Diario di Viaggio dal Rwanda (dicembre 2018/gennaio 2019) – don Pietro Adani
Sabato 29 dicembre
Comincia un nuovo viaggio missionario. Accompagno il vescovo Massimo in Rwanda, nella diocesi di Kibungo, nell’unica missione reggiana che egli non ha ancora visitato. Anche per me è la prima volta nel cuore dell’Africa. Viaggiano con noi il segretario del vescovo, don Patrick Valena, e don Luca Montini, un sacerdote della Fraternità San Carlo missionario a Nairobi, in Kenya, che ci ha voluti accompagnare.
Due sono i motivi che legano la nostra Chiesa alla diocesi di Kibungo. Innanzitutto le opere nate nel villaggio di Munyaga da padre Tiziano Guglielmi (padre bianco missionario in Rwanda, morto qui nel 1980 a causa di un incidente aereo). In secondo luogo le Case Amahoro (questa parola in kinyarwanda, la lingua del Paese, significa pace), nate da don Luigi Guglielmi, fratello di Tiziano e sacerdote della nostra diocesi, scomparso nel 1996.
Le case Amahoro vivono la stessa spiritualità delle Case della Carità che ben conosciamo.
Atterriamo all’aeroporto di Kigali in serata. Ci attendono Claudio Fantini, responsabile del Gruppo Rwanda “Padre Tiziano”; Maurizia Barbieri e Valentino Righi, volontari da molti anni impegnati nel progetto Case Amahoro; e Massimo, Gabriele, Matteo e Francesco, quattro ragazzi reggiani che trascorrono qui qualche giorno per lavorare con Claudio a Munyaga. Insieme a loro c’è padre Viateur Bizimana, sacerdote della diocesi di Kibungo e responsabile delle Case Amahoro. Il suo è un volto noto a Reggio Emilia: più volte ha trascorso dei periodi nella nostra città per conoscere da vicino l’esperienza delle Case della Carità e assimilarne la vita. Inizialmente il suo riferimento era proprio don Luigi Guglielmi, in seguito don Romano Zanni. Padre Viateur nel tempo è entrato in rapporto con molti sacerdoti della nostra diocesi.
In auto ci dirigiamo subito a Kibungo, capoluogo del distretto di Ngoma, nella Provincia Orientale del Rwanda. Le strade di Kigali, così come le strade principali della provincia, sono pulite, ben fatte e molto ordinate. Negli ultimi vent’anni il Rwanda, pur rimanendo uno dei paesi più poveri del mondo, ha conosciuto un forte sviluppo e qui è stata messa in atto una forte opera di modernizzazione e di ristrutturazione di tutte le strutture pubbliche. “Le persone non hanno paura di camminare da sole sulle strade anche nel cuore della notte”, ci dice padre Viateur, “si sentono molto sicure. Non c’è criminalità: il presidente governa tutto con forza ed efficacia”. Durante il viaggio il nostro accompagnatore ci racconta a lungo del genocidio dei Tutsi, avvenuto nel 1994, quando egli era un giovane parroco. Ne è stato testimone. Il genocidio del Rwanda è uno degli eventi più tragici della storia del XX secolo: nel giro di pochi mesi furono uccise quasi un milione di persone. La memoria di questi tragici avvenimenti è molto viva nel cuore di tutti, alcune ferite non sono ancora rimarginate.
Dopo due ore di viaggio eccoci a Kibungo. Ci accoglie il vescovo Monsignor Antoine Kambanda. Egli il 19 novembre scorso è stato nominato arcivescovo di Kigali. Queste sono le ultime settimane della sua permanenza a Kibungo, diocesi che ha retto dal 2013 e di cui resterà comunque amministratore apostolico nei prossimi tempi. Ha sessant’anni e da subito si dimostra molto cordiale nei nostri confronti. È felice di poterci incontrare e ospitare. Negli anni del suo episcopato ha fatto erigere la cattedrale e ha istituito sette nuove parrocchie. La diocesi è stata fondata solamente nel 1968, cinquant’anni fa. Monsignor Antoine ha soprattutto ravvivato la fede nel clero e nelle persone: così dicono di lui i suoi sacerdoti. Prima del suo arrivo la diocesi era rimasta per ben quattro anni senza il vescovo. I cattolici, circa 360.000, sono poco più del 30% della popolazione. Il vescovo sostiene le Case Amahoro e fa molto per aiutare le loro opere. Ci dice subito che esse hanno comunque grande bisogno di sostegno e di volontari dall’Italia.
Domenica 30 dicembre, festa della Sacra Famiglia
È la festa della Famiglia. Più di duemila persone affollano la cattedrale. La cerimonia, che dura quasi quattro ore, è animata da lunghi e bellissimi canti liturgici rwandesi, danze eseguite da un gruppo di bambini ai piedi dell’altare e da altre danze liturgiche cui si uniscono tutti i fedeli. Concelebriamo con il vescovo Antoine. Nella sua omelia egli invita le famiglie a crescere nella fede e ad essere autenticamente cristiane. Parla a lungo, con grande franchezza e libertà, presentando al suo popolo il Magistero della Chiesa. Parla della famiglia come luogo primario di educazione alla fede, ma affronta anche temi più delicati, come la necessità del rifiuto della mentalità contraccettiva, la strada dei metodi naturali. Al termine della messa il vescovo Massimo prende la parola, ringraziando “per i canti e per le danze, sobrie, gioiose e ordinate, espressione di una fede sincera e autentica. I popoli africani hanno il dono di saper manifestare visibilmente ciò che riempie il loro cuore”. All’uscita dalla cattedrale in molti si avvicinano a noi, salutandoci e chiedendoci la benedizione.
Dopo il pranzo in vescovado, partiamo per il villaggio di Bare, a circa mezz’ora di macchina da Kibungo. Qui sorge una delle tre Case Amahoro, l’ultima in ordine cronologico, inaugurata nel 2005. Si tratta di un luogo molto amato dalle persone. L’edificio è stato costruito dai parrocchiani. Sono stati loro a dissodare il terreno per cominciare la costruzione dell’edificio. Solo in seguito sono giunti degli aiuti economici. Attualmente vivono qui 14 ospiti di varie età, con disabilità fisiche e mentali in certi casi anche molto gravi.
Siamo accolti in una grande sala da canti festosi e danze al ritmo dei tamburi. Ci offrono subito delle bibite. Poi prende la parola Mediatrice, la responsabile della casa. Ella comincia il suo discorso dicendoci: “In questi ospiti malati Gesù è presente”. Mediatrice si occupa degli ospiti insieme ad altre tre ragazze. Oltre a loro, ogni settimana si alternano dei volontari che provengono dalle Centrali (la Centrale è una porzione di parrocchia, ben strutturata e organizzata, con un proprio consiglio e propri catechisti, che riceve regolarmente la visita di un sacerdote per la celebrazione dei sacramenti). Sono 80 le persone che vengono a turno per prestare servizio agli ospiti e per lavorare il terreno circostante. Importante è anche il contributo dei volontari italiani che periodicamente vengono a prestare il loro servizio qui. Essi sono “occhi nuovi che vedono ciò che noi facciamo fatica a vedere”, dice Mediatrice. Forte è la collaborazione anche con i sacerdoti, in particolare con il parroco. Tutto avviene “nello spirito della preghiera”. Preghiera e lavoro (nel quale vengono coinvolti anche gli ospiti) scandiscono la regola secondo cui si vive ogni giornata. Il giovedì è un giorno speciale: al mattino viene celebrata la messa in casa e poi si comincia l’adorazione eucaristica, che dura fino alle ore 18. Le dimensioni di questa casa Amahoro non sono molto grandi. Tante sono le persone che vorrebbero venire ad abitarvi. Mediatrice e il parroco devono scegliere coloro che hanno più bisogno.
Il vescovo Massimo chiede a Mediatrice come venga intesa e vissuta in questa casa la “spiritualità delle tre mense” di don Mario Prandi. Ella risponde: “La Parola, l’Eucaristia e i poveri sono la presenza di Dio. Ascoltando la Parola, accostandomi all’Eucaristia e servendo i poveri aiuto me stessa spiritualmente”. Aggiunge poi: “Il servizio ai poveri è fonte di gioia”.
Mediatrice ha cominciato il suo servizio nel 1995 a Mukarange con don Luigi. Nel 2015 si è spostata qui. Ella è la responsabile di tutte le ragazze che sostengono la vita delle case Amahoro: oltre alle tre che vivono con lei a Bare, altre tre si trovano a Mukarange e due a Kabarondo. Ogni mese padre Viateur le incontra nelle rispettive case per un momento di formazione. Ogni tre mesi queste nove donne si riuniscono tutte insieme, guidate sempre da padre Viateur.
Quest’ultimo, al termine del discorso di Mediatrice, dice commosso: “Le Case Amahoro sono una risposta al genocidio del 1994”. Entriamo così attraverso il suo racconto nella storia degli inizi di quest’esperienza. “Don Luigi Guglielmi venne in Rwanda per dare una mano, ma non si sapeva bene cosa fare. Monsignor Frédéric Rubwejanga (vescovo di Kibungo dal 1992 al 2007) lo mandò ad incontrare i parroci, tra i quali c’ero anch’io. Nello stesso periodo, Mediatrice mi chiedeva cosa potesse fare per servire la Chiesa. Cominciò così la casa di Mukarange”. Il vescovo Antoine commenta: “In queste case c’è una spiritualità propria”. Ci riferisce poi che qualche tempo fa egli ha detto pubblicamente che “tutte le case Amahoro sono nelle mani delle parrocchie in cui esse sorgono”. Interviene allora il parroco di Bare, il quale si sente fortemente responsabilizzato e ci dice di impegnarsi in tutti i modi, anche economicamente, per sostenere l’opera di Mediatrice e delle altre.
Al termine parla il vescovo Massimo. Riporto le sue parole. “Come vescovo di Reggio Emilia – Guastalla sono contento di essere qui con voi e di vedere come un’opera nata a Reggio sia continuata nel cuore dell’Africa. Questo è il metodo della Chiesa: un dono non è dato soltanto per noi, ma per tutti. Il fiore nato a Reggio si è trapiantato in molti luoghi, anche in Rwanda. Questo legame storico è molto importante. Sta a noi tenerlo vivo. Questa è la prima casa Amahoro che visito. Capisco però già qual è il vostro spirito: è lo stesso delle Case della Carità. Voi avete anche una grande capacità organizzativa. E avete anche la grazia della presenza di queste tre donne che stabilmente si prendono cura degli ospiti, così come del parroco che con convinzione vi aiuta. Certamente anche Reggio continuerà ad aiutarvi. Innanzitutto attraverso i volontari. Diffonderemo attraverso i media la conoscenza delle Case Amahoro, di modo che il numero dei volontari possa crescere. Anche un aiuto economico, da stabilire di volta in volta, ci sarà (pur tenendo presente il fatto che gli impegni missionari della diocesi in varie parti del mondo sono molti). La vostra presenza aiuta la nostra Chiesa dal punto di vista della crescita spirituale. La carità vissuta infatti è molto comunicativa. Queste Case, nate dopo il genocidio, hanno un’importanza storica grande. Pregate e offrite la vostra sofferenza per la Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla. C’è un forte legame tra l’offerta delle proprie sofferenze e la salvezza del mondo. Avete molto da donare a noi. La carità è l’unica cosa che quando si divide non diminuisce.
Il vescovo Antoine, concludendo il momento della visita, pronuncia altre parole che ci impressionano molto: “La Chiesa di Reggio Emilia ci ha insegnato l’amore per i poveri e come occuparci di loro. Nelle Case Amahoro ho visto come si vive la carità. Noi abbiamo imparato la carità da voi. Prima di vedere questa esperienza, carità era per me soltanto una parola. Tutti i volontari sono giovani, e questo è un bel segno della durata di quest’opera. Desidero che le case Amahoro siano parrocchiali. Esse mostreranno così a tutti, anche ai non cattolici, come si vive veramente la carità”.
Sulla parete della sala in cui ci troviamo c’è una foto di monsignor Gianotti: il ricordo della sua opera e delle sue numerose visite è molto forte. Alla morte di don Luigi, cui era molto legato, Gianotti ha accompagnato lo sviluppo delle Case Amahoro, sia per quanto riguarda la formazione dei volontari sia nel sostegno alla diocesi di Kibungo.
Lunedì 31 dicembre
Partiamo alle 7:30 in auto, accompagnati da don Oreste, vicario generale della diocesi di Kibungo. Visitiamo in mattinata la Casa Amahoro di Mukarange. Essa è la prima in ordine di tempo: fu fondata da don Luigi, in un terreno che apparteneva alla parrocchia. Tre donne vivono stabilmente nella casa e sono aiutate da alcuni volontari. Gli ospiti sono in totale 15. Quest’opera vive della gratuità di tanti benefattori e della generosità dei cristiani che abitano qui vicino: i parrocchiani infatti vengono a lavorare gratuitamente nel bananeto per sostenere la casa.
Il parroco, don Napoleone, ci dice che “queste persone così vulnerabili muovono il cuore alla carità”. Anche lui torna sul tema del genocidio: “Questa Casa è una bella testimonianza concreta dopo l’orrore che abbiamo vissuto”. Prende la parola Teresa, responsabile di un gruppo di benefattori: “Tutto si fonda sulla preghiera in comune e sulla condivisione del lavoro. Soprattutto dobbiamo raccogliere fondi per sostenere le spese per le cure degli ospiti (iscrizione alla mutua e pagamento di vari ticket medici)”.
Poi chiede di parlare Iosefu, un disabile in carrozzina, giovane (avrà meno di quarant’anni), ospite della Casa Amahoro fin dagli inizi. Soffre molto a motivo della sua condizione fisica, ma è molto felice e sorridente. “È da tanto che aspettavamo questa visita. Il senso della nostra casa è aiutarsi. Padre Luigi ha voluto iniziare con noi una vita buona e gioiosa”.
Riporto ora le parole del vescovo Massimo: “Iosefu ha parlato della gioia. In essa ci si può incontrare. La gioia viene solo dalla fede. Sono contento di avervi potuti incontrare e di aver condiviso questo momento con voi. C’è un legame molto profondo tra noi. Come diceva lo scrittore francese Bernanos: siamo salvati da persone che non conosciamo. Voi siete le persone che salvano persone della nostra diocesi. Questa è la radice del legame tra noi. Grazie per la vostra gioia. E grazie a tutti coloro che in vario modo si prendono cura di voi”. Al termine della visita ancora molti canti e danze, uno scambio di doni e tante foto insieme nel piccolo cortile antistante la casa.
Sulla strada per Munyaga, il vescovo desidera sostare per un momento di silenzio e preghiera sulla tomba di padre Tiziano Guglielmi. Sta cominciando a piovere, ma tra noi c’è un clima di grande raccoglimento. La tomba è molto semplice, bianca, sormontata da una grande croce con il nome di don Tiziano. Sono presenti con noi Claudio Fantini, don Oreste e suor Bea (della comunità delle Suore Bernardine di Munyaga).
Arriviamo a Munyaga per visitare, guidati da Claudio, le opere costruite dal Gruppo Rwanda “Padre Tiziano” Onlus. La strada per raggiungere il villaggio è lunga e impervia, a tratti molto difficile. Qui abitano circa 28.000 persone, 5.000 delle quali sono cattoliche. Avvicinandoci alla parrocchia le campane della chiesa suonano a distesa e a festa: arriva il vescovo! Siamo accolti dal parroco nella canonica di recente costruzione. Fuori si è scatenato il diluvio. La pioggia batte forte sul tetto di lamiera. Questo sacerdote, come gli altri parroci già incontrati, è molto giovane. Il nostro accompagnatore don Oreste ci dice che il 60% dei preti diocesani ha meno di 30 anni! La parrocchia è nata solo due anni fa ed è servita da due sacerdoti. È estremamente povera. Qui vivono diverse categorie di persone, ma la maggioranza della popolazione è di contadini e allevatori. Molti sono animisti; sono presenti anche varie altre religioni. Dal 1986 a Munyaga è presente anche una comunità di Suore Bernardine. Gli studenti delle tre scuole cattoliche, una delle quali è quella del Gruppo “Padre Tiziano”, sono più di 8.500. Molte sono le sfide per la parrocchia. Ma non ci sono uffici né strade. Non c’è proprio nulla al di fuori della parrocchia, nemmeno luoghi di incontro.
Il Gruppo Rwanda ha costruito nel tempo molti edifici sul versante della collina del villaggio. Tutto è organizzato su tre livelli. Noi scendiamo dall’alto verso il basso. Innanzitutto vediamo i campi sportivi, e i ragazzi che lì stanno giocando ci vengono incontro per salutarci. Poi le aule scolastiche, numerosissime, in grado di ospitare più di mille studenti. Ciascuna di esse è intitolata a un benefattore reggiano. All’interno banchi, sedie, lavagne appese ai muri, colori… proprio come noi siamo abituati a vedere nelle nostre scuole. Da queste parti non è semplice trovare un altro luogo così bello, accogliente e ben organizzato.
Scendiamo ancora un po’ ed ecco il centro sanitario. All’ingresso troviamo delle foto di padre Tiziano, di don Luigi e di don Candido Bizzarri (sacerdote della nostra diocesi, scomparso nel 2012, che ha portato avanti per molti anni l’opera di padre Tiziano). Il centro sanitario è grande, molto curato, bello. La suora che lo dirige ci accompagna nella visita. I medici e gli infermieri stanno accogliendo i malati, come accade ogni giorno. Visitiamo le due farmacie, gli ambulatori, il reparto maternità. È tutto molto semplice, ma contraddistinto da una grande dignità.
Scendiamo poi all’ultimo livello della collina e troviamo la casa costruita per accogliere i volontari italiani che trascorrono periodi di lavoro a Munyaga. I quattro ragazzi reggiani che in questo periodo sono qui con Claudio, nei prossimi giorni si occuperanno di montare il nuovo impianto di illuminazione nelle aule della scuola. Sono loro ad aver preparato per noi il pranzo, in parte reggiano e in parte africano. Passiamo dalle tagliatelle con il ragù alle banane cotte, dal Parmigiano Reggiano ai passion fruits, in un clima di grande festa. Sono presenti don Oreste, il parroco di Munyaga, le suore Bernardine e tutta la delegazione italiana. Vicino alla casa c’è l’abitazione delle suore e una piccola chiesa. Qui il vescovo Massimo presiede la Messa in francese nel pomeriggio.
Martedì 1° gennaio
Alle 8 del mattino del primo giorno del nuovo anno, giungiamo alla Casa Amahoro di Kabarondo. Ci accompagna in auto don Oreste. La casa si affaccia direttamente sulla strada che da Kibungo porta a Kigali. Tutti gli ospiti e i volontari sono già nella piccola cappella, affollatissima. Ci aspettano per la messa. La celebrazione è molto curata, soprattutto nel canto.
Al termine della celebrazione, il vescovo Massimo dice: “Se preghiamo assieme, ciò significa che siamo una cosa sola. E questo esprime anche l’unità delle nostre Chiese. Sono contento che la chiesa di Reggio Emilia abbia aiutato questa casa, che continueremo ad aiutare” E a questo punto tutti applaudono molto calorosamente. “È molto bello il vostro paese e capisco anche un po’ del vostro animo attraverso la bellezza del vostro canto. È anche vero che noi dobbiamo sempre chiedere a Dio l’aiuto. Senza l’aiuto di Dio anche l’uomo migliore diventa terra. Quindi abbiamo sempre bisogno di chiedere il suo aiuto, e chiedetelo anche per me. Porto con me in Italia il ricordo di questa casa. Voi ricordatevi del vescovo di Reggio Emilia quando venite in questa cappella a pregare”. Mentre ci togliamo i paramenti, tutte le persone presenti entrano nella sala adibita a sagrestia e ci coinvolgono con grande gioia nei loro canti e balli. Sono poi offerti dei doni al vescovo, tra i quali un vaso di terra rwandese e un grande cesto di frutta, due regali simbolici.
Ci dirigiamo poi verso Kigali attraversando decine e decine di verdi colline, su e giù per una strada ora asfaltata ora in terra battuta, di colore rosso. L’armonia delle forme, la pace che si respira in questi luoghi sono bellissime. Ai lati della strada ovunque ci sono persone di tutte le età che camminano eleganti. Alcune vestono all’occidentale, altre hanno abiti più semplici e più poveri. Portano con sé banane, legname. Anche in Rwanda oggi è un giorno di festa.
Arrivati a Kigali attraversiamo il centro della città in auto, passiamo davanti alla cattedrale e alla residenza del presidente della Repubblica. Siamo accolti da alcuni sacerdoti nel Centro Diocesano Saint Paul. Essi ci raccontano ancora una volta del genocidio, ma ci parlano anche dei quasi trecento ragazzi rwandesi che riempiono il seminario nazionale, della loro formazione, della vita della Chiesa qui. Nella sede della Conferenza Episcopale incontriamo nuovamente monsignor Antoine. Con lui poi ci dirigiamo in nunziatura e restiamo a pranzo con il vescovo Andrej Józwowicz, polacco, da un anno e mezzo in servizio a Kigali. Ancora una volta abbiamo l’occasione di ascoltare un punto di vista autorevole sulla presenza cristiana in questa terra.
La parte ufficiale della nostra visita in Rwanda a questo punto è terminata. Ci congediamo dal vescovo Antoine, cui ormai ci legano una forte amicizia e tanta stima. Contiamo di rivederci prossimamente in Italia e di sentirci presto per capire insieme come la nostra diocesi possa crescere nella qualità del suo contributo al sostegno delle case Amahoro.
Nel pomeriggio non prendiamo però l’aereo per il rientro: ci dirigiamo in auto nel sud-ovest del paese, a Kibeho, luogo in cui negli anni Ottanta sono avvenute le prime apparizioni mariane del continente africano. Maria è apparsa in questo povero villaggio a tre ragazze, presentandosi loro come Madre del Verbo. La Chiesa ha riconosciuto l’autenticità di questi avvenimenti nel 2001. Il vescovo Massimo ha fortemente voluto questo pellegrinaggio. Portiamo nella nostra preghiera le Case Amahoro, le opere di Munyaga, tutte le persone che abbiamo avuto la grazia di incontrare in questi giorni e le necessità della nostra Chiesa diocesana.