Albania 2022 – Shqipëria

 

Scrivo queste righe ancora immersa nel turbine di emozioni e ricordi vivi che rimangono dopo i viaggi davvero speciali. E di momenti e persone speciali questa esperienza ne ha avuti davvero tanti! Ringrazio subito i compagni di viaggio che si sono occupati del libretto delle preghiere, riflessioni e appunti giornalieri e il don che ci ha chiesto di prenderci mezz’ora di stacco per fare il punto della situazione ogni giorno, perché mettere in ordine le idee con una base già scritta semplifica un bel po’ le cose in questo momento.

“Mos Keni Frik” era il nome del nostro gruppo su WhatsApp, siamo stati un gruppo eterogeneo che si è rivelato vincente e che ringrazio perché mi ha fatta sentire subito a casa aiutandomi di giorno in giorno ad aprire il mio guscio di tensione con cui ero partita.

“Non avere paura”. Come non averne, quando stavamo per lanciarci in un buco nero? È stata la fiducia e la nostra volontà di metterci in gioco che ci ha permesso di essere risucchiati dall’ignoto e venirne fuori ciascuno con il proprio seme di emozioni, nuove consapevolezze ed entusiasmo.

Una delle prime cose che ho pensato una volta arrivati a Laç è stata di essere un peso per la gente del posto: avevamo Lisa che ogni giorno, sempre con il sorriso, ci faceva trovare i pasti, a qualsiasi ora arrivassimo. Avevamo tempo e luoghi tranquilli per dedicarci a riflessione e preghiera, avevamo sempre con noi qualcuno che conosceva la lingua per farci da tramite con le persone che abbiamo incontrato e poi tante altre comodità. Non ci è stato fatto mancare nulla.

Nonostante il peso che portavamo fosse palese siamo stati testimoni di esempi di ACCOGLIENZA straordinaria e questa è una di quelle cose che non si dimenticano facilmente.

Abbiamo vissuto la ricchezza di sentirci stranieri, ma è stato fatto di tutto per non farci sentire tali, cosa che purtroppo gli albanesi che arrivano in Italia non credo possano dire spesso.

Siamo stati accolti da Suor Maria e suor Rita della CDC, dai gesti di affetto di Pashk, Fabian e Regjina, dalle suore dorotee, da Don Mark che subito ci ha mostrato la chiesa dedicata a Madre Teresa e per tutta la durata del Cres ha fatto in modo di coinvolgere tutti.

Ci siamo sentiti accolti dai sorrisi dei bambini con cui la comunicazione non verbale si è rivelata fondamentale, dagli animatori albanesi che ci sono venuti incontro, alcuni parlando inglese o facendo in modo di renderci continuamente partecipi nell’organizzazione di giochi e attività.

Un’accoglienza speciale ci è stata regalata da Dom Gasper Kolaj, parroco di Koman e viceparroco di Scutari, da cui siamo capitati senza preavviso e che senza pensarci due volte si è preso l’impegno di farci sedere in venti offrendoci merenda e Raki.

Siamo stati accolti dalle clarisse a Scutari che ci hanno parlato dei terribili anni del Regime in Albania, un periodo di storia recente che non è ancora scritto nei libri e che pochi al di fuori dell’Albania conoscono. Quello degli anni del regime, dei martiri e della fede di alcune famiglie che hanno continuato a pregare di nascosto sono stati temi che ci hanno accompagnato per tutta la durata del viaggio. In ogni chiesa in cui entravamo era sempre presente il ricordo dei 38 martiri.

Da tutte le persone che ci hanno aperto le loro case abbiamo ricevuto anche straordinari esempi di fede, oltre che di accoglienza. Questi incontri hanno anche acceso la nostra attenzione sulle ingiustizie e situazioni di estrema povertà nelle zone di montagna e, in generale, sulla situazione nel Nord Albania, come l’altissimo livello di corruzione, visibile dalla differenza di abitazioni costruite a distanza di qualche metro. Ville immense con giardini curatissimi affiancati a quattro mura incomplete dove passa troppo caldo d’estate e freddo d’inverno e mancano le principali comodità.

L’assenza di sindacati per i lavoratori e soprattutto lo sforzo praticamente inesistente da parte dello Stato per garantire qualche possibilità in più ai giovani fanno sì che l’Albania si stia spopolando velocemente e che dalle sue università escano giovani che hanno in programma di cercare futuro all’estero.

Molte situazioni sono poi legate a un fattore culturale: la donna non ha voce in capitolo e ha un ruolo passivo. Se la situazione economica di una famiglia non è buona è, a maggior ragione, la prima a pagarne le conseguenze: abbiamo incontrato lo sguardo di una ragazza che, appena finite le medie, ha pochissime possibilità di continuare gli studi; rischia di avere un futuro già scritto, legato alla casa e al marito che le verrà assegnato e di non poter decidere praticamente più niente del suo futuro.

Ho ancora impressa l’immagine dei suoi vecchi libri impilati sulla finestra senza vetri in bilico su un braciere spento pieno di cenere.

I motivi di tristezza e indignazione sono stati molti durante le nostre giornate e ci hanno aiutati ad aprire gli occhi e investito di una responsabilità importante. Ora che conosciamo non possiamo fare finta di niente.

Questi dieci giorni mi hanno insegnato a tenere a bada la fretta e capire che non c’è bisogno di affannarsi cercando di programmare tutto e incasellare le giornate con impegni, attività, incastri, perché spesso le cose migliori succedono con naturalezza se hai voglia di metterti in gioco e sei disposto a lasciare spazio e tempo agli altri.

Mi sono lasciata sorprendere ogni giorno. E che sorpresa è stata quando Eleonora si è offerta di prestarmi la sua macchina fotografica per immortalare qualche momento del Cres (grazie Mery per averglielo detto!), o quando una signora, la prima domenica, ha offerto dei cioccolatini a noi animatori, o quando mi sono resa conto che si può anche comunicare a gesti se hai un obiettivo comune.

Anche il fermarsi e riflettere sugli incontri e le azioni aiuta a dare valore e pienezza alla giornata. Riuscire a farlo tutti i giorni in un posto tranquillo è stato un bell’esercizio ed è una di quelle cose che cerco di fare anche adesso che sono a casa.

Per vivere al meglio l’esperienza del Cres è stato fondamentale buttarsi: con la lingua, cercando in ogni modo di farmi capire, nei balli di gruppo, perché anche se non sapevo tutti i passi alla perfezione mi sono comunque divertita un mondo.

In alcuni momenti ho dovuto portare pazienza e cercare di non rinchiudermi subito nel guscio se il primo approccio non andava come volevo o se alla mia domanda “Posso aiutare?” ricevevo risposta negativa. È stato sufficiente aspettare o insistere (cose che non sempre mi vengono bene) ed ecco che nell’altro si apriva uno spiraglio.

La cosa più bella però è stata non sentirsi mai sola, neanche per un attimo. E dai miei compagni di viaggio ho ricevuto incoraggiamento, confronto, ironia e tante altre cose che si possono chiamare amicizia.

Qualcuno nel momento di condivisione finale a Nënshat ha detto che questi dieci giorni sono stati la parte più semplice. In effetti siamo stati bene e ci è stata data l’opportunità di vedere, vivere e ricevere tanto… Tornata a casa porto ancora un po’ della gioia che ho provato. Con queste parole ho cercato di rendere almeno un poco l’idea di quello che ha significato per me questo viaggio. Ma la vera missione parte proprio da qui.

Se bashku….”Faleminderit Shqipëria!!!” (Grazie Albania!!!)