Estate in Missione – Libano

 

di C. S.

Che il Libano fosse un paese complesso l’avevamo sospettato quando, durante la preparazione al nostro viaggio, hanno iniziato a spiegarci la questione dei soldi: lire libanesi, inflazione, dollari “vecchi”, “fresh dollars”, svalutazione.. ma quindi cosa ci dobbiamo portare? “Gli Euro!”

E che il Libano sia un paese complesso lo abbiamo capito appena abbiamo iniziato a parlare con i ragazzi che ci hanno accolto: “Hi Kifit ça va?” La frase per eccellenza, composta da parole di 3 lingue diverse, inglese, arabo e francese, per chiedere “Ciao, come stai?”

Poi abbiamo avuto la certezza che il Libano è un paese complesso, perché in base ad una convenzione costituzionale dal 1943 la politica è confessionale: il presidente della Repubblica deve essere un cristiano maronita, il primo ministro musulmano sunnita, il presidente del parlamento musulmano sciita, in modo da rappresentare tutta la popolazione nelle sue sfaccettature “religiose”. Solo che l’ultimo censimento risale al 1932 e non è stato più aggiornato per non turbare gli equilibri interconfessionali.

Siamo partiti dall’Emilia Romagna in 8, portandoci dietro curiosità, domande, voglia di conoscere, salami, parmigiano reggiano (rigorosamente!) e medicine..

Siamo stati accolti dai ragazzi di Caritas Libano Youth, e in particolare da Peter, un Vin Diesel dalla scorza dura ma dal cuore tenero, che guida con autorevolezza un gruppo di giovani tra i 17 e i 25 anni, impegnati in diverse attività di supporto alla popolazione. Molti di loro vivono dentro la scuola dove noi stessi abbiamo alloggiato per due settimane, dai tempi del Covid. Sono diventati una famiglia, condividono gli spazi, i tempi e le responsabilità.

Insieme a noi è arrivato un gruppo di 7 giovani legati alla Caritas Ambrosiana, tra cui alcuni arrivati in Libano per un anno di Servizio Civile Universale.

Dopo una presentazione generale di tutte le iniziative che Caritas Libano porta avanti cercando di colmare le lacune lasciate da uno stato incapace di prendersi cura dei propri cittadini, siamo entrati nel vivo partecipando ad una “tre giorni” intensiva di Renovation House. Divisi in sei squadre abbiamo ridato vita a case malconce, svuotando stanze, carteggiando pareti scrostate, e rimbiancando stanze annerite dal tempo e dalla muffa.

Per molti di noi è stata una preziosa occasione per conoscere da vicino i giovani arrivati da diverse parti del Libano per fare volontariato, chi per la prima volta, chi per la decima. Spalla a spalla con loro, mescolando parole inglesi, francesi, arabe, italiane (e a volte cinesi!) si sono aperti dialoghi sul futuro, sulla speranza, ma anche sulla fatica del vivere senza fiducia.

Per altri è stato un primo incontro/scontro con la domanda fondamentale di tutto il viaggio: “Ma che ci facciamo noi qui? Cosa siamo venuti a fare?”

Imbiancate le stanze e confuse le menti, abbiamo trascorso 3 giorni da turisti, scarrozzati in giro per il Libano da alcuni giovani volontari dalla guida “allegra”.

Intanto una pandemia di dissenteria ha provato a decimare il gruppo, costringendo sempre qualcuno a rimanere in prossimità dei bagni anziché sui pulmini in giro per le strade di Batroun, tra le rovine di Baalbek, dentro le grotte di Jeita, nelle innumerevoli chiese dedicate a San Charbel, o alla ricerca di protezione sotto enormi statue di Maria, Nostra Signora del Libano.

Nonostante i numerosi pellegrinaggi, il vero miracolo è stato compiuto dall’antibiotico che ci ha permesso di riconquistare una regolarità intestinale, e di partecipare al “Summer camp”, un misto tra i nostri campi estivi e l’Estate Ragazzi, in cui un centinaio di bambini, alloggiati nelle diverse stanze della scuola, hanno vissuto giorni di giochi, attività e balli, animati dai ragazzi di Amiuon, e con non poche difficoltà, anche da noi “italiani”.

La prima forte barriera è stata quella linguistica, non tutti capiscono abbastanza bene l’inglese da poter imbastire discorsi o spiegazioni di giochi, il francese ha messo in difficoltà molti di noi italiani che cercavano di riesumare lezioni dei tempi delle medie (per fortuna avevamo con noi Pietro, e i suoi 5 anni vissuti in Belgio..), l’arabo.. beh è proprio arabo!

Un secondo scoglio da superare è stato quello del giudizio: “quanta disorganizzazione.. come cambio di programma, ancora?!?… di nuovo l’inno cantato in riga?!? Vi prego basta urlare… che palle, ancora riso e cetriolini?!” 

Come si fa a stare davanti a cose così diverse da noi e dalle nostre abitudini senza sentirsi a disagio? 

Non si può, ma si può decidere di andare oltre, di mettersi in ascolto, di provare a capire da dove nasce quel disagio dentro di noi e di cosa significa per l’altro quel gesto, quella scelta, quella parola.

Il terzo ostacolo, il più subdolo, è quello dell’impotenza. Se non sono qui per insegnare, risolvere problemi e spiegare ai libanesi che non è giusto considerare i siriani e i palestinesi come degli invasori privilegiati, cosa sono venuto a fare?

A passeggiare nel centro deserto di Beirut, piantonato dall’esercito dopo le rivolte del 2019 miseramente fallite?

A contare decine e decine di banconote che una volta erano una fortuna e che ora valgono come pochi euro, in una economia che costringe i libanesi della “classe media” a vivere con 150$ al mese?

A vedere bambini siriani vivere per strada in mezzo ai cartoni e ai detriti di un’esplosione che ancora ferisce, e a chiedere l’elemosina ad ogni incrocio?

Ad ascoltare i giovani che sognano di trasferirsi all’estero per studiare e costruirsi una vita, e quelli che invece non vogliono lasciare la loro casa, la loro famiglia e il loro paese?

Qualcuno ci ha detto che è venuto per STARE, qualcun’altro che non vuole andare via perché deve ancora CAPIRE.. 

noi siamo tornati a casa con ancora tante domande… 

ma io chi voglio ESSERE?