Martiri cioè testimoni
Sono le 19.30 di mercoledì 24 marzo quando nella chiesa di Sant’Agostino a Reggio Emilia risuonano colpi di martello. Lo impugna un parrocchiano che colpisce energicamente dei chiodi per attaccarli ad una croce. I colpi sono intervallati dalla lettura dei nomi dei diciannove operatori pastorali di tutto il mondo uccisi nel 2020 a causa della loro fede: sacerdoti, suore e laici. Siamo a metà della Messa che in diocesi ha chiuso la Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri. “Vite intrecciate” è il titolo scelto per promuovere la Celebrazione presieduta da monsignor Alberto Nicelli, Vicario generale. La storia del cristianesimo è costellata dalla testimonianza di tanti martiri che hanno donato la loro vita in nome del Vangelo. Tra i martiri dell’era moderna il pensiero corre subito a sant’Oscar Romero, arci vescovo di San Salvador, colpito a morte da un sicario il 24 marzo 1980 per aver denunciato la violenza della dittatura militare che soggiogava il suo paese. In sua memoria, ventinove anni fa, fu istituita questa Giornata di preghiera. E l’immagine del vescovo salvadoregno è ben visibile, da alcuni giorni, al centro del mega ostensorio che si staglia imponente in fondo alla chiesa.
Nei primi banchi dell’assemblea siedono quattro donne. Sono Marinella Tognetti, Annamaria Borghi, Giada Tirelli e Sara Cassanelli, che partiranno a nome di tutta la Chiesa, in maggio, per la Casa della Carità di Ruy Barbosa in Brasile (la prima) e per la missione diocesana in Madagascar. Per il Madagascar partirà anche Camilla Lugli, la quale non ha potuto partecipare alla Messa impedita da un tampone positivo al Covid-19.
Un abbraccio «a distanza»
Sono rimasto colpito dalla lettura dei profili dei missionari morti lo scorso anno, afferma monsignor Alberto Nicelli durante l’omelia della Messa, commentando il vangelo del Buon Samaritano. Se leggiamo con attenzione le storie di questi martiri notiamo che “dopo l’ascolto della Parola sono caratterizzati dal fare Misericordia e credo che questo fare Misericordia abbia mosso anche il cuore delle nostre sorelle che si preparano a partire per il Madagascar e per il Brasile per rispondere alla chiamata del Signore che ci chiede nella nostra vita di essere ascoltatori di Lui, ma anche di essere persone attente all’uomo di oggi”. Al termine del mandato missionario, dopo aver benedetto le donne in partenza e aver consegnato loro una croce, don Alberto non potendo abbracciarle a nome della Chiesa, ha suscitato l’applauso dell’assemblea.
Rumore fastidioso
Il rumore del martello che pianta i chiodi durante la lettura dei nomi dei martiri è stato fastidioso, ha detto don Pietro Adani, direttore del Centro Missionario e vicario episcopale per il coordinamento degli uffi ci pastorali introducendo, al termine della Celebrazione, la testimonianza delle donne in partenza. Il fastidio “era un po’ il messaggio che si voleva dare. La missione che le nostre amiche oggi ci ricordano è la chiamata di tutti i battezzati: ciascuno di noi è chiamato non a piantare chiodi ma a toglierli, a guarire le ferite con la propria vita con una prossimità reale come il Vangelo ci ha insegnato”. Ha poi sottolineato che le cinque persone in partenza appartengono a tre diocesi diverse: Carpi, Modena e Reggio Emilia. “È bello che la missione non abbia confini ma generi una fraternità tra Chiese, non è così scontato”, ha detto. Marinella Tognetti nel suo intervento ha spiegato la genesi della sua scelta missionaria, ricordando don Mario Prandi, padre Remo Ferrari e le Piccole Figlie di San Francesco d’Assisi. “Mi piace pensare che lo Spirito, come dice san Marco nel suo vangelo, mi ha sospinto con determinazione e tanta pazienza nonostante tutte le mie digressioni”. “Spero di avere degli occhi grandi e un cuore aperto per riuscire a camminare con le persone che incontrerò. Per questo chiedo a voi la vostra preghiera”, ha concluso. “Vorrei ringraziare il Signore perché questa partenza è un regalo che viene fatto a noi”, ha esordito Anna Maria Borghi. “Della gloria di Dio è piena la terra e noi abbiamo l’opportunità di andare a contemplare la gloria di Dio anche dall’altra parte del mondo, in una società così diversa dalla nostra”.
Il Dio del centuplo
Giada Tirelli, nel ripercorrere i semi che Dio ha posto nella sua vita (famiglia, amici, Case della Carità, i fratelli che vivono alle ex Officine Reggiane e i malati dell’ospedale dove lavora) ha individuato un minimo comune denominatore: “Un profondo senso di riconoscenza per come da povera che sono, il Signore ha trovato modi a me vicini per dispensare a piene mani la sua misericordia. E grazie anche a chi, docile, si è fatto strumento del Suo amore. Se questa è la premessa non posso che partire affidandomi totalmente al Dio del centuplo mettendo in gioco la mia persona, curiosa di come nella sua fantasia sceglierà di continuare a parlare alla mia vita e a mostrarmi il suo volto”.
“Non ho mai sentito di poter rimanere indifferente all’invito di Gesù – ha detto Sara Cassanelli – che con semplicità ci insegna che ‘gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date’. Pertanto è da tempo che cresce in me l’esigenza e la necessità di intraprendere questa esperienza missionaria per poter donare agli altri, senza riserve, me stessa, il mio tempo e la mia vita con gratuità e gioia”.
Emanuele Borghi
Articolo pubblicato su la Libertà del 31 marzo 2021