Cambio di mentalità: la scelta di un cammino
Una scelta di vita, forse una vocazione o semplicemente la voglia di mettersi in gioco e dare un contributo aiutando il prossimo. Ci sono persone che scelgono di dedicare la loro vita a stare con gli altri e con chi ne ha bisogno, facendone una vera e propria vocazione; altri partono per un breve periodo di tempo abbastanza variabile, per andare in terre loro sconosciute e provare a mettersi al servizio dell’altro, in luoghi cui vi è più richiesta.
Ritengo che questo argomento rivesta grande importanza anche se frequentemente passa inosservato o viene posto in disparte, come se non ponesse particolare rilevanza, quindi ora proverò ad approfondire meglio l’argomento. Molte volte, il soggetto che parte per un breve periodo, si pone l’obiettivo di aiutare persone che ritiene in una posizione di svantaggio o che ritiene abbiano necessità di ricevere aiuto. Queste persone finiscono col proporre la propria visione e concezione della vita e solitamente rischiano di finire con l’imporre il proprio modo di risolvere problemi e di affrontare situazioni alle persone del luogo per cui parte, ma sarà davvero questo ciò che necessitano gli abitanti del luogo?
Colui che parte spesso e volentieri si aspetta ed immagina di andare a realizzare qualcosa di specifico, preciso, un progetto, presupponendo di possedere tutte le risposte o pensando di saper cos’è meglio per le popolazioni che andrà ad aiutare. La realtà ci dice però che quello che a te può risultare utile o ovvio, piuttosto che giusto, ad altri potrebbe non suscitare uguale interesse o potrebbe risultare addirittura inutile e magari pure nocivo. Viene naturale partire con a mente vari stereotipi di cosa ci possa aspettare o crediamo di trovare una volta arrivati a destinazione, ma quando si decide di partire bisogna eliminare dalla mente tutto ciò che pensiamo possa aspettarci una volta giunti a destinazione o perlomeno non dare per vero ciò che abbiamo in mente fino a che non si è fatta esperienza diretta.
Imbarcarsi per un cammino di questo genere presuppone una mentalità decisamente più aperta, propensa ad imprevisti, elastica e disposta al dialogo; quindi risulta necessario un approccio alquanto differente. Le persone che decidono di intraprendere questo tipo di esperienza è bene che cerchino di capire quali sono le motivazioni che li spingono a scegliere questo percorso e che cosa si aspettino da tutto ciò che andranno a fare. Questo li permetterà di capire per cosa partono davvero e a cosa vogliono dedicarsi o portare a termine come obiettivo durante o una volta conclusa l’esperienza.
Quando si parte per un qualsiasi progetto come volontario, che si attua in un contesto a noi non familiare, bisognerebbe provare a partire con una mentalità propensa al dialogo (come già ribadito in precedenza) e abbandonare le proprie idee per poterne costruire delle nuove una volta compreso e conosciuto il contesto in cui si andrà ad operare. Chi parte si mette a servizio dell’altro, ascolta e costruisce con esso sentieri da intraprendere, aiutandosi a vicenda, cooperando e pianificando in base ai bisogni o alle esigenze che vi si pongono dinanzi. Si impara a conoscere e a comunicare con le persone del luogo, a capire le loro difficoltà, piuttosto che comprenderne i costumi. Solamente dopo aver fatto tutto ciò ci si può immedesimare e offrire reale supporto.
Il volontario non si trova là per fornire risposte, ma per ricavare insieme alle persone locali una strada da seguire. L’ascolto è essenziale, in quanto il volontario parte per dare una mano. Nessuno meglio delle persone del luogo sa cosa realmente sia necessario o che bisogni andare a soddisfare.
Il volontario è un ospite, non è stato richiesto da nessuno, va per una scelta individuale ma che lo vede impegnato e dedito al servizio. Si parte per quelle persone, questo presuppone una messa in gioco di sé stessi a dare il massimo comprendendo la realtà in cui ci si trova ad operare, inoltre richiede un grande ammonto di impegno da parte propria. Sicuramente si presenteranno situazioni a noi difficili da gestire o da capire per differenze di tipo culturale, molto probabile inoltre sarà la necessità di reinventare e trovare opzioni differenti in base alla disponibilità di ciò che troviamo e viene offerto dal luogo. Non si tratta di una passeggiata, è una scelta di un percorso che vede il soggetto impegnato in un cambiamento, nella speranza di essere d’aiuto al prossimo ma anche a se stessi, uscirne migliori come persone che hanno trovato il significato e l’importanza della vita e delle cose che contano realmente in essa.
Quello che ne uscirà dall’esperienza sicuramente sarà di valenza intrinseca, ma a volte si riusciranno ad apportare cambiamenti positivi anche nelle località in cui il volontario andrà a offrire supporto, ma è bene tenere a mente che ciò non sarà sempre possibile. I risultati magari non si vedranno subito, magari durante il periodo di presenza del volontario non si riusciranno a osservare resi del proprio lavoro e sforzo fattosi per quelle persone, non si intravedranno conclusi, ultimati o comunque in fase di procedimento i progetti nei quali si andrà ad intervenire, ma si lascerà uno spunto, un’idea, un progetto da portare avanti e da sviluppare a quelle persone, che essi siano altri volontari, missionari o meglio ancora, la stessa popolazione beneficiaria. In questo modo si riuscirà ad apportare dei cambiamenti positivi, istigando la popolazione stessa a mettersi in gioco, donando loro una nuova via d’uscita ed opportunità, che essi vedranno e decideranno se a loro volta cogliere o abbandonare. Ciò che conta è che ci sei stato, sei rimasto accanto a quelle persone, aiutando ed essendo il più utile possibile nel limite delle tue capacità. Solamente in questo modo, il volontario riuscirà a vivere appieno l’esperienza essendo realmente d’aiuto, partecipando attivamente e risultando così coinvolto.
Molto utile per un possibile futuro volontario è la partecipazione ad un colloquio svolto appositamente per capire con che intenzioni si parte, in grado di far ragionare il soggetto e capire appieno la sua scelta. Una volta che si conosce cosa realmente si vuole, diventa più semplice la decisione.
Andare in missione è una scelta, una decisione, uno stile di vita. Chi parte getta quello che ha e condivide ciò che possiede. Per partire bisogna prepararsi, in quanto durante questa esperienza si rinasce, non si rientra a casa senza essere cambianti. Si compie un viaggio anche dentro noi stessi, si riscopre cosa conta davvero e si impara a tirare fuori il meglio di noi e a metterlo in pratica ogni giorno.
Quando si torna è bene raccontare ciò che si è visto e vissuto, il positivo che si è trovato e ciò che si è fatto alle persone a noi care, perché così facendo la vostra esperienza sarà servita davvero a qualcosa e avrà dato un resoconto.
Per concludere possiamo dire che lo spirito con cui si intraprende questo tipo di percorso conta; risulta essenziale capire come si vuole affrontare questa esperienza sia per colui che la compie, sia per coloro che vedranno giungere nel loro paese uno sconosciuto che vorrebbe rendersi utile e prestare una mano. Ciò riveste particolar importanza nella decisione perché potrebbe far capire all’interessato che magari non è la strada giusta da intraprendere per lui o che non aveva bisogno di null’altro in vita ed era la cosa corretta da fare per dare una svolta di cambiamento alla sua vita. Non si può sapere a cosa si va incontro ma si parte sempre con la certezza che conclusa l’esperienza se ne esce come persone diverse e cambiate dal profondo; si è fatto un cammino di crescita personale o si è capito che quella strada non fa per sé, piuttosto che esserne uscito acquisendo nuove conoscenze e stretto nuove amicizie e relazioni che hanno fatto la differenza. Questo è ciò che si affronta quando si decide di partire in questo tipo di missioni; non è per tutti ma per chi parte cambia la vita.