In memoria di uno di noi e della sua scorta

 

Non è neppure un mese che sono in Congo, nel Kivu. Arrivata superando con fatica i problemi dati dal Covid.
Oggi [lunedì] torno da Ek’Abana, dalla mia missione con i bambini della quale devo ancora apprendere tutto. Vado in cucina per riempire la bottiglietta dell’acqua. JeanPaul mi ferma e mi chiede se il mio ambasciatore si chiama Luca Attanasio. Sì, perchè? Lo hanno ucciso nel Virunga….
Ho conosciuto l’ambasciatore sabato sera, nella casa madre dei padri saveriani.

Il saveriano che fa servizio come coordinatore degli italiani ci avverte, qualche giorno fa, che il nostro ambasciatore è disponibile ad incontrarci sabato pomeriggio perchè è di passaggio a Bukavu.
Ottima occasione per salutare tutti quelli che conosco in un colpo solo. Ci sono quasi tutti. C’è il console che è venuto con l’occorrente per sistemare i passaporti in scadenza e le patenti. In questo modo evita ai connazionali di recarsi a Kinshasa per le formalità, visto la distanza e il costo elevato del viaggio (la capitale è a più di 2000 km da qui).
L’ambasciatore arriva in ritardo a causa delle strade sconnesse; sono venuti da Goma in auto (170 km) e si sono fermati a visitare alcuni progetti. Con lui un italiano del PAM (organismo ONU, Programma Alimentare Mondiale) un giovane di una ONG ed un altro giovanotto, Vittorio, che ci presenta come la sua guardia del corpo.
Ci riuniamo, siamo una ventina, tutti missionari e missionarie. Ci scambiamo notizie sul covid, ci racconta delle sue bimbe, di sua moglie. Due chiacchiere su di noi. Vuole aprire un Consolato a Goma, per servirci meglio, ed è ottima cosa. Alcuni missionari approfittano della presenza del PAM per chiedere sostegno verso i più poveri, rifugiati interni.  Poi si mangia, ricco buffet italo-congolese, le suore saveriane hanno preparato le frappe (intrigoni, chiacchere) perchè per gli ambrosiani è l’ultimo giorno di carnevale. L’Italia è lontana.

Luca Attanasio è assolutamente informale, come con vecchi amici, in scarpe da ginnastica e maglietta, pacato, tranquillo e vivace insieme, allegro. Parla del Congo con amore, ascolta, si entusiasma per le cooperative di produttori di generi alimentari. Chiede notizie dei missionari che ricorda e non sono presenti. Siamo tutti in famiglia.

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Vittorio, giovane, in Congo da 5 mesi, fra un mese sarebbe tornato a casa. Molto soddisfatto della sua permanenza, toccato umanamente da questa terra eccessiva in tutto, compresa la bellezza, la violenza, il dolore e la voglia di vivere. Francesco gli racconta dei suoi progetti idraulici, Vittorio si appassiona. Io gli auguro di tornare, il Congo è un enorme magnifico paese, luoghi e gente da incontrare. Il Kivu, con tutti i suoi strascichi di guerra e nonostante le sue difficoltà, è una terra in cui fermarsi. Torno a casa soddisfatta della serata.

Oggi questa notizia, che presto sarà Storia. E ora, mentre guardo il panorama del lago Kivu ed è sera, le nuvole si addensano (siam sull’equatore e alle 18 arrivano le tenebre, siamo nella stagione delle piogge, piove quasi tutte le notti), la città rumoreggia per il traffico serale e io penso.
Ai bambini di qui, troppo spesso vittime innocenti, e alle bimbe che non rivedranno il loro papà.

Tante domande senza risposta. Non so cosa sia successo, so che dobbiamo rispettare la complessità, non fingerci esperti dai divani italiani. Informiamoci, senza cercare scorciatoie. Il nostro ambasciatore girava tutto il Congo e si accostava a tutti, anche ai bimbi di strada di Kinshasa. Voleva capire ed agire per il bene comune. Era venuto anche da noi, alcuni anni fa, in visita alle bambine del progetto Ek’Abana. Stava verificando alcuni progetti del PAM. Era un diplomatico e uno di noi. Che la sua morte, quella di Vittorio, quella dell’autista Mustapha, non sia inutile. Non dimentichiamo il Congo tra quindici giorni.

Donata
Ps Han scritto che sembra io stia bene. Sto bene. Solo un dolore profondo, qualche inquietudine e gli amici congolesi che mi fanno le condoglianze.

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