L’economia e il lavoro al servizio dell’uomo

 

 

Don Simone Franceschini è sacerdote fidei donum della diocesi di Reggio Emilia, in Madagascar dal novembre 2017, insieme a don Luca Fornaciari, entrambi della comunità sacerdotale Familiaris Consortio .

Responsabile dell’equipe missionaria e viceparroco della parrocchia Gesù Misericordioso a Manakara, sulla costa sud-orientale dell’isola, attualmente segue i lavori di completamento della chiesa parrocchiale e della casa dei sacerdoti e si occupa del centro d’ascolto della Caritas parrocchiale. E’ anche referente sul territorio per l’equipe del Centro Missionario ed RTM che, dall’Italia, garantisce il funzionamento dell’ospedale di Ampasimanjeva. 

Oltre all’annuncio del Vangelo e alla collaborazione nelle opere pastorali, don Simone, si occupa anche di due piccole attività, avviate alcuni anni fa dal vescovo della diocesi di Farafangana: un laboratorio di produzione e vendita di marmellate e una libreria con materiale religioso. Attività nate con lo scopo di sostenere, in caso di proventi, il piccolo seminario diocesano; di dare un lavoro regolare alle persone del luogo; di dare impulso all’economia, con idee per incentivare la produzione locale; di vendere prodotti a prezzi accessibili a più gente possibile.

“Questa opera – spiega – vuole essere il segno di un’economia etica, perché offre un prezzo onesto ai piccoli produttori, anche pagando l’Iva per conto loro, garantisce una retribuzione ai dipendenti superiore al salario minimo previsto dalla legge, con assistenza sanitaria e contributi pensionistici. E’ un’opera di promozione umana e spirituale, che testimonia lo stare da cristiani nel mondo del lavoro”.


In Madagascar don Simone ha messo a frutto le sue origini contadine e si è dedicato con grande inventiva a cercare idee per aiutare lo sviluppo economico locale, a creare possibilità di impiego, incentivando l’agricoltura e l’allevamento, con attenzione alla promozione della dignità umana nel lavoro, nella formazione ed educazione.

Ha iniziato allevando nel cortile di casa alcune galline ovaiole ed un gallo, con l’obiettivo di vendere (o regalare all’occorrenza) nella bottega di marmellate, le uova fecondate, per permettere alle persone del luogo di avviare un piccolo allevamento famigliare. Presto arriverà anche un’incubatrice per potere vendere poi i pulcini ad un prezzo contenuto e quindi accessibile al maggior numero di contadini.

“Culturalmente non c’è questo tipo di spirito d’iniziativa. – spiega –. C’è una difficoltà a pensare al futuro, a risparmiare. Spesso quello che si ha viene consumato immediatamente, si vive alla giornata. A volte ci si scontra con scuse culturali, tipo: si è sempre fatto così. Gli anziani temono di perdere la loro autorità. Ci vuole tempo e pazienza, dimostrando con i fatti che si può ottenere qualcosa di meglio.”

Il distretto affidato a don Luca e don Simone si compone di una parrocchia cittadina e di otto chiese ‘figlie’ in campagna. La maggior parte della popolazione è povera, ma solidale. La comunità è vivace e sono diverse le  attività educative, sociali e caritative. L’aiuto viene dato nel bisogno concreto e materiale, ma si cerca sempre la collaborazione con i malgasci in una logica a lungo termine, insegnando un mestiere, dando loro una possibilità di sviluppo, di un lavoro dignitoso, con attenzione all’uomo non al profitto.  

In questa logica si muove anche l’azienda agricola S. François di Analabe (detta ‘ferme’, fattoria), a 9 km da Mankara, di proprietà della diocesi e gestita dal carpigiano Luciano Lanzoni, Servo della Chiesa, luogo in cui don Simone e don Luca hanno abitato per qualche tempo e dove si svolgono diverse attività pastorali. La ‘ferme’ produce spezie, miele, caffè, litchi, chinino e foraggio per gli animali presenti: alcune vacche da latte, conigli e galline. La fattoria offre alle persone del luogo, che non hanno nulla e si arrabattano come guardiani delle terre di proprietari benestanti, residenti in altre città dell’Isola, la possibilità di imparare un mestiere, di mettere da parte qualcosa per poi avviare una propria attività di coltivazione o allevamento. Inoltre dà la possibilità di reinserimento sociale ai pazienti dell’ospedale psichiatrico di Ambokala. Purtroppo non è ancora in grado di sostenersi autonomamente e, anche per questo, don Simone, cercando di arricchire l’offerta della ‘confiturerie’, limitata a marmellate, oli essenziali, miele e caffè, ha cominciato a vendere le uova della fattoria in negozio. 

Ha anche iniziato ad utilizzare il latte prodotto (circa 20-25 lt al giorno) per realizzare formaggi, yogurt e ricotta. 

Dopo avere provato a cagliare con aceto e limone, con risultati deludenti, tornato in Italia, nell’autunno del 2019, il sacerdote chiede qualche dritta ad un negozio specializzato di Scandiano (Taroni), e si procura un minimo di attrezzatura e di caglio, da portare al suo ritorno nell’Isola Rossa. 

Nel frattempo la diocesi ha ceduto il laboratorio di produzione delle marmellate, non più sostenibile economicamente. Resta solo il negozio, dove viene ricavata una zona dedicata alla produzione di latticini, attrezzata con acqua corrente, fornelli e un frigo per conservare i prodotti. Dopo alcune prove, don Simone trova la persona giusta a cui potere insegnare il lavoro, che viene regolarmente assunta. 

“Il vero sviluppo è aiutare all’auto sviluppo, evitando la dipendenza da aiuti esterni – spiega – In questo senso abbiamo cercato di avviare velocemente il laboratorio, con l’aiuto di benefattori, e fatto in modo che potesse sostenersi autonomamente.” 

I nuovi prodotti funzionano. Ora l’obiettivo è aumentare la produzione e realizzare anche un formaggio più stagionato. 

“La difficoltà sta nel trovare il latte. Quello prodotto dalla fattoria non è sufficiente e sul mercato locale è difficile trovarlo, perché nella zona non ci sono grandi allevamenti”. Per questo un altro obiettivo di don Simone è quello di aumentare la produzione di latte della ‘ferme’. E’ stata ordinata in Italia l’attrezzatura per la fecondazione artificiale delle vacche e selezionare una razza più produttiva, con l’aiuto di una persona che ha fatto un corso di formazione specifico in capitale. Nel container ci saranno anche una zangola e una scrematrice che permetteranno di ottenere panna e burro.

 “Ho già fatto produrre da un artigiano locale delle formelle in legno – racconta – come quelle che ho visto in un video tutorial, ma ho chiesto mettere al posto della stella alpina dell’Alto Adige, la ravinala, palma tipica del Madagascar.”

Le idee di don Simone per incentivare lo sviluppo e il lavoro locale non si fermano qui. 

Nel negozio verrà aperta una sala di degustazione e proposti prodotti come crepes, “visto che abbiamo il latte e le uova per produrle e miele e marmellate per farcirle”. Questo potrebbe dare lavoro a qualche altra persona, oltre alle 5 già impiegate nelle attività, più un portatore di handicap e un tirocinante, diverso  ogni sei mesi,  

Anche nella libreria, don Simone ha introdotto alcune novità: le ostie, prima acquistate lontano, ora vengono prodotte da una comunità locale di suore, con due macchine arrivate dall’Italia, così come il vino che arriva da una comunità di trappisti vicino a Fianarantsoa. 

Ma non finisce qui, dopo un lungo viaggio di 15 ore in auto, sono arrivate in parrocchia tre capre con tre cuccioli, per dare inizio ad un piccolo allevamento. Nella zona infatti non esiste la tradizione dell’allevamento di ovini e caprini, molto più diffusa invece sull’altipiano e soprattutto nelle zone aride ad ovest. “Questi investimenti sono possibili grazie a benefattori, ma poi devono sostenersi autonomamente, perché diventino segno di possibilità di sviluppo locale in senso etico e cristiano”.

Come sostenere queste attività dall’Italia? “Aiuterebbe un confronto, che permette di chiarirsi e fa nascere nuove idee. – conclude – Uno scambio con persone che hanno competenze in questo ambito; questo è il contributo che può arrivare dall’Italia, essere missionari e partecipi dell’iniziativa, anche da lontano. Poi una visita sul posto, quando sarà possibile, permetterebbe di arricchire il confronto.”       

Solange Baraldi

*Articolo scritto per e pubblicato su La Libertà del 20 gennaio 2021