno, lo mandano qui, dalla vasah dalla “straniera”.

Ho combattuto e discusso, da sola contro tutti, fino a piangere di disperazione quando l’equipe di Ambokala mi ha convocato per comunicarmi di non volerlo più accogliere qui in ospedale. Mai più. Hanno detto che è per colpa mia che è qui. Che loro l’hanno già rifiutato anni fa, ma finché io lo ascolto e gli dò retta, continuerà a venire a creare problemi a tutti. Sì, finché è ammalato credo abbia diritto di venire, ho risposto io. Volevano addirittura chiamare la Polizia per prescrivergli un divieto di avvicinamento.

 Ho azzardato che forse il problema siamo noi con la nostra poca competenza, poca pazienza e poco amore…

-Se non lo accogliamo noi qui, dove può andare?
– Sì, ma se lui è qui noi abbiamo paura e non possiamo lavorare. Solo con te si comporta bene.

Dunque meglio che sia sacrificato uno per il bene di tutti. Discorso abbastanza evangelico. Lo fece anche Caifa quando condannò a morte Gesù. (Lo fece anche Gesù, sì , ma Lui da tutt’altra prospettiva…)

Ho ribadito il mio completo disaccordo, ma giacché mi vedevo costretta ad accogliere la loro decisione, ho posto la condizione che almeno, a Julio, l’avrei spiegato io. Io che gli avevo prospettato un lavoro da giardiniere e che ora avrei disatteso le promesse. Niente Polizia.

Detto fatto, ho abbandonato la riunione ufficiale e l’ho portato a casa io. Pioveva a dirotto. Ombrello dimenticato nella foga. Siamo arrivati alla sua capanna fradici e pieni di fango fino alle ginocchia. Ci siamo seduti, non so bene su cosa: c’erano con noi sua madre e suo fratello minore. Ho spiegato le ragioni della decisione dell’equipe, (proprio io che non ero d’accordo…) ho cercato di fargli capire che le sue minacce di morte avevano superato i limiti e che per proteggere gli altri è stato deciso che lui non potrà più venire ad Ambokala.

Almeno fino a quando io ti verrò a chiamare. Ho però aggiunto io. Quel mai più dell’equipe ci avrebbe uccisi, lui e me…

Mentre ci si guardava in faccia, con il cuore in mano e anche qualche piccola lacrima, si è aperto uno spiraglio di luce che prima non avevo visto…Julio, dovresti prendere le medicine. Ho allora azzardato. Siamo noi che ti vogliamo bene, a dirtelo. Mi veniva da piangere.

E incredibilmente …lui non ha detto di no. Fino al giorno prima non si potevano neanche nominare, le medicine.

Ha cominciato e seguire regolarmente la cura ed è arrivato anche il momento in cui sono tornata a casa sua a richiamarlo per quell’incarico di giardiniere che gli avevo promesso. Nessuno ha avuto da obiettare. Tutti contenti.

Epilogo contro ogni aspettativa, contro ogni previsione ragionevole, dopo l’abisso della incomprensione e della solitudine. Ma la resurrezione non fa parte delle previsioni ragionevoli. Grazie a Dio.

Christophe: uomo sulla cinquantina, in condizioni igieniche pietose, butta sassi contro le ruote delle macchine e fa gesti tipo kung fu in mezzo alla strada per spaventare le moto, le bici e i passanti. Non ha mai fatto del male a nessuno, ma ha provocato qualche piccolo incidente stradale. Lo picchiano ogni settimana, da tre anni. È incredibile che sia ancora vivo. Tanto di cappello al suo angelo custode.

Lo conosciamo da sempre e sa che gli vogliamo bene. Alla sera, cerco spesso di avvicinarlo per salutarlo. A volte scappa, altre volte ci sediamo sul bordo della strada a dire due parole. Parole, che se qualcuno registrasse, sembrerebbero in codice, tanto sono sconnesse, ma bastano…bastano perché ricominci a venire ad Ambokala a mangiare, senza la paura di essere chiuso in isolamento (come vorrebbe il commissario, il prefetto, il capo dei gendarmi, sua sorella, suo cognato… e anche quelli che l’hanno conosciuto solo per sentito dire).

È già stato rinchiuso, ma appena fuori è scappato senza più prendere le medicine.

Mangia da noi molto volentieri, ma pare impossibile convincerlo a curarsi e basterebbe intanto una iniezione di neurolettico al mese.

Basta con il ricatto: se non ti fai l’iniezione non mangi! Ho detto in cucina: “da mangiare glielo diamo comunque, finché viene in queste condizioni”.

Dobbiamo riuscire a convincerlo. Puoi venire a mangiare tutte le volte che vuoi, che siamo contenti di averti qui con noi, ma per il tuo bene dovresti prendere le medicine…gli ripeto sempre. Mi risponde che le prenderà dopo…dopo il pranzo, dopo la cena. Dopo, sempre dopo…

Mi fa vedere una gamba gonfia, il volto tumefatto, la schiena dolorante: Mi hanno picchiato, EnricaTi hanno picchiato troppo poco, rispondo sempre io, se ancora non ti sei convinto a curartiaspetti di essere in fin di vita? Lui si fa medicare, protesta un po’, sorride e se ne va di nuovo…Gli infermieri mi guardano con affettuoso compatimento: sono Alice nel paese delle meraviglie.

Ma Alice è sicura che il bene vinca qualsiasi resistenza e dunque siamo certamente noi che non facciamo abbastanza: abbiamo cominciato ad impegnarci di più e di più, quando arriva lui, lasciamo tutte le altre mille occupazioni per ascoltare le sue storie strane, guardare ad uno ad uno i suoi sassi e poi cercare di convincerlo …ore e ore e ore.

Poi finalmente è successo, un paio di mesi fa. Erano le quattro del pomeriggio e lui è arrivato gattonando, sporchissimo, con le mani piene di sassi. Voleva riso, ma quello del pranzo era finito e la cena non era ancora cotta. Gli ho proposto di aspettare insieme la cena. Ci siamo seduti su una panca. Abbiamo parlato dei suoi figli che non vede da anni, di sua sorella che non lo vuole più in casa, della possibilità di stare meglio.

Poi sono andata a prendere una maglietta che conservo da tempo: E questa? Quando te la metti, Christophe? È un anno e mezzo che è qui. – È vero, tienila ancora da parte per me, mi ha risposto sorridendo. Era contento che l’avessi conservata. È una bella maglia bianca, nuova, di quelle che usi la domenica. Gliela avevo regalata a Natale 2021, ma non l’hai mai voluta portare con sé. Tutti gli ammalati hanno preso la loro, tranne lui. Quando starò bene e mi laverò, allora la prenderò. Mi aveva detto.

Prima di cena, insieme all’infermiere, l’abbiamo convinto a farsi la famosa iniezione. Senza che arrivassero in quattro a tenerlo di forza, senza rinchiuderlo e senza minacce, si è finalmente fidato…Poi è tornato in giro al mercato, come gli avevo promesso.

Dopo qualche giorno ha deciso di entrare in ospedale.

Adesso è una persona nuova, e in occasione della domenica delle Palme, Christophe, ha sfoggiato la sua maglia bianca.

Grazie amici, per la vostra fedeltà nell’accompagnarci nella preghiera, per il vostro aiuto prezioso e per la vostra amicizia che mi scalda il cuore e mi dà forza ogni volta che sento un po’ di solitudine.

Ci auguro il coraggio di andare fino in fondo nelle fatiche dell’amore per poter vedere la Resurrezione.

BUONA PASQUA!

 Vi voglio bene

Erri