Racconti malgasci
Il 24 novembre è venuto a celebrare con noi don Simone Franceschini, membro della comunità sacerdotale Familiaris Consortio in missione in Madagascar da due anni. Ne abbiamo perciò approfittato per fargli qualche domanda e conoscerlo meglio.
- Quando hai deciso di diventare prete e perché? Avevi mai pensato di diventare missionario?
La mia vocazione e il mio desiderio per il sacerdozio si sono accesi nell’infanzia, nell’adolescenza e nella giovinezza, quindi a più riprese. Nel periodo dell’adolescenza il desiderio della vocazione era strettamente legato a quello della missione, grazie ai racconti di qualche missionario tra i frati che conoscevo, che frequentavano casa nostra o erano amici di famiglia. Quindi in realtà non è stata proprio una novità nel mio cammino vocazionale, ma aveva una radice in quel periodo.
- Dopo qualche anno di missione, puoi dire che sia come te la aspettavi o è qualcosa di diverso?

Immaginavo che ci fosse una certa distanza tra l’umanità malgascia, l’umanità africana – ma malgascio è diverso da africano, malgascio è più giusto – e noi; cosa che è vera, tuttavia ho riscontrato meno distanza rispetto a quanto credevo all’inizio. Quando vedo i bambini, vedo che in fondo non sono diversi dai nostri bambini. Quando vedo i giovani e vedo come si atteggiano con gli altri giovani (adesso arrivano e si stanno diffondendo anche i cellulari), mi accorgo che i loro atteggiamenti sono veramente simili a quelli dei nostri ragazzi. Quindi, in definitiva, posso proprio dire che è tutto un altro mondo, ma che c’è davvero qualche cosa che accomuna l’uomo di ogni latitudine.
- Qual è la cosa che ti colpisce di più del Madagascar?
Rimanendo sul piano dell’umanità, sono molto colpito da una cosa, sia da un punto di vista positivo che negativo, ovvero dalla capacità di sopportazione dei malgasci. Capacità di sopportazione della loro situazione, di vivere, di resistere in certe condizioni davvero dure, estreme e difficili ma, dall’altra parte, in senso negativo, come un’altra faccia della medaglia, la loro incapacità di cambiare le cose, il loro accettarle comunque, non però nel senso di un’accettazione positiva.
- Se dovessi fare un confronto tra l’esperienza di fede qui e in Madagascar, cosa sottolineeresti?
Le fede in Madagascar, rispetto alla fede qui in Italia, è più giovane, meno radicata, a confronto con la nostra di antica tradizione. Al tempo stesso l’esperienza di fede in Madagascar è molto gioiosa e c’è un grande senso religioso in tutto il popolo, mentre da noi c’è chi crede, ma anche chi non crede o chi vive come se Dio non esistesse affatto. Il senso religioso in Madagascar è molto profondo.
- Qual è stato l’insegnamento più grande che hai ricevuto dall’esperienza in Madagascar?
Riporto un episodio perché può essere significativo per capire quello che è il popolo malgascio, anche se è semplicemente un episodio concreto.
Nei primi mesi dopo il nostro arrivo
a Manakara abitavamo distanti dalla parrocchia, in una fattoria che è di proprietà della nostra diocesi, gestita e guidata da un volontario italiano, Luciano Lanzoni (era il posto dove aveva abitato già don Giovanni prima di noi). Per arrivare qui si fa un pezzo di strada sterrata in mezzo alla foresta. C’è un ponte basso in cemento che passa sopra a un rigagnolo, a un piccolo fiumiciattolo dove a volte ci fanno anche il bagno. Quando piove molto il ponte può venire sommerso dall’acqua.
Un giorno, in cui era veramente piovuto molto, noi ci eravamo recati in parrocchia e siamo tornati alla fattoria per dormire. Quando siamo arrivati, l’acqua sopra il ponte era molto alta, circa un metro, e non potevamo passare con la macchina: l’acqua ti arrivava alla vita. Quindi abbiamo lasciato la macchina dall’altra parte e ci siamo avvicinati per attraversarlo a guado. Prima è andato don Luca, che è più ‘piazzato’ di me e poi sono partito anch’io. Sull’altra sponda c’erano alcuni malgasci che abitano vicino a casa nostra e che ci stavano guardando; una signora ha preso un bastone lungo, è venuta in mezzo all’acqua per allungarci questo bastone … ci è venuta a prendere, in pratica! Così, dato che l’acqua era torbida e non si vedeva il fondo, seguendo i suoi passi e tenendoci stretti al bastone, non abbiamo corso il rischio di essere travolti dalla corrente, sapendo dove mettere i piedi, nonostante non si vedesse il ponte del tutto sommerso. Questo è stato davvero un grande gesto di aiuto, di carità, perché lei per entrare si è dovuta bagnare tutta, fino a oltre la vita. Noi ritornavamo a casa nostra, non avevamo problemi ad avere vestiti asciutti, ma lei, non lo so: abitava in una capanna nei paraggi e non so se fosse così semplice per lei avere vestiti di ricambio o un posto dentro casa dove poter asciugare quelli bagnati. Questo è un gesto che ho apprezzato davvero tanto e che dice molto dell’accoglienza dei malgasci nei nostri confronti.
- … e la delusione più grande che hai avuto?
In realtà è una cosa che fa sorridere, anche se subito ci sono rimasto un po’ male. Tra le varie case dei volontari ce n’è una nella città di Ambustra, sulle montagne, e qui ci vive un custode e, siccome spesso passiamo di lì, lo conosciamo bene, anche perché avevamo abitato lì all’inizio della nostra permanenza. Qui c’è un pezzo di terra che lui coltiva, terra per le esigenze nostre, così che una volta gli avevo fatto avere dei semi di zucca che mi aveva mandato mio fratello dall’Italia: zucca violino e zucca cappello di prete, entrambi i tipi, che gli ho dato da seminare. Quando è stata l’ora del raccolto, la zucca che mi ha consegnato, e che gli ho visto tagliare dalla pianta, era una zucca di tutt’altro tipo, di quelle che crescono a migliaia in Madagascar, una zucca tipicamente malgascia. Lui, però, sosteneva che fosse la zucca nata dai semi delle buste che gli avevo dato io e questo mi ha fatto un po’ sorridere, e un po’ mi ha deluso. Non ho indagato su cosa fosse successo o su come mai quei semi si fossero misteriosamente trasformati in una zucca d’altro tipo. A distanza di mesi ci rido veramente sopra, non è così importante, però anche questo dice un po’ della onestà non sempre così ‘precisa’ dei malgasci.
- Raccontaci un episodio, che ti è rimasto impresso, di cui sei stato testimone o protagonista in Madagascar.
Questo è stato un episodio che mi ha dato molta gioia il giorno in cui è capitato. In parrocchia da noi c’è una signora cieca che ha tre bambini e vive con la madre. Fin dalla sua infanzia aveva problemi di vista, ma poi è diventata totalmente cieca in seguito ai colpi, alle botte ricevute dal suo uomo. Durante la sua terza gravidanza, finalmente quest’uomo è stato denunciato e non si è più rivisto, se non sbaglio. È comunque una signora sempre molto gioiosa, che non si lamenta; chiede, perché ha effettivamente bisogno, ma è sempre piuttosto allegra. Mi capita di scherzare con lei quando la incontro accompagnata per mano dai suoi due bambini più grandicelli, la bimba di quattro anni e quello più grande di circa sette o otto anni. Be’, un giorno le ho chiesto: “Juliettine – così si chiama – secondo te io come sono?”, pensando che mi avrebbe dato una descrizione fisica del mio aspetto, come se lo immaginava, perché ero curioso di saperlo. E lei mi ha risposto: “Secondo me, tu sei una persona felice.” Ecco, è stata una cosa che mi ha rallegrato molto in quel giorno, e soprattutto mi ha aiutato a prendere coscienza della reale felicità e gioia di cui godo e che il Signore mi ha donato.
- Cosa possiamo fare per partecipare da qui alla vostra missione?
Secondo me la cosa più bella che potete fare è pregare per sostenerci: punto primo.
Punto secondo: la vostra testimonianza di vita cristiana. Noi come missionari annunceremo il Vangelo con forza se sappiamo che il Vangelo ha cambiato e rende bella la vita delle persone. Se possiamo vedere che effettivamente il Vangelo rende bella la vita delle persone, quando siamo chiamati ad annunciarlo, lo facciamo con la consapevolezza che è una cosa che cambia la vita degli uomini. E questo ci fa trovare la forza di non smettere. Se invece vedessimo che qui tra di voi il Vangelo non ha modificato la vostra vita, è insignificante, allora anche noi perdiamo la forza nell’annunciarlo.
Poi, terza cosa: ‘per partecipare da qui….’ però magari ogni tanto sarebbe bello che veniste anche là a vedere, a conoscere, a condividere! Perché credo che non si torni a casa indifferenti.
Don Simone Franceschini
L’articolo qui sopra è ripreso dal giornalino dell’unità pastorale Giovanni Paolo II

Partecipate e ricche di significato le celebrazioni pasquali.. pensate che la Messa nella veglia di Pasqua è stata la celebrazione più lunga che abbia mai presieduto, quasi 3h e mezza nella quale però ho donato il Battesimo a parecchi adulti. Infine la festa della parrocchia, domenica scorsa nella festa della Divina Misericordia, quando abbiamo fatto festa tutti assieme e benedetto il nuovo campanile che ci è stato donato da alcuni amici di Confartigianato e su cui abbiamo posizionato la campana donataci dalla parrocchia di San Martino in Rio. Colgo l’occasione per ringraziare le scuole cattoliche di Sant’Ilario e Sant’Antonino per l’abbondante quantità di materiale scolastico che ci hanno inviato, l’associazione Bambini Insieme di Pievepelago per gli indumenti, i vari singoli che ci hanno fatto alcune donazioni.. le cose più urgenti che ci restano da fare nel prossimo periodo sono la costruzione di alcune cappelle in campagna per ospitare i cristiani nella preghiera o nella messa della domenica, oppure la sistemazione dei locali parrocchiali e l’apertura del nuovo oratorio, infine la casa dei sacerdoti e dei volontari, un progetto ambizioso che vorremmo realizzare al più presto. Tutte queste cose riusciremo a realizzarle con il vostro aiuto e quando il Signore vorrà; per ora non possiamo che rendere grazie di tutti i mezzi che sono stati messi a nostra disposizione, attraverso i quali cerchiamo di fare del bene a questa gente, testimoniando il Vangelo, anche se mi accorgo di quante cose belle ci insegnano i parrocchiani.. un autentico arricchimento reciproco, un incontro proficuo, credo necessario, tra le nostre due Chiese che ci vede come mediatori.
Sapete una cosa bella che mi sento di confidarvi? Voglio davvero bene a queste persone, e sono contento di essere al loro servizio come sacerdote! A volte mi sento in imbarazzo per la grande considerazione che hanno per il ministero sacerdotale, per la riconoscenza che dimostrano per la scelta che abbiamo fatto e per la disponibilità ad essere con loro durante questi anni. Non entro nei dettagli ma lo si nota nel modo con cui ascoltano ciò che hai da dire, con cui ti invitano a casa loro, per i privilegi che ti accordano, che vanno dalla pietanza migliore al giaciglio più comodo, alle domande frequenti del tipo: “mompera (don), ti porto lo zaino?”, oppure “mompera, se hai sete vado a cercare dell’acqua potabile” e ancora “mompera, tu non puoi sederti per terra come noi…eccoti una sedia!”… Questo atteggiamento da parte dei cristiani mi fa spesso vergognare ma mi aiuta inevitabilmente a interrogarmi su quanto sia preziosa la vocazione che ho ricevuto, sul fatto che occorre serietà, impegno, preghiera, per essere all’altezza delle aspettative della gente. È molto bello sentirsi voluti bene e apprezzati, ciò mi invita a non risparmiarmi troppo, a continuare nello studio della lingua malgascia che ancora mi fa tribolare, a pregare perché Dio mi doni la fede necessaria per desiderare di realizzare ciò che è suo volontà piuttosto che le mie convinzioni e le mie abitudini. Un piccolo consiglio? Vogliate bene ai sacerdoti, onorateli, anche se a volte non se lo meritano, e ricordatevi che in questo modo prima ancora di onorare un uomo specifico, onorate Dio che è dal prete rappresentato e aiutate il prete stesso a ricordarsi la sorgente e il fine di tutta la sua vita.
recentemente il Madagascar ha salutato don Giovanni Ruozi per gli anni di servizio condiviso con i missionari e con il popolo malgascio; gli confermiamo il nostro affetto e la nostra riconoscenza per la sua presenza davvero significativa nell’isola. Sarà un compito importante, per noi qui a Reggio, condividere, riflettere e saper trasferire in concretezza la ricchezza umana e spirituale che don Giovanni ha maturato nell’esperienza missionaria.
Preghiamo insieme per continuare ad essere una Chiesa “in stato di missione”, soprattutto quest’anno in cui riceviamo un dono: il Signore ci affida la responsabilità di servire la diocesi di Alto Solimões in Brasile- Amazzonia. Preghiamo per questo nuovo progetto che la nostra chiesa sta iniziando a vivere: don Paolo Cugini, don Gabriele Carlotti e don Gabriele Burani si recheranno in gennaio a Manaus, al corso di preparazione in vista di una loro permanenza in Amazzonia. Il 31 marzo 2019 avremo il piacere di ospitare al Convegno Missionario Diocesano il vescovo della diocesi dell’Alto Solimões, don Adolfo Zon Pereira. Sarà con noi anche il nostro vescovo Massimo. Ci metteremo in ascolto del vescovo Adolfo che ci aiuterà a conoscere la sua chiesa. Rendiamo grazie al Signore e riconosciamo che questo incontro confermerà il nostro cammino che prosegue e si allarga nella chiesa brasiliana.
Esprimo ancora tanta riconoscenza per sr Grazia rientrata dall’Albania, dopo questi anni vissuti con umiltà. Il segno è stato chiaro: ha manifestato nella semplicità il suo amore quotidiano per i piccoli ed i poveri con la forza della sua gioia. Sr Maria Angelica continua oggi ad abitare in casa con sr Rita; la loro presenza ci ricorda il legame con questo popolo giovane e allo stesso tempo adulto nella fede. Dono per noi tutti è stata la disponibilità di don Marco Lucenti, novello sacerdote, verso la nostra missione in Albania; la sua presenza, insieme al seminarista Paolo Lusvardi, nella diocesi di Sapa, è stata un prezioso segno di prossimità verso questa nostra chiesa sorella.
una colletta alcune settimane fa per la chiesa del Kerala, al fine di sostenere concretamente l’aiuto alle famiglie nelle più urgenti necessità. Nella vita si intrecciano sempre sacrificio e frutto, morte e vita, smarrimento, angoscia e gioia. Così anche in India ci sono quattro ragazze in noviziato e due sorelle faranno la professione perpetua in Nagaland domenica 9 dicembre. Ringraziamo insieme il Signore e uniamoci nella preghiera per questi doni alla Chiesa. Sr Annamaria sta maturando i saluti per prepararsi a rientrare in Italia; passaggi delicati proprio per i legami che nel tempo si creano. Sono passati vent’anni dalla sua partenza verso la missione in India; quando sono stato in visita presso la Casa, il dono della sua presenza tra gli ospiti, le sorelle e la comunità parrocchiale si coglieva con grande evidenza.
Infine, come avrete saputo dal web, il nostro ufficio del CMD si è trasferito in curia insieme agli altri uffici pastorali e alla Caritas. I lavori di ristrutturazione hanno creato un ambiente di lavoro piacevole e dinamico; ora ci troviamo nell’opportunità di condividere i nostri progetti con gli altri uffici, di scambiarci sia idee che risorse.
ll tempo di Avvento orienti la nostra azione missionaria. Sì, attendiamo Lui, Gesù Cristo Salvatore. Quest’attesa animi il nostro desiderio di non farci catturare dall’attivismo, ma ci porti al silenzio personale dentro il quale comprendiamo il senso del nostro essere qui dove siamo e di come “stare”, mettendoci in ascolto della Sua Parola. Nel silenzio personale meditiamo gli avvenimenti che ci accadono, portiamoli nell’orazione silenziosa, per comprenderli, per cogliere significati, per purificarli.
Poi “strade” (se si possono definire così) dove incrociamo taxi-brousse (pulmini stipati di persone e merci e animali fino all’inverosimile), carretti trainati da zebù, bambini, bambini, bambini… Un proverbio malgascio (ce ne sono tantissimi colmi di sapienza popolare) dice che “la vita è miele (quindi dolcissima) e aloe (quindi amarissima)” e rende veramente l’idea dei contrasti e delle contraddizioni di questa terra malgascia: da una parte le bellezze dell’Isola, forse la più bella del mondo: i primi navigatori che approdarono sulla costa del Nord a Nosy-be pensavano di essersi trovati in Paradiso, dall’esplosione della natura, uno scrigno rimasto intatto per 160 milioni di anni daquando si staccò dal Gondwana, con una flora e una fauna uniche al mondo, poi la bellezza degli abitanti nella pratica dell’ospitalità, dell’accoglienza, della dolcezza, gli sguardi, le strette di mano, i gesti di benevolenza, i volti, i sorrisi di tutti, in particolare dei bambini (credo che fra le decine di viaggi che ho fatto per il mondo, questi siano i sorrisi più radiosi, splendenti, contagiosi che abbia mai visto).
E noi occidentali troppo abituati alle comodità, ai comfort, al benessere, restiamo destabilizzati davanti ai mille inconvenienti del viaggio, e percorrendo la strada RN7, l’unica asfaltata (si fa per dire!) del paese, naturalmente non possiamo evitare alluvioni in questa stagione delle piogge che distruggono ponti, creano voragini e costringono a deviazioni, così se in un posto manca l’acqua si è costretti a fare la doccia con il secchio, oppure viene meno la luce o si resta a piedi con il pulmino, tutte cose che ci sono successe.