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Leo Zhang

Leo Zhang, cinese, è maestro nel quartiere di Ospizio. Nella scuola “Bella cultura” (in via Paradisi) insegna cinese a bimbi e ragazzi cinesi. Il maestro Leo ha sottolineato come i bimbi cinesi in Italia fatichino ad imparare l’italiano e al tempo stesso come dimentichino il cinese scritto, lingua particolarmente difficile da apprendere. Rischiano così di perdere le radici sociali e culturali e di non riuscire ad integrarsi nel mondo in cui viviamo insieme. Con l’aiuto dell’Associazione ACCQUA, Accademia di Quartiere, dedita a incrementare e favorire una rete di relazioni, da qualche anno viene insegnata anche la lingua italiana ed è stato avviato un doposcuola per fare insieme i compiti con l’ausilio di volontari. Ogni anno vi accedono circa 150 minori.

Don Pietro Sun

“Secoli fa, molti uomini hanno attraversato mezzo mondo per far sapere alla gente che Dio esiste… oggi sono qui a continuare questo percorso sacro e luminoso”. Così don Pietro Sun, Cappellano della Comunità cinese a Reggio Emilia, ha dipinto l’icona missionaria dello scambio tra Chiese, intervenendo domenica 25 febbraio al Convegno organizzato in diocesi dal Centro Missionario e dall’Ufficio Migrantes sul tema “Cina, così viCina. Sfide per un cammino comune”. Il suo arrivo in diocesi, lo scorso anno, rappresenta una presenza preziosa per le nostre comunità ed è un segno che porta il pensiero all’opera svolta nel tempo da tanti missionari arrivati in Cina.

Maria Chiara Sagario

A camminare con i cinesi a reggio Emilia da anni è Maria Chiara Sagario, della Piccola Famiglia dell’Assunta (comunità di laiche e laici consacrati, nata nella diocesi di Rimini, che ispirandosi alla regola di Dossetti si spende nella preghiera e nel servizio alla fragilità), che al Convegno ci ha raccontato come quasi “per caso” (lo pseudonimo della Provvidenza) sia entrata in contatto con i cinesi e come la Parrocchia di Santa Lucia a Savignano sul Rubicone (FC) abbia loro aperto le porte avviando attività pastorali nel segno dell’interazione. Ha imparato il cinese stando con i bimbi, a cui viene insegnato italiano nella Casa Italia-Cina (www.casaitaliacina.it), il loro centro operativo gestito da volontari (italiani e cinesi) che dal 2003 li ospita per il doposcuola e altre attività ludiche, educative, ricreative, sportive. Ha raccontato delle difficoltà di comprensione iniziale e della ricchezza di un popolo, dell’importanza del Capodanno Cinese, del progetto che sta appoggiando a Reggio sul farsi prossimo alle donne cinesi vittime di grandi debiti e costrette alla prostituzione.

Alina Mussini

Nel delineare il quadro della presenza cinese a Reggio e provincia, Alina Mussini, mediatrice linguistico-culturale che opera in ambito educativo e sociale, ha fornito risposte a molte nostre domande inespresse. I cinesi che vengono in Italia provengono quasi tutti dalla provincia di Zhejiang (vicino a Shanghai), per lo più dalla città di Wenzhou, nota come la “Gerusalemme della Cina”, per la forte presenza cristiana. Si tratta della zona che ha la più alta capacità imprenditoriale, da cui le persone emigrano per incrementare i guadagni familiari.

I cinesi che vengono in Italia (i residenti sono circa 300mila) sono studenti universitari (design, belle arti, musica), turisti, ricchi imprenditori che investono comprando aziende o attività, oppure emigrati/espatriati che raggiungono il nostro Paese per vivere, lavorare e arricchirsi.

Spesso arrivano per stare anche 20 o 30 anni, per poi rientrare a casa; si spostano con tutta la famiglia che contribuisce con il lavoro di ciascuno a raggiungere l’obiettivo del benessere. La posizione dei giovani è particolarmente difficile perché sono attratti dalla cultura e dallo stile di vita europei, ma la famiglia ha vincoli molto forti e poco compatibili con la nostra vita.

Un bimbo sorridente di jandira

Meditazione di Natale da Padre Gianchi e dalla comunità di Jandira

Jandira, Natale 2017

Carissimi amici,

      nonostante i grandi successi della tecnologia per comunicare velocemente, cellulari, social…, lo scrivere rimane sempre un insostituibile mezzo di comunicazione, potente e penetrante. A me piace scrivere.
Il problema è fermarsi e mettere a fuoco ciò che desidero dire.
Mi lascio prendere dalle preoccupazioni, dalle più semplici alle più complicate, del tipo: ancora non ho preparato la messa o la riunione; c’è da visitare quell’asilo in difficoltà; c’è da sistemare il tetto di casa, da visitare l’accampamento e la scuola agricola. Da quanto tempo non vado da quelli della favelas? Come fare con la Comuna Urbana che ha un sacco di problemi e la Panetteria Comunitaria “Padre Nostro” che è stata già assaltata 2 volte anche a mano armata?…
Potrei continuare questa litania per ore… ho solo cominciato per dirvi i miei impegni “spiccioli e non”, giorno per giorno, che mi assorbiscono da mattina a sera, chiedendomi anche cosa deve fare un prete missionario per andare in pensione e stare tranquillo… Si fa per dire. Anzi, è un regalo della vita essere sempre richiesti, vivere sotto “pressione” dalle persone più povere e più in difficoltà.
“Avevo fame e mi hai dato da mangiare…”.
Non è solo una bella azione da scout o elemosina alle porte della chiesa, è un dovere senza il quale non si entra nella Casa del Padre. “Andate via, maledetti”…, è una maledizione non solo contro i ricchi e i popoli ricchi, ma anche contro chi distoglie lo sguardo dal povero, che fa l’indifferente, che fa il “non sapevo”, che fa il sorpreso “quando mai ti abbiamo visto?!!!”.
Papa Francesco ci mette il Vangelo puro e semplice sotto i nostri occhi, anche se vive in una struttura carica di secoli di ipocrisia e tanto pesante per muoversi. Prudente e semplice, dalle “prigioni” del Vaticano sfida il mondo sul tavolo dei più poveri. Un mondo dominato dal Dio Denaro che vuole seppellire il Dio fatto Carne, il Bambin Gesù, sotto la valanga smisurata di luci, regali, cibi e frastuoni. Poveri alberi, poveri vecchietti e papà costretti a spendere anche ciò che non hanno per fare i Babbi Natale dei loro piccoli.
Il Bambin Gesù, nella grotta, sulla paglia, con Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello, le pecore con i pastori ci colmano di speranza, perché ci assicurano che un altro mondo è possibile.
Su quasi 1.000 bambini che abbiamo nei nostri asili, 300 non mangiano in casa perché non ce n’è: mangiano solo all’asilo.
E in tutto il Brasile, quanti bambini sono ancora alla fame e non hanno l’asilo per sfamarli?!
Il Brasile non ha bisogno di cacciare via i poveri o i profughi, come fanno i paesi d’Europa; agisce nella cultura di colonia, costituita da padroni e schiavi. Discendenti di africani, di indios, di orientali, di europei mal capitati, etc. sono espulsi dalle terre, rinchiusi in favelas o periferie urbane, caotiche e violente, costretti a vivere al di sotto di un tetto di povertà o semi-povertà (salario minimo), dentro la grande rete del sistema economico che si piglia anche quel poco che guadagnano.
C’è stato anche un governo popolare che ha tentato di cambiare le cose, ma i padroni non erano disposti a perdere i loro schiavi e con un colpo di stato “bianco” le cose si sono ristabilite nell’ordine di sempre e di buona colonia.
 
In Brasile oggi (cosi dicono i mass-media) va tutto bene, tutto sta migliorando.
Fra poco ci sarà Natale e Capodanno, poi il Carnevale e poi… se il Brasile riesce a vincere anche la Coppa del Mondo in Russia, beh… è fatta!!! Il Dio Denaro può cantar vittoria: ha conquistato il mondo!!!
Non c’è un angolo di terra di questo pianeta che ancora sia libero dal suo dominio: dalla foresta alle favelas, dall’America all’Asia, dall’Africa all’Europa… e i popoli più deboli fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla sfruttamento.
Tante guerre, tante rivoluzioni, tanti tentativi e esperienze… C’è stato rubato tutto… siamo costretti a pagare i nostri rapinatori, ridotti a schiavi, sottomessi alle leggi inique del mercato.
Ormai non è più una questione di destra o sinistra, di socialismo o capitalismo, di libertà o uguaglianza ma di sopravvivere, di resistere, piegarsi come il bambù, che dopo il vento e la tempesta torna dritto come prima e più forte di prima.

La celebrazione natalizia a Jandira Ci hanno rubato tutto, ma non la speranza. Hanno bruciato gli alberi, ma non le radici. Hanno incatenato i nostri corpi, ma non i nostri cuori.

Contemplando il Bambin Gesù nella mangiatoia, ascoltando il canto degli angeli ai pastori, possiamo ancora gridare forte con Papa Francesco:
“Pace agli uomini di buona volontà”.
Non la Pax Romana, né la pace opulenta dei soldi, ma la pace senza armi, senza bombe atomiche… 
la pace di Cristo. 
Pace, che è cammino di cambiamento, di conversione, verso la solidarietà, verso la comunione, 
fino a dare la propria vita, nella Croce. 
Morte feconda, di martiri,
da cui germina una nuova vita,
la Resurrezione,
l’Utopia dei Cieli Nuovi e della Nuova Terra.
                                                           Bambin Gesù, dacci sempre la capacità di credere 
                                                           in questa utopia, perché è l’unica nostra speranza 
                                                           cui dedichiamo il nostro sudore, le nostre lacrime, 
                                                            la nostra gioia, la nostra vita.
 
A tutti Buon Natale. Questo Natale, con il profumo di paglia e di stalla, di pastori e di pecore, ma soprattutto con il profumo del sorriso di Maria, nostra Madre, che ha saputo dire sì alla vita.
 

Buon Natale e Buon Anno!

Padre Gianchi

 

 

 

madagascar, le tipiche risaie in campagna

Tra lemuri, orchidee, solidarietà e 50 anni di missione

Ho avuto la fortuna, l’onore e la gioia di far parte della Delegazione diocesana in visita al Madagascar per il 50° della Missione della Diocesi di Reggio Emilia.
Donata Frigerio ha già abbondantemente relazionato sulla Libertà circa le solenni e partecipate celebrazioni nelle varie città dove siamo presenti dal 1967 quando la prima equipe con don Mario Prandi, don Pietro Ganapini, Suor Bernadette, Suor Margherita, e qualche laico sbarcò nell’Isola Rossa.

Raccontare il Madagascar è come leggere un libro di storie, ogni luogo ha i suoi colori caratteristici, le sue tribù con storie e tradizioni millenarie che ancora sopravvivono, la sua natura peculiare e i suoi animali unici ed indimenticabili. Volevo in questa occasione fare un raffronto tra il viaggio che feci quasi 30 anni fa e quello dei giorni scorsi Ma già scendendo all’aeroporto di Ivato con il super traffico di Tananarive, inizio subito a capire che nulla è cambiato nelle condizioni di vita dei malgasci: tutti ancora per strada, bancarelle improvvisate, gente ammassata che aspetta taxi-be, signore che lavano panni nel fiume. Incontro, esattamente come la volta scorsa, tanta gente a piedi, tutti camminano, spesso senza scarpe, tanti bimbi che giocano, le donne, nei loro abiti colorati, in testa portano di tutto, taxi-brousse stracarichi di gente e merce.

Nel 50 anniversario gli zebu tirano ancora i carrettiPoi “strade” (se si possono definire così) dove incrociamo taxi-brousse (pulmini stipati di persone e merci e animali fino all’inverosimile), carretti trainati da zebù, bambini, bambini, bambini… Un proverbio malgascio (ce ne sono tantissimi colmi di sapienza popolare) dice che “la vita è miele (quindi dolcissima) e aloe (quindi amarissima)” e rende veramente l’idea dei contrasti e delle contraddizioni di questa terra malgascia: da una parte le bellezze dell’Isola, forse la più bella del mondo: i primi navigatori che approdarono sulla costa del Nord a Nosy-be pensavano di essersi trovati in Paradiso, dall’esplosione della natura, uno scrigno rimasto intatto per 160 milioni di anni daquando si staccò dal Gondwana, con una flora e una fauna uniche al mondo, poi la bellezza degli abitanti nella pratica dell’ospitalità, dell’accoglienza, della dolcezza, gli sguardi, le strette di mano, i gesti di benevolenza, i volti, i sorrisi di tutti, in particolare dei bambini (credo che fra le decine di viaggi che ho fatto per il mondo, questi siano i sorrisi più radiosi, splendenti, contagiosi che abbia mai visto).

D’altro canto credo che sia anche un Paese tra i più poveri del mondo, con il reddito pro-capite più basso in assoluto, e quindi si avverte subito la durezza, la fatica, la pesantezza del vivere quotidiano che non ha avuto nessun progresso significativo in questi ultimi 30 anni. Tutti i “nostri” progetti reggiani di RTM, del Centro Diocesano Missionario, della Ravinala, delle Case della Carità, dei Servi della Chiesa, sono invece altrettante eccellenze nel Paese, da Bevalala, alle Scuole di don Ganapini e di RTM, a Ambatolampy con la lavorazione dell’alluminio, a MarosoKatra nell’Azienda Agricola con l’inossidabile Giorgio Predieri, ormai malgascio da oltre 40 anni, le scuole di Zanantsika, poi a Manakara la confiturerie, e tutti i progetti seguiti da Luciano Lanzoni pure lui ormai figura storica da oltre 30 anni in Madagascar, l’Ospedale di Ampasimanjeva con il Dott. Martin. Le nostre sono veramente delle “oasi” fortunate, delle opportunità straordinarie, potremmo dire con il Salmista “Venite e vedete le Opere di Dio, Egli ha fatto prodigi sulla terra” rispetto invece al resto del Paese che non decolla, per le vicende politiche, sociali ed economiche che si trascinano fin dall’indipendenza dai francesi nel 1960, per la corruzione, per l’incapacità dei Governi di formulare piani di investimenti per il lavoro, per l’educazione, igiene, scolarizzazione, di trovare soluzioni ai problemi che attanagliano il popolo, per cui il Paese resta un’Isola alla deriva, addirittura dimenticata oltre che dallo Stato, dagli Organismi internazionali, dalla Comunità Europea ecc.

50 anni di madagascar vediamo lavori faticosiE noi occidentali troppo abituati alle comodità, ai comfort, al benessere, restiamo destabilizzati davanti ai mille inconvenienti del viaggio, e percorrendo la strada RN7, l’unica asfaltata (si fa per dire!) del paese, naturalmente non possiamo evitare alluvioni in questa stagione delle piogge che distruggono ponti, creano voragini e costringono a deviazioni, così se in un posto manca l’acqua si è costretti a fare la doccia con il secchio, oppure viene meno la luce o si resta a piedi con il pulmino, tutte cose che ci sono successe.

 

Ci sarebbe proprio da imparare la grande lezione di questo popolo: la pazienza!! Per rivedere i nostri pregiudizi… per rispondere a domande, o magari, farsene altre, interrogativi inquietanti sul nostro stile di vita, sull’individualismo, menefreghismo e indifferenza così diffusi nei nostri paesi Europei e per restituire nome e valore alle cose essenziali e a quanto di superfluo e di inutile ci siamo dati in questa nostra società edonistica e consumistica. Devo dire che i 24 componenti la Delegazione Diocesana, tutti coinvolti in qualche modo nell’ambito Missionario (preti e suore comprese), hanno capito esattamente il senso e l’obiettivo di questo viaggio responsabile e si sono adattati alle condizioni di disagio senza le litanie di lamentele come avviene di solito a casa o nei viaggi ordinari. Visita al Parco Nazionale di Ranomafana. Bellissima ed intricata foresta pluviale a 800 metri di altitudine che ci permette di incontrare i lemuri dorati, i sifaka neri ed una minuscola specie di camaleonti di pochi centimetri. Istituito nel 1991 grazie alla scoperta, qualche anno prima, del lemure dorato del bambù (Hapalemur aureus, una specie a forte rischio di estinzione), il Parco Nazionale di Ranomafana si estende su una superficie di circa 40.000 ettari distribuiti tra colline di media altitudine (800-1200 m) ricoperte da foreste e attraversate da piccoli corsi d’acqua che si gettano nel fiume Namorona. Oltre al lemure del bambù, il parco di Ranomafana è habitat di altre 11 specie di lemuri, tra cui alcuni molto rari e con gravi minacce di estinzione, come il lemure dal naso grigio (Prolemur simus), il maki lanoso (Avahi laniger), il sifaka di Milne-Edwards (Propithecus edwardsi), il lemure dal ventre rosso (Eulemur rubriventer) e l’aye-aye. C’è infine una cosa che mi ha fatto riflettere e lo farà ancor più nei giorni seguenti, in questo panorama di luce e ombre, di ricchezza e di povertà, di miseria e di dignità: quel piccolo seme gettato il 23 Novembre dl 1967 in quella terra benedetta ha germogliato e fruttificato: 15 Case della Carità , 63 Suore, 7 Novizie, 7 novizi fratelli, un centinaio di Servi della Chiesa, e tutti i progetti RTM-CDM-Ravinala che hanno impegnato centinaia di volontari laici: sembra proprio che Dio voglia provocare la nostra Chiesa Reggiana, dove avviene il fenomeno inverso, calo di vocazioni, chiusura di Case della Carità, Messe e Sacramenti disertati .. e c’è da ringraziare il Vescovo Massimo per aver deciso di inviare due Sacerdoti giovani – Don Simone e Don Luca – nonostante le difficoltà che si creano in Diocesi per la cronica mancanza di preti: ma la ricchezza straordinaria che viene dallo scambio con Chiese sorelle chiede che si continui in questa avventura sicuri che Dio non mancherà di benedire, di colmare di grazie e di abbondantissimi frutti, gli sforzi di chi spende qualche anno o tutta la vita al servizio della Missione. Ricordiamo perciò, pieni di gratitudine, chi ci ha preceduto ed ha tracciato la strada di questo cammino meraviglioso che vede ancora oggi comunione e unità di azione tra sacerdoti, religiosi e laici. Si tratta di una formula e un modello esemplare che sarebbe prezioso da applicare anche alle nostre Unità Pastorali, che spesso non cercano di unire risorse, energie, opportunità ma continuano nella resistenza della propria individualità parrocchiale campanilistica invece di avere uno sguardo più lontano e lungimirante.
Grazie Roberto Soncini del CDM per averci guidato con tanta pazienza (davvero malgascia!!) sapienza e competenza nel nostro Pellegrinaggio.

Correggio, 3 Dicembre 2017 1° Domenica di Avvento

Enos Rota

Enrica SAlsi ed un giovane malato

Con i malati da fratelli

La testimonianza di Enrica Salsi, missionaria laica in Madagascar

Il missionario fidei donum  (“dono di fede”) compie 60 anni. Nati dall’Enciclica Fidei Donum di Pio XII del 1957, i fidei donum sono sacerdoti, diaconi e  laici diocesani  inviati a realizzare un servizio temporaneo in un territorio di missione dove già esista una diocesi, con una convenzione (in genere triennale e rinnovabile) stipulata tra il vescovo che invia e quello che riceve.

Il Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium ha chiarito e illuminato ulteriormente la posizione dei fidei donum dicendo che la missionarietà non è più relegabile a un particolare carisma di singoli, ma fa parte della carta di identità del cristiano, del cosiddetto “ Popolo di Dio”, cioè di tutti i battezzati, in quanto vede la sua radice nel mistero di comunione della Trinità e nel Battesimo. Tutto il Popolo di Dio, nella diversità dei ministeri, ha dunque il dovere fondamentale di uscire da se stesso verso il mondo per annunciare il Regno di Dio.

Nei decenni seguenti la missione dei fidei donum è diventata una sorta di collaborazione tra chiese sorelle, di scambio di doni. Non più soltanto la necessità/urgenza di portare il Vangelo a chi non lo conosce, ma piuttosto il voler camminare insieme, da chiese sorelle per rafforzare l’unità e la testimonianza della Chiesa universale.

“Annunciare il Regno, dare la certezza che Dio è Padre buono e ti ama, soprattutto a chi ha tante buone ragioni per dubitarne…”. Ecco, più o meno pensavo questo quando nel 2010 ho chiesto al Centro Missionario di Reggio e al vescovo della diocesi di Farafangana, il permesso di rimanere con gli ammalati dell’Ospedale psichiatrico statale di Ambokala.

distribuzione alimenti all'ospedale di AmbokalaDistribuzione alimenti all’Ospedale psichiatrico di Ambokala
Ero arrivata in Madagascar nel 2008 e nei primi due anni avevo lavorato con l’Ong RTM in un progetto sanitario. Nei weekend, insieme ad un’altra volontaria, andavo a fare visita a questo accampamento di ammalati. Poi con una suora ed alcuni scouts abbiamo iniziato a festeggiare il Natale, la Pasqua e le feste più importanti in ospedale; ma mi sembrava poco, troppo poco perché la nostra piccola presenza potesse fare assaporare un po’ della predilezione che il nostro Padre ha per tutti i suoi figli. Così ho deciso di rimanere a tempo pieno qui. Insieme a Berthine, una serva della chiesa, come prima cosa abbiamo organizzato una mensa. Poi, dopo qualche anno, sono arrivate le suore trinitarie di Valence e ci siamo costituiti come “Aumônerie Catholique des malades d’Ambokala”, ottenendo un accordo di partenariato con il Ministero della Salute malgascio.
Oggi il nostro servizio quotidiano è accogliere e sostenere gli ammalati e le famiglie che non hanno i mezzi per accedere alla cure, accompagnarli nella riabilitazione psichiatrica organizzando molteplici attività di ergoterapia e piccoli inserimenti lavorativi. Ma soprattutto vogliamo stare insieme agli ammalati. Da fratelli. Nessun maestro. Noi missionari abbiamo certamente mezzi che ci permettono di dare un grande sostegno economico, ma è anzitutto lo stare insieme, l’ascoltarsi, il condividere i tanti momenti della giornata che dà un sapore di famiglia a chi è stato abbandonato e costituisce il primo passo per ritrovare fiducia nel proprio valore e percepire significativa la propria vita. Solo se c’è qualcuno che ti cerca, che ti aspetta e che ti ascolta può rinascere la fiducia in un Padre Buono che ti vuole bene… Questo è un linguaggio che tutti i dialetti e tutti i credo religiosi comprendono. Altrimenti parlare di Cristo rischia di rimanere un’astrazione.
In questi anni abbiamo accolto e siamo stati accolti da più di 700 ammalati.
Quando un ammalato entra in ospedale, la dottoressa ha l’abitudine di chiedergli “quale è la tua fede?”, e non di rado c’è chi risponde “beh… la vostra!”, senza neanche sapere quale sia “la nostra”. Si mettono le mani avanti, tristemente abituati che per essere aiutati prima si deve fare la “tessera” da cristiano o da musulmano… Allora riflettevo con la suora quanto sarebbe invece bello che accadesse il contrario: che dall’accoglienza nella libertà e dall’amore che noi dimostriamo, la gente uscendo dall’ospedale pensasse: anche io voglio seguire Cristo.
Una sera, tornando a piedi dall’ospedale, ho incontrato Olga, una donna sui 25 anni che insieme ai due figli più piccoli, porgeva la mano per chiedere l’elemosina. Mi ha colpito perché tutti i malgasci che conosco hanno paura del buio. “Non hai paura, in giro a quest’ora?” le avevo chiesto.” E tu, allora?”mi aveva risposto in tono di sfida. “Sei tu che hai qualcosa da farti rubare, che dovresti avere paura… Io tanto non ho niente”. Nel tempo siamo diventate “amiche”: l’ho aiutata ad aprire un banchetto di verdure, poi di dolcetti, ma nulla è mai durato più di un mesetto. Le affidavamo qualche lavoretto saltuario, ma lei ha sempre continuato anche il mestiere di elemosinante. Abbiamo fatto spettacolari discussioni su quelli che lei chiamava: “ny zon’ny mpanagataka” cioè “ i diritti delle elemosinanti”. Nella nostra “amicizia” mi raccontava anche un sacco di balle. Per ben due volte mi ha convinto ad aiutarla a trasferirsi a Tamatave per poi convincere l’autista, una volta fuori città, a farsi restituire i soldi e tornare a casa a piedi con i quattro figli. Me la ritrovavo sempre lì, senza riuscire a cambiarla, né ad aiutarla davvero… Mi arrabbiavo, ma poi ricominciavo ad invitarla a mangiare con noi…
Un giorno Olga è arrivata in lacrime e mi ha raccontato che suo figlio minore era stato rapito da dei trafficanti di bambini, che le avevano chiesto un riscatto di 80.000 ariary (equivalenti a circa 30 € al tempo). Doveva sotterrare i quattrini presso le pile di un ponte sulla strada Nazionale a sud della città. Mi ha portato addirittura la lettera che le era stata recapitata e ha chiamato gli altri figli a testimoniare la sua versione. E’ rimasta tutta la notte sotto casa nostra. Le ho proposto di andare insieme dalla polizia, ma non ha accettato e ha inscenato anche un malore. Sapevo che la storia era inverosimile e il mio cuore era molto ferito. Dopo due giorni ha ammesso di aver inventato tutto per i soldi. Poi se n’è andata, consapevole di aver passato davvero il segno e tradito del tutto la mia fiducia.
Quando l’ho rivista, qualche mese dopo, era seminascosta nel vialetto di casa. Con la testa bassa mi ha sussurrato un “mi dispiace, mi vergogno per quello che ho fatto”. Il suo figlio maggiore era ammalato e cercava aiuto… ma non pensava di ottenerlo. Quando ha capito che l’avrei aiutata e anche riaccolta a fare qualche lavoretto era incredula e prima di andare mi ha guardato con serietà e mi ha detto una frase, che ancora ricordo. Tradotta letteralmente faceva così: “Fa pensare e fa meraviglia il perdono e la pazienza del vostro Dio”.
Il missionario laico fidei donum è uno che ama stare con la gente attraverso il suo lavoro quotidiano, nei momenti di riposo, che non ha fretta di correre nei suoi appartamenti, ma piuttosto accoglie l’invito in casa d’altri, si toglie le ciabatte sulla soglia e accetta di sentirsi straniero per diventare fratello.
Da missionaria laica donna, so di essere privilegiata perché già di partenza faccio parte degli ultimi all’interno della chiesa. Lontano dalle posizioni di potere, parti in vantaggio per vivere da sorella con gli ultimi.

Enrica Salsi

i bambini fanno i compiti ad Ampasimanjeva

Ti auguro tempo

Ampasimanjeva, 21 ottobre 2017

“Ti auguro tempo.
Ti auguro tempo per divertirti e ridere.
Ti auguro tempo non per affrettarti e correre.
Ti auguro tempo per meravigliarti,per stupirti,per avere fiducia.
Ti auguro tempo per sperare ed amare.
Ti auguro tempo per sentirti fortunato ogni giorno”.

E’ ormai passato quasi un anno da quando mi hanno regalato queste parole su un bigliettino, poco prima della mia partenza.
Un anno, tanto o poco tempo, dipende un po’ dai punti di vista (chiedetelo a mia mamma!). Ma tempo in cui davvero mi sono divertita, meravigliata, sentita viva. In cui ho riso, pianto, a volte corso un po’ troppo (non solo sul campo da calcio!), camminato scalza, cantato, accolto mani tra le mie. Tempo in cui ho amato, con le mie fragilità, le mie fatiche, aprendo il mio cuore sempre troppo piccolo.
E mi sento tanto fortunata, non lo dico perchè voglio farvi credere che sia tutto rosa, lo sento davvero. Anche nei giorni in cui qualcosa non va, fuori o dentro di me, in cui sono più stanca o triste, c’è SEMPRE un momento, una situazione, un gesto in cui il mio cuore trova pace ed è grato di essere amato, nella semplicità di quello che è. Ogni giorno.

i bambini fanno i compiti ad Ampasimanjeva

A volte è qualcosa di inaspettato, che stupisce.
Richard, un ragazzino ricoverato per due mesi all’ospedale a causa della
tubercolosi, che tornando per il controllo mensile mi porta un bellissimo braccialetto con sopra ricamato il mio nome, fatto da lui.
La Claire che smette di piangere e si calma guardando il vento che accarezza le foglie.
Bertrand che ti sorride a 32 gengive.
Piccole mani che si infilano tra le mie durante i bans.
Un uomo in taxi-brousse (una specie di pulmino per lunghe tratte) che mi mostra il suo villaggio sorridendo, felice di di poter rientrare a casa.
Un viaggio in moto, attraversando tanti villaggi, immersa tra il verde abbondante e vivo della natura, il rosso della terra, l’azzurro del cielo. Ogni cosa illuminata dalla calda e morbida luce del sole che ne risaltava i contorni.

Altre volte, invece, sono momenti che hanno richiesto tempo per essere preparati.

La nuova aula dei bambini dell'ospedale di Ampasimanjeva Ad inizio settembre abbiamo trasferito la piccola classe dell’ospedale in uno spazio più grande, un’ex struttura in legno utilizzata per progetti di RTM, ed è stata una grande gioia. E’ proprio bello che i bimbi finalmente abbiano ognuno il proprio posto a sedere, che nessuno sia rimandato a casa per mancanza di spazio, che aprendo le finestre tutto sia illuminato dai raggi del sole, che ci sia un ampio cortile dove poter correre e giocare liberamente.  Mi sento fortunata ogni volta che entro in classe ed i bimbi salutano urlando: “Akory Cristinà!”, mi sento fortunata ancora prima di sapere cosa imparerò in quelle ore.
E mi sento fortunata per l’incontro con i ragazzi del Campo estivo ad Agosto, per aver camminato assieme a loro, scoprendo passo dopo passo nuove sfumature del Madagascar e dei loro cuori.
E per il dono dell’Anna, che in quest’anno è stata una compagna di viaggio speciale e indispensabile.

le suore della Carità ad AmpasimanjevaAnche il tempo con le suore è molto prezioso. Mi insegnano come ogni giorno sia buono per donarsi agli altri, che siano i malati, i bimbi abbandonati, noi italiani, qualcuno che chiede un po’ di riso, un po’ di legna. E lo fanno davvero in totale umiltà, senza lamentarsi. Sono fortunata ad averle accanto.
Ed è bello vedere come questa famiglia della Casa della Carità si allarga sempre di più: il 14 ottobre a Tanà quattro ragazze giovanissime hanno preso i primi voti. E’ stata una grande emozione vederle indossare l’abito e il velo, felicissime, circondate dalla gioia contagiosa delle altre suore, degli ospiti, dei propri parenti venuti da villaggi lontani. Mi auguro davvero che questa gioia contagiosa le accompagni ogni giorno.

E auguro anche a voi di avere tempo per sentirvi fortunati. Nella semplicità delle piccole cose.
Vi auguro di fermarvi di fronte ad un arcobaleno, durante una passeggiata di lunedì pomeriggio, e sentire qualcuno che sussurra “Dio crea veramente cose belle”.

Un abbraccio forte,
Cris

Le attività pastorali di Pe Luis

Scrivo due righe per fare memoria di quanto visto e ascoltato.

 

 
Agosto qui in Brasile è il mese delle vocazioni.
Abbiamo fatto un ritiro con tutti i sacerdoti della diocesi, io sono uno dei più anziani. La diocesi di Ruy Barbosa, ha un vescovo belga Dom Andrè, e ha un clero giovane: sono 7 i sacerdoti ordinati negli ulti
mi 8 anni; di brasiliani che vengono da altre diocesi sono 4, di missionari ci siamo 2 spagnoli, 4 italiani e un belga. La vita consacrata è rappresentata da tre Francescani, più un monastero di Cistercensi.

I giovani sono con entusiasmo nei primi anni di sacerdozio, anche se devono affrontare problemi di come attuare il ministero in situazioni alle volte di difficoltà e anche il modello di Chiesa che si cerca di impostare non sempre è chiaro. C’è un modello classico delle CEB’S comunità di base ma anche quello più legato ai movimenti carismatici e devozionali; questo tipo di Chiesa è molto alimentato dalle televisioni cattoliche. Il seminario ha 8 giovani che si stanno preparando a diventare sacerdoti e nel propedeutico ci sono tre ragazzi in cammino.

La pastorale familiare nelle parrocchie dove funziona ha organizzato due celebrazioni di matrimoni comunitari; sono stati belle, erano stati preparati bene; anche qui le 6 spose, come succede in tutto il mondo, si sono fatte aspettare.

Da un punto di vista pastorale si vede il bisogno di dar valore alla famiglia e rafforzare il vincolo col sacramento in questo contesto culturale segnato da un grande individualismo e dalla mancanza di responsabilità nell’assumere totalmente il coniuge.

Evento importante nella diocesi un incontro con tema la catechesi, in Macajuba; una  bella partecipazione del popolo di Dio, animato dalla catechesi catecumenale che cerca di fare dei discepoli missionari di Gesù, un invito ai cristiani che sappiano portare la buona notizia del Vangelo nelle nostre piccole comunità.
Sono stato a celebrare in due comunità dove era tanto tempo che non si diceva la Messa; è stato bello vedere la volontà della gente di lodare, di ringraziare, di cantare di nuovo i canti che erano stati dimenticati.
 
 
 
 
Certo il radunarsi che è fare Chiesa, diventa indispensabile per continuare un cammino di ascolto della Parola di Dio che alimenta la nostra fede. 
 
Il primo di settembre si è ricordato il giorno della salvaguardia del creato, ho incontrato il cacique Juvenal, di una tribù de indios Payayà che vivono alla sorgente del rio Utinga; è stato bello vedere come cercano di vivere rispettando e coltivando la natura. Stanno cavando una pianta che cresce in riva alla sorgente, si chiama taboa, perché è come una sanguisuga per l’acqua che nasce.
 
Poi mi ha mostrato il lavoro che fanno in un vivaio per coltivare le piante native; un lavoro necessario per riforestare questa regione. Coltivano anche piante medicinale che vendono poi al mercato di Utinga.
A fine agosto si è avuta la notizia di una strage di una tribù di indios “Flecheiros” in Amazzonia, anche se non è stata confermata. Sono comunità isolate che vivono ancora in pieno contatto con la natura e andrebbero protette ma non ci sono soldi per gli organismi  federali Funai, che dovrebbero assisterli.
Sembra che siano stati “garimpeiros”, cercatori di oro, che hanno invaso il loro territorio.
 
Ho partecipato assieme alle suore che collaborano con noi in Utinga e Wagner ad un incontro dei religiosi in Salvador, si è parlato della cultura dell’incontro, come icona la visita di Maria ad Elisabetta, siamo stati accolti in un grande collegio salesiano, l’incontro svolto in un cinema teatro, ben partecipato e animato. Ha colpito la testimonianza di una suora della pastorale carceraria, con una bella presenza di vita coi prigionieri. Alla sera siamo stati accolti da una comunità di suore della Provvidenza, ci hanno offerto una bella ospitalità.
 
Ho partecipato anche ad una camminata a favore della vita per la prevenzione dei suicidi, è una campagna che tutti gli anni ci vede impegnati, per ridurre l’indice abbastanza alto di suicidi, specie negli adolescenti. Ansia, paura, stress, depressione, molte altre cause, si potrebbero attenuare o vincere col dialogo, con l’accompagnamento delle persone che vivono accanto.
 
Um abbraccio
Pe. Luis
 
La festa con Virginia e Federica e Don Stefano

Impressioni di settembre (dall’Albania)

Bentornati!
E ben torniamo a raccontarvi di questo mese che è passato. La vita di Gomsiqe non batte piano: al contrario della Premiata Forneria Marconi (da cui prendiamo il titolo di questo resoconto), la vita di questo settembre è stata forte ed intensa.

Anche perché abbiamo dovuto salutare metà dell’arca di Noè: il 7 è tornata a casa la Franci e il 14 l’ha seguita Don Stefano. A tutti e due un grazie di cuore per questa vita percorsa insieme; rrugë të mbarë, jetë të mirë dhe vazhdoni
mirë në Itali (= Buona strada, buona vita e continuate bene in Italia)!Anche se proprio vuota l’Arca non è rimasta, anzi: in questi 30 giorni una fauna variopinta ha sostenuto le missionarie rimaste. Prima Dodi ed Ermanno, poi una delegazione di reggiani (e di cremaschi) ed infine Don Pietro Adani e Tommaso Guatteri.

E ognuno di loro ci ha arricchito, alcuni con le risate, altri con la cucina e altri ancora aiutandoci a riordinare tutta casa (garage compreso!). Ogni ospite ha portato gioia, ma la vera bellezza è stata poter vivere insieme i momenti forti: il saluto alla Franci e a Don Stefano nelle varie parrocchie e l’accoglienza del nuovo Vescovo di Sapa, Simon Kulli (il 14). Ma siamo riusciti anche a fare un giretto a Krujë, in occasione del compleanno della Virgi.

 

 

Passati questi eventi, l’arca di Noè ha continuato a navigare cercando una quotidianità tutta nuova e che ancora si sta stabilizzando (ma quando mai a Gomsiqe ci sono cose stabili?!). Con l’aiuto di Vilma, nostra collaboratrice da ormai 3 anni, stiamo riprendendo le attività: abbiamo iniziato il lavoro con le donne (martedì e venerdì), il catechismo, gli incontri con gli adolescenti e sosteniamo 5 nostri ragazzi che vivono nel convitto dei salesiani di Scutari.

In tutto questo, la comunità di Gomsiqe si è traslocata a Vau-Dejes, sopra la casa di Carità: Suor Grazia e Suor Rita stanno scoprendo le doti culinarie delle Gomsiqiane mentre le ragazze dell’arca vivono con i piccoli! Meglio di così?

Un saluto a tutti!

Virgi e Fede, Fede e Virgi.

P.S: Se andate in Montenegro, prendetevi dei telefoni che funzionino. E una cartina.

 

 

P.P.S: Il pranzo del vicino è sempre più buono.

P.P.P.S: Siamo belle.

P.P.P.P.S: Bel tempo e mal tempo non dura tutto il tempo.

P.P.P.P.P.S: Cià.