Come va?

 

Come va?

E’ la classica domanda che tutti mi fanno. Va come sempre, è la mia risposta. Io sono qui a condividere, forse qualche volta semino anche, ma non tocca a me raccogliere. Sto bene, sono coinvolta, prego, resto con la gente (non tanta in verità, sempre per via della lingua…). Stiamo insieme.

Gli artigiani mi perseguitano, a causa del mio passato equosolidale, per cui ne conosco alcuni, e della radicale assenza di lavoro per loro che vendono le loro opere esclusivamente a turisti e “umanitari” (gli operatori delle ONG); di turisti negli ultimi due anni non ne sono arrivati, e gli operatori stranieri delle ONG sono ormai pochi.

Quindi non stupitevi se attraverso i social a volte vi propongo qualche opera, sto facendo marketing per loro. Lavorano anche su ordini precisi. 

 

 

 

 

 

 

Attimi

L’altro giorno ero con le mamme dei bambini handicappati.
Verso le 16 è scoppiato un violento temporale seguito poi da una pioggia autunnale e persistente, che qui non è normale.
Due mamme erano ancora, con i loro figli, nella stanza della terapia e del bricolage, dove mi trovavo anche io.

Stavamo terminando il lavoro. Si son legate i figli (ormai grandicelli ma non deambulanti) sulla schiena e son partite, senza ombrello (che costa), a piedi, per tornare a casa.
Ho chiesto loro, che venivano da lontano, se volevano fermarsi per la notte ma avevano gli altri figli a casa e sono partite.
Sotto la pioggia. Semplicemente.

Ed io ho pensato ai nostri figli italiani, quelli in buona salute che accompagniamo a scuola in auto anche se la scuola è vicina, che se piove accompagniamo con l’ombrello fino all’entrata, ben protetti dalla mantella…
ed ho sentito tutta l’ingiustizia della differenza, di due ore a piedi su sentieri scivolosi a causa della pioggia, con un ragazzino malato sulle spalle, ben esposto alle intemperie.
Non è merito nostro né colpa nostra essere nati dove siamo nati, forse però potremmo imparare a condividere di più, a sentirci più fratelli.

Potremmo imparare a sfruttare un poco meno gli impoveriti.
Queste profonde differenze ed ingiustizie diventerebbero meno profonde.

Mi han regalato un pagne, una di quelle belle stoffe colorate di qui. Mi faccio cucire un abito dalla sarta che viene due mattine alla settimana a rammendare gli abiti delle bimbe e fare lavoretti.

Ha bisogno di un lavoro, è sola con una ragazzina e un bimbo.
La figlia riceverà la confermazione la domenica di Pentecoste e il piccolo la settimana successiva farà la prima Comunione.

Vado a ritirare il mio abito, pronto. Normalmente la fattura di un abito elaborato costa tra i 10 e i 20 dollari. Io decido di dargliene 20, perché si è impegnata molto anche se l’abito non è perfetto.

Piange. Mi dice che comprerà un vestitino bello ai suoi figli per la festa. Non smette di ringraziare. Le ricordo che la sto pagando, è una questione di giustizia, del giusto salario per il lavoratore che ha ben lavorato, non le sto facendo un regalo.
Ma continua a ringraziare.
No, non sono felice di tutti questi grazie, non mi sento buona, mi sento molto male perché sto solo facendo ciò che è giusto.
Mi mortificano questi grazie sinceri, perché essere pagati il giusto è un diritto e non una concessione.
Sono convinta che abbiamo molto da fare per diventare umani e dobbiamo impegnarci per uscire insieme da queste profonde lacerazioni.
Non si tratta di esser cristiani, che è ancor più esigente nei fatti, ed i santi, anche quelli che incontro qui, me lo dimostrano.
Si tratta di essere umani, di restare umani, come diceva il mio amico Vittorio Arrigoni.

Sto approfondendo la conoscenza con Dieudionné, la nostra sentinella che custodisce la casa tutte le notte. Un signore distinto, quando non è in “abito” da lavoro. Mi racconta di essere dei carismatici e che è chiamato alla preghiera di intercessione.

Gli chiedo di pregare per me, per la paura che a volte percepisco un poco. Mi risponde serafico, lui che ha vissuto la guerra, lui che sta fuori al buio anche quando sparano, la notte: l’unica guerra di cui dobbiamo aver paura è quella contro lo Spirito Santo. 

Amen