“Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa” (EG n. 27). Così scrive Papa Francesco riportando la missione nel cuore della Chiesa, come pilastro fondamentale della sua conversione pastorale.
Quando si dice missione s’intende una realtà dinamica, mutevole. E allora vogliamo chiederci: “dove va oggi la missione?”. Ne abbiamo parlato in diocesi martedì 27 novembre, alle ore 21 presso la Sala Teatro della parrocchia di Fogliano (RE), a partire dal libro Missione, Cittadella Editrice, scritto da P. Mario Menin, missionario saveriano e direttore di Missione Oggi. Per l’occasione era presente l’autore insieme a suor Teresina Caffi, missionaria saveriana, in dialogo con don Paolo Cugini, fidei donum in Brasile.
Dove va la missione? Non c'è una risposta univoca
Quando nella Chiesa si parla di missione cosa s’intende oggi? Dove va la missione e come sta cambiando? Queste e altre domande sono state al centro della tavola rotonda che si è tenuta nella parrocchia di Fogliano (RE) lo scorso 27 novembre con alcuni missionari a partire dal libro Missione (Cittadella Editrice), scritto da P. Mario Menin, saveriano e direttore di Missione Oggi.
“Ho scritto il libro per dire che la missione a partire dal Concilio Vaticano II è diventata il cuore della Chiesa. La Chiesa è missione, il grembo fecondo della Chiesa è la missione. Se vogliamo riformare la Chiesa dobbiamo ripartire dalla sua identità missionaria” ha detto P. Mario che per anni ha operato in Brasile, a Heliópolis, una favela di San Paolo, in un cammino di Comunità Ecclesiali di Base accompagnate dal Cardinale Mons. Evarist Arns.
“Papa Francesco riporta la missione nel cuore del Chiesa, anzi la definisce pilastro fondamentale della sua conversione pastorale”, ha detto nel coordinare la serata Suor Paola Torelli, delle Piccole Figlie di San Francesco d’Assisi, già missionaria in Perù. Nel confrontarsi sul tema della missione, realtà in continuo movimento, ci si è chiesti come stia cambiando. “Siamo passati da una missione senza l’altro ad una missione con l’altro – ha detto P. Menin – da una missione a senso unico, come operazione del mondo Occidentale cristiano verso gli infedeli, alla riscoperta della missione come movimento di Dio verso di noi: il viaggio di Gesù Cristo dal mondo di Dio alla nostra umanità. Un viaggio che è costato un caro prezzo a Dio. La missione è anzitutto un’azione di Dio, prima che una nostra azione e da questo dobbiamo partire per trasformare il nostro immaginario missionario, per purificarlo dalle etichettature che non corrispondono alla missione di Dio ”.
Un libro scritto anche per sottolineare che “la missione è di tutti i discepoli, di tutti i battezzati. E’ importante che ci siano delle persone che vadano in missione, però non possiamo dispensarci dall’essere missionari: tutti siamo chiamati ad essere missionari. Siamo passati da una missione contra gentes, contro gli altri, contro le altre religioni, ad una missione cum gentes, con gli altri, inter gentes, con le altre religioni, ad una missione dialogica, riscoprendo che il nostro è un Dio di dialogo. La missione è annuncio, testimonianza, profezia, comunione. Dovremmo testimoniare il Vangelo in maniera non violenta, abitando e stando soprattutto nelle frontiere, nelle periferie, nei luoghi dell’esclusione, per dire che Dio ascolta il grido degli oppressi, dei piccoli, delle donne escluse. E al prossimo Sinodo Panamazzonico desideriamo che tutto il mondo ascolti il grido delle popolazioni indigene che sono state violentate nella loro identità culturale, nel loro ambiente vitale perché il Brasile, come anche il Congo, sono diventate delle miniere a cielo aperto dove andiamo a portare via quello che serve per le nostre industrie”.
Lo sa bene suor Teresina Caffi, missionaria saveriana, che vive in Italia e nella Repubblica Democratica del Congo, impegnata nel promuovere percorsi di giustizia, pace e riconciliazione in questo martoriato Paese, ricco di minerali preziosi per le moderne tecnologie che attirano gli appetiti internazionali, generando guerra e sfruttamento. “Dal dolore del popolo congolese ho capito che il popolo va amato e basta, devi giocarti tutto – ha detto Suor Teresina – . Ho sentito questo popolo dentro di me, nelle mie viscere. Ho capito che dovevo interessarmi di tutto, della politica, dell’economia: tutto era pertinente alla mia missione”.
“Ho imparato l’attenzione per le cause strutturali della povertà, che significa impegno per la giustizia. Questo aspetto deve entrare nelle nostre catechesi, nelle nostre preoccupazioni, nel nostro operare. Questo Papa ci dice che il vero ateismo di cui preoccuparsi è la fine dell’interesse per il popolo, per l’umano. Dove c’è un po’ di compassione, lì c’è Dio, perché Dio è amore”.
Spesso in missione si vive in contesti di grande povertà, di grandi sofferenze, dove si è chiamati a tirarsi su le maniche e a sporcarsi le mani. “Andare in missione vuol dire anche essere disposti a lasciarsi smontare” ha detto don Paolo Cugini, già fidei donum in Bahia (Brasile) e di nuovo in partenza per l’Amazzonia. “Tornare in missione in un contesto diverso come quello dell’Amazzonia può voler dire incontrare Dio con un volto diverso, con un cammino di Chiesa diverso, con ritmi e stili diversi. Andare in missione per me è la curiosità di scoprire il volto di Dio che è un volto plurale, che mette in discussione le costruzioni che ci siamo fatti. Questo è il grande tesoro che riceviamo dalla missione. Mi affascina e sono curioso di andare là per provare a camminare con la gente e capire come Dio ha parlato attraverso la loro cosmovisione, ad esempio. (…) Il missionario rientrando in diocesi da un contesto diverso di Chiesa vede con altri occhi la realtà di origine e si accorge dell’esistenza di comunità che vivono chiusure e, metaforicamente, vorrebbe aprire porte e finestre per far circolare aria nuova, fresca… Dopo aver sperimentato un’esperienza di Chiesa che può contribuire a far crescere le parrocchie valorizzando in modo nuovo quello che già c’è, vorrebbe suscitare stili e percorsi nuovi”.
Sono tante le buone pratiche che possiamo ricevere dalle esperienze pastorali di altre Chiese, proprio in un’ottica di scambio di doni. Guardando alla nostra realtà sono tanti gli stimoli che potrebbero aiutare le Unità Pastorali ad essere missionarie sul territorio. “Entrare in un cammino di sinodalità è la grande sfida delle Unità Pastorali – ha osservato P. Menin – . Se scommettiamo sulla soggettività missionaria di tutti i battezzati e sulle piccole comunità dove si celebra, è possibile immaginare che una parrocchia diventi una comunione di piccole comunità che abitano in maniera responsabile sul territorio, che ascoltano il grido dei poveri, che sono antenne per captare il disagio del territorio. Certamente l’esperienza delle Unità Pastorali provoca sulla ministerialità”.